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Il Manifesto Rassegna Stampa
27.12.2007 A chi vanno le simpatie del quotidiano comunista
Non seguirlo più ? La tentazione è forte

Testata: Il Manifesto
Data: 27 dicembre 2007
Pagina: 13
Autore: Mi.Co.
Titolo: «E Tel Aviv scopre gli ebrei iraniani»

Il livore con il quale il MANIFESTO descrive le notizie riguardanti Israele non è una novità, è la regola. Non stupisce quindi l'articolo uscito oggi, 27/12/2007, a pag.11, a firma Mi.Co. sull'arrivo nello Stato ebraico di una quarantina di profughi iraniani. Già la frase iniziale Una ghiotta occasione per attaccare il presidente «Hitler» Ahmadinejad rivela a chi vanno le simpatie del quotidiano comunista. Che poi mistifica la realtà nella quale vivono gli ultimi ebrei rimasti in Iran. A volte
ci prende la voglia di non monitorare più il MANIFESTO, tanto ci ricorda la stampa quotidiana degli anni trenta. Poi ci ripensiamo, è giusto conoscere fino a che punto pregiudizio  e disinformazione possono arrivare.

Ecco l'articolo:

Portati in Israele grazie a donazioni di un gruppo di sionisti cristiani, 40 ebrei di Tehran sbarcano in Israele. È il gruppo più nutrito a compiere l'«aliyah» dalla rivoluzione khomeinista del 1979. Una ghiotta occasione per attaccare il presidente «Hitler» Ahmadinejad
Mi. Co.
Un'organizzazione di sionisti cristiani, tra i più accaniti sostenitori di una grande Israele che occupi l'intero spazio geografico tra il Mediterraneo e il fiume Giordano. Quaranta ebrei iraniani che lasciano Tehran e, passando per un misterioso paese terzo, vengono accolti a braccia aperte all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.
In un momento in cui la tensione sul programma nucleare del presidente Ahmadinejad è alta, con il premier israeliano Olmert capofila dei governi che vogliono punire la Repubblica islamica, gli ingredienti per uno scontro nello scontro ci sono tutti.
Il gruppo d'iraniani che l'altro ieri sera ha coronato il sogno dell'aliyah ha fatto infuriare la massima autorità religiosa ebraica di Tehran. «Si tratta di una campagna di disinformazione, di menzogne contro l'Iran e la sua comunità ebraica» ha protestato Ciamak Morsathegh, alla guida del Comitato ebraico. La pattuglia più consistente d'iraniani che, dalla rivoluzione khomeinista del 1979, abbia compiuto il ritorno alla Terra promessa è stata portata in Israele sotto la supervisione dell'Agenzia ebraica (statale) ma col contributo determinante della «Interntional fellowship of christian and jews», che all'arrivo dei 40 in Israele ha tuonato contro il presidente iraniano Ahmadinejad, che in passato ha dichiarato di voler spazzare Israele dalla mappa del mondo.
«Noi sentiamo che la situazione è molto simile a quella degli ebrei in Germania negli anni '30» ha dichiarato Yehiel Eckstein, a capo dell'organizzazione di sionisti cristiani. Il rimedio? Secondo Eckstein c'è bisogno di un attacco, statunitense o israeliano, contro l'Iran.
Ieri il quotidiano israeliano Ha'aretz ha ricordato che i circa 25.000 ebrei che vivono in Iran - nonostante quest'ultimo stato non riconosca Israele - «sono protetti dalla costituzione del Paese e restano la comunità (ebraica) più ampia del Medio Oriente. Le sinagoghe, le scuole e ebraiche e i negozi funzionano apertamente». «Siamo una delle comunità più antiche dell'Iran, libera di praticare la propria religione. L'antisemitismo è un fenomeno occidentale ma gli ebrei non sono mai stati in pericolo in Iran» ha deyyo Morsathegh al quotidiano israeliano.
Sono circa 200 (65 nel 2006) gli iraniani immigrati quest'anno in Israele grazie alla Legge del ritorno, che attribuisce la cittadinanza agli ebrei di tutto il mondo che scelgono di compiere l'aliyah.
I gruppi di sionisti cristiani - parte attiva della lobby filo israeliana negli Stati Uniti - nell'ottobre scorso hanno portato centinaia di evangelici americani all'annuale Marcia per Gerusalemme. Nella visione apocalittica di questi gruppi - che spesso hanno sede sia a Gerusalemme che negli Stati Uniti - lo Stato d'Israele deve esistere ed espandersi affinché siano create le condizioni del Secondo Avvento di Gesù.
Quest'ultimo evento tuttavia comporterebbe la fine dello Stato d'Israele, la conversione in massa degli ebrei, e il trionfo del cristianesimo che avverrebbe però soltanto all'indomani dell'Armageddon, la finale lotta tra bene e male.
Una visione comune a gruppi molto vicini all'Amministrazione Bush (il presidente è un cristiano «rinato») criticata dai custodi cristiani di Terrasanta. «Il programma sionista cristiano contiene una visione del mondo in cui il Vangelo è identificato con l'ideologia di imperialismo, colonialismo e militarismo. Nella sua forma estrema, pone l'accento su eventi apocalittici conducenti alla fine della storia piuttosto che sull'amore e la giustizia di Cristo vivente oggi» hanno scritto l'anno scorso in una dichiarazione firmata anche dal patriarca latino cattolico di Gerusalemme i capi delle chiese locali.
«Noi rigettiamo categoricamente le dottrine del sionismo cristiano come insegnamenti falsi che corrompono il messaggio biblico di amore, riconciliazione e giustizia - continua il documento -. Noi rigettiamo inoltre l'alleanza contemporanea tra i capi e le organizzazioni dei sionisti cristiani con elementi del governo di Israele e Stati Uniti che oggi impongono sulla Palestina i loro confini preventivi unilaterali e il loro dominio».

 
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