Le difficoltà dei cristiani, e l'immancabile disinformazione su Israele Natale a Betlemme, secondo Sandro Viola e Alberto Stabile
Testata:La Repubblica - Il Venerdì di Repubblica Autore: Sandro Viola - Alberto Stabile Titolo: «Nella notte di Betlemme le ferite della religione - La città di Gesù lancia un appello Ci hanno abbandonato tutti»
La REPUBBLICA del21 dicembre2007pubblica un articolo di Sandro Viola su Betlemme, incentrato sui rapporti tra le diverse confessioni cristiane nella Basilica della Natività, con alcuni riferimenti al conflitto israelo-palestinese, non sempre corretti.
Sul VENERDI' di REPUBBLICA è Alberto Stabile a occuparsi di Betlemme. Riporta acriticamente le parole del Vicario della Custodia Francescana di Terra Santa, Artemio Vitores, che equipara le preoccupazioni israeliane per la sicurezza, liquidate come un pregiudizio ( per gli israeliani "i cristiani sono innanzitutto palestinesi, il che vuol dire potenziali terroristi") all'intolleranza islamistaper la quale i cristiani sono "crociati", "quinta colonna", "potenziali traditori".
Il sindaco di Betlemme, eletto con il decisivo sostegno di Hamas, è definito come "un'onestuomo alle prese con un compito impossibile", che naturalmente "ha molto criticato l'Occidente per il boicottaggio inflitto ai palestinesi dopo la vittoria di Hamas". Il "boicottaggio" è consistito semplicemente, in realtà, nel rifiuto di finanziare un governo terrorista che voleva la distruzione di Israele (come ancora la vogliono le forze golpiste a Gaza).
Di seguito, pubblichiamo l'articolo di Viola, con alcuni nostri commenti inseriti nel testo:
Leggo che i colloqui tra israeliani e palestinesi vanno avanti, che le posizioni rispettive sembrano avvicinarsi, e che non pochi, in Israele e in Palestina, ricominciano a parlare d´una speranza di pace. Un ottimismo, dopo tante delusioni, sarebbe fuori luogo: ma è vero che la contesa sulla Palestina conosce una delle sue fasi meno convulse e cruente. Non per caso turisti e pellegrini stanno tornando in Terra Santa a centinaia di migliaia. Oltre due milioni quest´anno in Israele, mentre tra sessanta e settantamila ne sono attesi per Natale a Betlemme. Non proprio ma quasi i numeri del 2000, l´anno che precedette le stragi e distruzioni della seconda Intifada, cinque anni di ferro e fuoco in cui solo i cristiani più ferventi s´azzardarono ad avventurarsi in Palestina per pregare sui Luoghi Santi. Oggi è diverso, ripetono le agenzie di viaggio ai turisti, e lo stesso dicono i parroci di mezza Europa ai fedeli. La violenza, il timore di attentati, il rischio di trovarsi in mezzo a una sparatoria sono assai diminuiti, e il viaggio non presenta più pericoli di quanti non ce ne siano in tanti altri posti del mondo. E in parte è vero. L´esercito d´Israele spara infatti solo a Gaza, e solo da Gaza i palestinesi lanciano i loro razzi sulle piccole città del Negev.
Sarebbe stato più chiaro scrivere che i palestinesi sparano i razzi da Gaza, e perciò l'esercito israeliano spara, per difesa, a Gaza.
Mentre nella gran parte d´Israele, rischi seri non se ne corrono. Ma questo non vuol dire che i turisti e i pellegrini in viaggio per Natale verso la Terra Santa troveranno un´atmosfera normale, un paesaggio di pace. Lungo la decina di chilometri che separano Gerusalemme da Betlemme, per esempio, i loro autobus saranno fermati a sei o sette posti di blocco israeliani: e per giungere alla periferia della città dove si dice sia nato il Cristo, dovranno passare da un sistema di controlli elettronici non diversi - ma ben più meticolosi - da quelli degli aeroporti.
Sarebbe stato opportuno ricordare che anche in Cisgiordania agiscono i gruppi terroristici e che dunque le misure di sicurezza israeliane non sono ingiustificate.
Né le festività natalizie bastano a cancellare i sinistri connotati di tanti anni di guerra. A Betlemme hanno acceso l´altro giorno le luci d´un albero di Natale alto quanto un palazzo di quattro piani, le botteghe di souvenir hanno messo vicino alle insegne stelle comete e Re Magi: ma se uno getta lo sguardo attorno vedrà che la cittadina è circondata su tre lati dal Muro voluto da Ariel Sharon,
per proteggere Israele dagli attentati suicidi
che qui è vero muro, grandi blocchi di cemento uno sull´altro, e non come altrove grate di ferro alte quattro-cinque metri e percorse dalla corrente elettrica.
Le grate di ferro della barriera difensiva non sono elettrificate: questo è semplicemente falso. Hanno dei sensori, che premettono di rilevare i tentativi di infiltrazione in Israele, e di fermare i terroristi.
