Sul FOGLIO di oggi, , 02/01/2008, a pag.3, l'intervista a Michael Walzer sulla politica mediorientale di George W.Bush, dal titolo " Perchè Bush vuole dedicare il 2008 alla questione palestinese".
Gerusalemme. Gli attacchi mirati di Israele contro i militanti del Jihad islamico in risposta al continuo lancio di Qassam sul Negev sono “una legittima operazione autodifesa”, dice al Foglio Michael Walzer – uno dei più autorevoli commentatori politici americani, autore di più di venti libri, l’ultimo dei quali si intitola “Thinking Politically” (Yale University Press, 2007) – che devono essere accompagnati da una forte iniziativa politica, ancor più urgente ora che nei Territori sono ricominciati gli scontri intrapalestinesi. Hamas contro Fatah. Almeno sette morti in due giorni. Una guerra intestina che va avanti da mesi e mesi e che si riaccende a pochi giorni dall’arrivo in medio oriente del presidente americano George W. Bush. Walzer, professore emerito presso l’Institute for Advanced Study della Princeton University e direttore della rivista di sinistra Dissent, nonché collaboratore di un’altra rivista liberal come New Republic, non risparmia critiche a Washington e alla sua politica, ma considera il summit ad Annapolis in cui è stato rilanciato il processo di pace tra Israele e palestinesi “un primo passo” significativo. Da allora sono cominciati i primi colloqui tra il premier israeliano, Ehud Olmert, e il rais palestinese, Abu Mazen, quest’ultimo osteggiato dai politici di Hamas, che provano sempre la carta della tregua a tempo”. “E’ stata un’ottima cosa vedere l’ampio sostegno offerto dai paesi arabi sunniti, soprattutto l’Egitto e l’Arabia Saudita – spiega Walzer riferendosi ad Annapolis – E’ stata una soddisfazione vedere questi paesi dare il proprio sostegno a un concreto processo di pace”. Ma c’è un problema. Politico. Coinvolge tutti gli interlocutori, da Bush al premier israeliano al rais palestinese. Si chiama debolezza. Per quel che riguarda Israele, la debolezza “non è una critica, ma la semplice constatazione di un fatto, il che significa che non sono certo che questo governo sia grado di realizzare le politiche che penso debba attuare, come per esempio, misure concrete per contrastare il movimento dei coloni, un punto cruciale per il successo di qualsiasi processo di pace”. Ci vogliono provvedimenti concreti, un piano del fare e non del dire, “Olmert deve non soltanto dare dimostrazione di una certa forza ma anche farci capire che cosa è in grado di fare”, dice Walzer. Per ipalestinesi la debolezza è ancora più grave. “Abu Mazen dipende dall’esercito israeliano”, e quindi ogni azione che riguarda la terra – alla base del processo pace – è di difficile attuazione: “E’ ovvio che ora qualsiasi ritiro dalla Cisgiordania dovrebbe compiersi in un periodo qualche anno – precisa il commentatore americano – in modo che Abu Mazen possa acquisire la forza militare sufficiente per garantire la sicurezza dei propri confini e impedire che vengano lanciati razzi Tel Aviv dalla Cisgiordania. In questo momento, Abu Mazen non è in grado fornire queste garanzie”. Poi c’è l’America. Settimana prossima Bush arriverà medio oriente per una visita di otto giorni: il suo attivismo sulla questione israelo- palestinese fa pensare che abbia mente qualcosa di preciso. “Non posso entrare nella testa di Bush – dice Walzer ma deve essere stato convinto, presumo dal segretario di stato Condoleezza Rice, del fatto che entro il prossimo anno si possa realizzare qualcosa di concreto riguardo al conflitto israelo-palestinese”. Anche perché altri dossier gli stanno scivolandodi mano, puntualizza Walzer, come il Pakistan. E poi c’è sempre il peccato originale della guerra in Iraq, marchio di fabbrica che sancisce la debolezza di Bush, e lo immobilizza. “Qualche volta, quando si è provocato un disastro, non è facile dire che cosa si debba fare”, spiega il commentatore americano, che naturalmente si augura l’avvento di un’Amministrazione democratica “che si impegni a fondo per ristabilire un qualche tipo di diplomazia comune con i paesi europei e per cercare maggiori aiuti per la soluzione del problema iracheno”. Candidato preferito? Nessuno, basta che sia democratico, “i liberal sono così da preferire ai repubblicani che intendo sostenere quello con più possibilità di vittoria”. A ben vedere, ridacchia Walzer, una buona eredità della presidenza Bush c’è, “spero che ciò che ci lascerà sia fondamento intellettuale e spirituale per la rinascita della sinistra negli Stati Uniti”. Anche se qualche perplessità sulla sinistra, non soltanto americana, Walzer ce l’ha. Riguarda “la sempre più accesa insensata animosità nei confronti di Israele. Ci sono parecchie prove di questa ten-denza, ma una delle più illuminanti è la fantastica accoglienza che molti esponenti della sinistra hanno riservato all’articolo e poi al libro di Mearsheimer e Walt intitolato ‘The Israel Lobby’. Francamente, tratta di ritratto estremamente inaccurato e fazioso del potere degli ebrei negli Stati Uniti, e ogni serio uomo di sinistra dovrebbe condannarlo”. Tornando al medio oriente, Iraq e Iran sono due fronti aperti che impattano sulla situazione israelo-palestinese. Persino Walzer, che ne ha dette e scritte di tutti i colori sull’assurdità della campagna irachena, ammette che “le recenti iniziative militari americane in Iraq hanno ottenuto un certo successo”. Un ritiro immediato quindi non sarebbe “un’opzione ragionevole”, anche perché “abbiamo 160 mila soldati in Iraq e probabilmente almeno 100 mila civili, per non parlare delle enormi quantità di equipaggiamenti e delle basi militari. Così, anche se dovessimo cominciare ad andarcene domani, ci vorrebbero almeno un paio d’anni prima di essere in grado di abbandonare completamente l’Iraq”. Per l’Iran la questione è del tutto diversa. Di recente, il National Intelligence Estimate della Cia ha dichiarato che “dal 2003 in poi l’Iran non ha più cercato di produrre armamenti nucleari”. Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha rilanciato gridando al complotto contro Teheran che richiede quindi una militarizzazione agli occhi dei mullah più che giustificata. “Non so come spiegare quello che sia passato nella testa della comunità dei servizi segreti americani – spiega Walzer – Gli autori di questo rapporto sono probabilmente riusciti a rendere del tutto impossibile un attacco militare degli Stati Uniti contro l’Iran. Sfortunatamente, sono riusciti a rendere impossibile anche una più intensa forma di pressione politica ed economica, cosa che penso non avessero alcuna intenzione di ottenere”. Walzer fa una breve pausa e poi esclama: “O almeno spero! Prima che fosse reso noto pensavo che il rapporto avrebbe sostenuto la tesi che fosse necessario una politica più decisa nei confronti dell’Iran; non una politica di guerra, ma una politica economica e diplomatica più dura. Invece, questo rapporto ci ha privati anche di questa seconda possibilità, e non se se riusciremo a recuperare il terreno perduto”.
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