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La Stampa Rassegna Stampa
21.12.2007 Tariq Ramdan il "moderato" attacca Ayaan Hirsi Ali
che è una vera dissidente, e per questo è stata condannata a morte

Testata: La Stampa
Data: 21 dicembre 2007
Pagina: 36
Autore: Tariq Ramadan
Titolo: «Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire l'islam moderato»

Ayaan Hirsi Ali non è ascoltata nel mondo islamico, scrive Tariq Ramadan in un articolo pubblicato da La STAMPA il 21 dicembre  2007.
Ad essere ascoltato, invece, suggerisce l'intellettuale islamista, è proprio lui, insieme  a chi si trova su posizioni simili alla sua. Ed'è con lui, dunque, che l'Occidente dovrebbe parlare.

Ma Ramadan, evidentemente, presenta una versione edulcorata della realtà. Ayaan Hirsi Ali è  minacciata di morte dai fondamentalisti islamici. Gli stessi che sono invece disponibili a discutere le idee del "moderato" Ramadan.

Come mai? Forse perchè, espresse in arabo, non sono così diverse dalle loro.
La giornalista ha documentato l'uso sistematico delle dissimulazione da parte di Ramadan, che ai suoi interlocutori occidentali presenta la prospettiva di una "modernizzazione dell'islam", mentre ai musulmani presenta un programma esplicitamente fondamentalista.

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=16&sez=120&id=12127

Ricordiamo anche che sulle esecuzioni capitali in nome della sharia, Ramadan propone una moratoria, seguita da un periodo di discussione tra i dotti islamici: una posizione che riafferma il diritto di una casta teocratica a controllare le legislazioni e ipoteticamente anche a comminare la morte per comportamenti che in uno Stato laico non possono essere considerati criminali.

La sostanza della posizione di Ramadan, comunque, la si evince chiaramente dalle ultime righe dell'articolo, che contengono l'equiparazione tra le democrazie liberali e le dittature islamiche.

Le critiche di circostanza all' applicazione della sharia in Sudan o in Arabia saudita servono ad accreditare l'immagine di  moderato che Ramdan coltiva presso le opinioni pubbliche occidentali. Ma il suo vero bersaglio resta lo stesso Occidente contro cui il fondamentalismo islamico ha scatenato la guerra terroristica.
Chi, in questa guerra, difende i valori di libertà è di laicità è una "voce selettiva" e "selezionata", da screditare. E questo discredito non è che la versione "moderata", e la giustificazione presso le opinioni  pubbliche, delle fatwe omicide che inseguono i veri, coraggiosi, dissidenti dell'islam.
Sarebbe ora che i grandi giornali se ne rendessero conto.

Ecco il testo:  