Mentre il quarto lato - sulla strada della Giudea che procede verso Hebron - è fitto di autoblinde e carri armati israeliani. Del resto, la Terra Santa non è gonfia di tensioni, arcigna, collerica, solo perché da cent´anni funge da arena per lo scontro nazionale tra arabi ed ebrei. Lo è in quanto coacervo di religioni, confessioni, riti e liturgie. In quanto alberga i Luoghi Santi. Lasciamo stare le ostilità fra le tre religioni, l´ebraica, la cristiana e l´islamica, le guerre che sono esplose dalla terribile contiguità di pietre, tumuli, tombe che ciascuna fede pretende di custodire precludendoli ai credenti delle altre due confessioni. Limitiamoci al cristianesimo. Alle rivalità tra cristiani d´Oriente e d´Occidente, e alle idiosincrasie intestine degli uni e degli altri. Da una parte le Chiese orientali separate, l´armena, la copta, l´etiope, la siriana. Dall´altra i cattolici di rito latino e i cattolici di rito orientale, greci, armeni, siriaci, caldei, copti, maroniti. Infine la galassia ortodossa, con i riti greco, russo e rumeno. Una baraonda di liturgie e di paramenti sacri. Un litigio incessante sui limiti delle zone rispettive nei santuari che rievocano la nascita, la vita e la morte del Cristo, sul posto dei tappeti e sul numero delle lampade, sugli obblighi per le pulizie e le riparazioni, sui giorni e le ore degli offici. Quasi un millennio (se si parte dallo scisma del 1054 che separò la Chiesa d´Oriente da quella d´Occidente) di avversioni insanabili, dispute cristologiche, contese sui calendari, rivalità archeologiche, risse giornaliere. Il groviglio meno santo che si possa immaginare. Me ne accorsi oltre quarant´anni fa, la prima volta che arrivai a Betlemme. C´era neve, quel giorno, sulla alture della Giudea. Non la coltre di neve dei paesaggi nordici, ma chiazze bianche sparse qua e là come se ne vedono nei presepi: attorno agli ulivi, tra gli alberi spogli dei frutteti, sul tetto delle case, su qualcuno dei muri a secco, e ai bordi della strada tra Gerusalemme e le due basse colline su cui s´erge Betlemme. Ero lì con un´insolita comitiva di giornalisti italiani: insolita davvero, anzi unica, visto che comprendeva personaggi come Eugenio Montale, Dino Buzzati, Camilla Cederna, Paolo Monelli e Vittorio Gorresio, tutti come me al seguito di Paolo VI, primo papa a visitare la Terra Santa. In quel gelido 4 gennaio del 1963 il corteo papale era atteso alla Basilica della Natività per il pomeriggio, e noi lo avevamo preceduto. Benché la comitiva di giornalisti fosse composta in maggioranza da non credenti, tutti varcammo il magnifico portone della Basilica con volti compresi, atteggiamenti rispettosi, e forse qualche fremito. Dopo tutto, se anche nel corso della vita c´eravamo man mano scrollata di dosso l´educazione cattolica, il luogo dov´era nato il figlio di Maria non poteva non risvegliare memorie di devozioni infantili, ricordi di feste familiari, volti di persone care scomparse: insomma, una vaga commozione. Ma quel rimescolio di teneri sentimenti durò poco. Entrati nella Basilica, infatti, subito cogliemmo un´agitazione nella fetta di chiesa assegnata ai cattolici di rito Latino, all´Ordine dei Francescani, da dove venivano richiami, esclamazioni, rumori di passi affrettati. Ci inoltrammo sino alla sacrestia, e lì si vide un giovane francescano seduto mogio su una panca, il volto insanguinato, e attorno due o tre confratelli che gli stavano disinfettando con grossi batuffoli d´ovatta una ferita sulla testa. Una caduta, un altro incidente? No, non era di questo che si trattava. La ferita del giovane frate era una conseguenza, una delle frequenti conseguenze, del tormentato condominio della Basilica stabilitosi nei secoli, con i decreti ottomani, tra i più antichi custodi dei Luoghi Santi. I Latini - cioè a dire i cattolici - i Greco-ortodossi e gli Armeni-ortodossi. Un tratto di navata e certi altari ai primi, altri scorci e altari ai secondi, altri ancora ai terzi. Nei giorni precedenti la visita di Paolo VI a Betlemme, i rapporti tra i condomini della Basilica s´erano andati facendo sempre più rissosi. Su quasi tutto erano scoppiate discussioni cocenti. Sugli spazi da cui il Papa sarebbe potuto passare per recarsi alla Mangiatoia, ma senza metter piede su una lastra pavimentale o su un tappeto appartenenti alle altre confessioni. Sull´illuminazione speciale che i francescani volevano installare per quella storica visita, sugli addobbi, i fiori e via dicendo. Dalle discussioni s´era già passati più volte alle vie di fatto, e il frate di cui stavano adesso bendando il capo (colpito duro da un pope greco-ortodosso, come ci dissero i francescani, col manico d´una scopa) era l´ultimo infortunato di quella violenta vigilia. Cose di quarant´anni addietro, e ormai superate? No. A Betlemme sono tornato il Natale del 2005, dunque due anni fa, e ho visto che nulla era ancora cambiato. Mi guidava nella Basilica un giovane frate messicano, Mattia, nel volto le tracce dell´origine india. Scesi alla Mangiatoia, il francescano m´aveva subito mostrato un antico paravento con un lungo strappo sul margine destro. Il danno l´avevano fatto pochi giorni prima i greco-ortodossi, nel corso d´una lite con i francescani. Le cause dello scontro? «Le solite, le solite», spiegava frate Mattia: «C´era un gruppo di nostri pellegrini, e avevamo posto due candelieri ai lati della Stella d´oro che segna il luogo del lavacro del Bambino, qui davanti alla Mangiatoia. I greci si sono precipitati gridando che i candelabri erano troppo vicini alla Stella, che avevamo sottratto qualche centimetro agli spazi di loro competenza, e alla fine uno di loro ha strappato il paravento. Insomma, abbiamo dovuto chiamare la polizia». La polizia, mi raccontarono mezz´ora più tardi gli ortodossi, l´abbiamo dovuta chiamare negli ultimi mesi quattro volte per fermare le aggressioni dei francescani contro di noi. Fuori, suonavano le cornamuse di Natale.