Apprezzo l'obiettività della lettera di Michael Levi.
E' giusta la disamina fatta documentandosi. La questione di esaminare gli scritti e i documenti, che riguardano una persona che è vissuta in fama di santità, è un obbligo canonico emanato agli inizi del '900. Questo provvedimento mirava a controllare la documentazione autentica degli scritti e degli atti che riguardavano la vita di tale persona e tutto era reso di pubblico dominio, perché di non pochi santi si erano create delle leggende, che non avevano alcun riscontro con la realtà.
Un caso esemplare, sotto diversi punti di vista, fu la beatificazione di Duns Scoto, sacerdote e filosofo francescano. Questi è uni dei pochi o forse l'unico che negli ultimi settecento anni fu beatificato "a furor di popolo". E ciò avvenne a Nola, subito dopo la sia morte. La venerazione dei beati riguarda più una Chiesa locale che una Chiesa universale. Siccome a Nola nessuna autorità religiosa, competente per territorio, si oppose alla venerazione, Duns Scoto fu considerato beato per secoli. Però mancava la ratifica papale e a ciò si opponevano altri ordini religiosi. tutto sembrava giunto a buon fine, quando intervenne il provvedimento citato sopra. Allora una commissione di studiosi francescano nell'esaminare gli scriti di Duns Scoto, scoprirono opere apocrife. Il lavoro durò 70 anni e appena Giovanni Paolo II sanzionò la leggittimità di considerare beato Duns Scoto.
Scusatemi se mi sono dilungato su questo particolare, ma serviva a dimostrare che l'esame di tutti documenti riguardanti una pesona vissuta in fama di santità è un obbligo che riguarda tutti. E gli atti devono essere resi pubblci prima della firma del Papa, perché chiunque sia a conoscenza di fatti non ancora conosciuti o esaminati o analizzati, può e deve presentarli alla Congregazione dei santi. Su questo non ci devono essere eccezioni per nessuno, altrimenti il fatto può diventare sospetto.
La faccenda che Benedetto XVI abbia avocato a sé il caso di Pio XII, mi ha portato a delle ulteriori riflessioni. Finora la figura di Pio XII è stata esaminata e dibattuta soprattutto in Italia e l'accusa del silenzio è provvenuta dal mondo ebraico.
Però finora poco si sa o si sapeva cosa potesse pensare un cattolico tedesco e specificatamente un tedesco della Baviera dove il card. Pacelli fu nunzio apostolico.
Ora provo a formulare un'ipotesi che ipotesi deve rimanere fino a che non ci saranno altri riscontri. Cosa pensavano i cattolici tedeschi a proposito del silenzio di Pio XII? Secondo loro il Papa doveva rendere di pubblico dominio la condanna al nazismo? Quali conseguenze avrebbe avuto sulla parte cattolica della Germania? E cosa pensava, in concreto l'ispettore di polizia Joseph Ratzinger, padre del Papa? Secondo un'autobiografia del card. Ratzinger, suo padre era antinazista. E cosa pensava il giovane Joseph Ratzinger, arruolato nella Wermacht, prima radiotelegrafista a Monaco, poi mandato a scavar trincee ai confini con la Cecoslovacchia.
Sapevano i tedeschi cattolici degli aberranti massacri perpetrati dai nazisti? O forse si aspettavano anch'essi una voce da Roma, in modo da non sentirsi abbandonati al truce destino di un dittaore criminale?
Queste sono molte domande che forse non troveranno risposta. O forse sì? ma non certo subito.
Saluti
Dario Bazec