In un recente articolo, Ayaan Hirsi Ali, la deputata olandese e autrice del libro Infedele, accusa i cosiddetti «moderati» islamici di rimanere in silenzio invece di condannare gli atti commessi nel nome dell'Islam da singoli individui e da governi. A sorpresa, sono citato tra gli intellettuali «moderati» islamici che non hanno condannato ciò che è accaduto in Arabia Saudita (la condanna alla fustigazione di una donna vittima di stupro) o in Sudan (la condanna di un’insegnante che aveva permesso ai suoi studenti di chiamare un orsacchiotto con il nome del Profeta). E pensare che pago ancora adesso il prezzo delle mie costanti critiche di questi ultimi anni verso azioni del genere, tanto da essere messo al bando da Arabia Saudita, Egitto, Siria, Tunisia, oltre che, per motivi che ancora mi sono oscuri, dagli Stati Uniti.
Iniziamo con un versetto del Corano citato da Ayaan Hirsi Ali: «Flagellate la fornicatrice e il fornicatore, ciascuno con cento colpi di frusta, e non vi lasciate impietosire in una faccenda prescritta da Allah, se credete in Lui e nell'Ultimo Giorno» (Corano 24:2).
Che tipo di messaggio vuole far passare l'autrice dell'articolo citando un versetto del Corano che si riferisce alla punizione corporale? Che l'Islam, di per sé, vuole la violenza? Che i musulmani violenti o i cosiddetti governi islamici che operano in modo antidemocratico non fanno che attuare il messaggio islamico? Nelle sue parole, il messaggio è chiaro: l'Islam è una religione arcaica, il Corano è un testo violento e l'unico modo per riformare la religione musulmana è semplicemente quello di «de-islamizzare» i musulmani.
Non sarebbe forse possibile citare qui decine di passaggi violenti del Bhagavad Gita, della Torah e del Vangelo, senza per questo giungere alla conclusione che induismo, giudaismo o cristianesimo sono di per sé violenti? È così difficile capire che questo è un problema di interpretazione e che condannare così una religione, nella sua essenza, non è solo ingiusto ma anche controproducente? Di certo questo non aiuta le dinamiche riformiste interne.
Contrariamente a quanto dice Ayaan Hiri Ali - che nessun musulmano «moderato», e in particolare io stesso, hanno espresso la loro protesta su questi casi - nei giorni della vicenda sudanese ho scritto un articolo sulla situazione in Pakistan, in Arabia Saudita così come anche in Sudan. Ho iniziato rigettando ogni tipo di mentalità vittimistica da parte dei musulmani, convinti che i media riportino soltanto notizie dannose all'Islam e al mondo islamico. Per i musulmani il semplice biasimare «questa crescente campagna contro l'Islam, il Libro Sacro, il Profeta e i suoi valori» non è più abbastanza.
È venuto il momento, ho scritto prima dell'accusa di Hirsi Ali, in cui bisognerebbe prendere atto dello stato di cose del sistema legale nella maggior parte dei paesi islamici e trarne alcune imperative (e costruttive) conclusioni. È semplicemente uno scandalo! Nel nome dell'Islam, innocenti, povera gente e donne sono accusati, imprigionati, a volte picchiati e a volte uccisi, senza nessuna prova e, per di più, senza alcuna possibilità di difendersi convenientemente. In Arabia Saudita una donna vittima di stupro è messa sul banco degli imputati, mentre in Sudan un'insegnante britannica viene incarcerata perché i suoi studenti hanno deciso di chiamare un orsacchiotto «Maometto»! E in Algeria, di recente, due attentati suicidi hanno ucciso civili innocenti. Se tutto ciò avviene nel nome dell'Islam, dove stiamo andando?
Anche se dovrebbe rimanere neutrale e tutelare la giustizia e i diritti dei cittadini, nella maggior parte dei paesi islamici il sistema giudiziario è spesso usato a fini politici o per così dire religiosi. Il problema è molto più serio e profondo di quanto viene riportato quotidianamente dai media. Questi Paesi hanno bisogno di una radicale riforma. Rendiamocene conto. Uno stupro è uno stupro. Anche se non ci sono prove, è inaccettabile che per prima cosa si accusi la donna. Strumentalizzare la storia di un'innocente insegnante inglese per dimostrare quanto «ci curiamo dell'Islam» è una cosa senza senso che dovrebbe essere assolutamente rigettata. È come se l'insegnante fosse diventata uno strumento, un mezzo attraverso il quale un governo mostra la sua adesione all'Islam. E, per alcuni musulmani, un invito a rivolgere la propria rabbia verso l'Occidente. Primo, la rabbia non è mai buona in se stessa; secondo, canalizzarla con strumenti sbagliati e ingiusti è da condannare. Non diceva il Profeta Maometto che «ciò che è costruito su basi sbagliate, è sbagliato»?
Bisogna chiedere a queste società a maggioranza islamica di essere più coerenti con i propri valori e rifiutare di abusare dell'Islam. Esse devono difendere l'indipendenza del sistema giudiziario e gli innocenti, ricchi e poveri, musulmani e non, donne e uomini in egual modo. Non dobbiamo rimanere in silenzio quando leggiamo di vicende inaccettabili sia nelle petromonarchie sia nei Paesi islamici poveri. Queste azioni non sono fatte in nome di una delle interpretazioni accettate della religione. In quanto ingiuste, sono puramente anti-islamiche.
La mia condanna - così come quella di molti altri intellettuali islamici in tutto il mondo - pare che non sia stata ascoltata. Sfortunatamente, l'informazione globale non significa comunicazione efficiente. In Occidente così come nella maggior parte dei paesi islamici, assistiamo a una sorta di ascolto selettivo. La gente è indotta ad ascoltare solo ciò che in apparenza conforta i suoi pregiudizi o soddisfa qualche agenda ideologica.

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Questa polarizzazione è pericolosa perché genera inimicizia. Il nostro mondo vuole una voce più coraggiosa e più coerente. La ragione per cui voci come quella di Ayaan Hirsi Ali non sono ascoltate nella maggior parte dei Paesi islamici non è il fatto che sollevi questioni irrilevanti (alcuni dei suoi argomenti sono invero molto rilevanti) ma perché le sue critiche paiono ossessive, eccessive e unilaterali. È come se volesse compiacere l'Occidente e, sì, come se l'Occidente fosse compiaciuto. Ma i musulmani sono sordi alla sua voce.
Il futuro appartiene a coloro che sono in grado di esercitare una critica coerente a se stessi nel nome di valori universali condivisi e non per la cieca appartenenza alla costruzione artificiale della civiltà «occidentale» o «islamica».
Tutti gli abusi della fede e dei princìpi devono essere denunciati con la stessa energia: quelli dei musulmani quando uccidono innocenti o condanne al carcere (o alla pena capitale) delle povere donne, così come quelli delle democratiche società occidentali quando invadono illegalmente un altro Paese o fanno uso della tortura. Sarebbe bene, in verità, ascoltare più spesso certe voci non selettive, e non selezionate.

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