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Il Foglio Rassegna Stampa
19.12.2007 Analisi della strategia americana
in Iraq, ad Annapolis e in Pakistan

Testata: Il Foglio
Data: 19 dicembre 2007
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Ecco che cosa lega Jss Cassino (Iraq), Annapolis e il Pakistan»
Dal FOGLIO del 19 dicembre 2007:

Baghdad, dai nostri inviati. Siccome i soldati americani hanno il senso della storia, hanno chiamato il fortino in bilico sul bordo tagliente tra sunniti e sciiti: Jss “Cassino”. Come la battaglia contro i tedeschi del generale Kesserling che nel ’44 aprì agli alleati la strada verso Roma. Dopo il tetto di Security Station Cassino, dove non si può circolare per i cecchini, ci sono: barriera di cemento con torrette e reticolati e teloni mangiati dal sole per ostacolare un po’ la visuale di tiro; la cima delle palme; i tetti più alti. Dall’esterno non arriva nulla, nemmeno i suoni, non riescono a sovrastare il frastuono dei gruppi elettrogeni. Eccezione: l’altoparlante del muezzin. Di sera, i 70 paracadutisti dell’oupost sgombrano il centro del campo. Chi è stato fuori con la luce è già nelle camerate e chi deve uscire per un’operazione notturna – appostamenti per sorprendere sul fatto chi pianta Ied esplosivi ai lati delle strade – si prepara. Fuori restano solo gli Humvee con le ruote affondate nella ghiaia. Eppure, a dispetto dell’impressione d’isolamento, c’è un filo rosso che unisce il forte con gli altri sparpagliati in tutto l’Iraq, e unisce questi ad Annapolis, nel Maryland, e alla valle dello Swat, in Pakistan, a Fort Leavenworth nel Kansas, ad Algeri e a tanti altri posti. In tutti, l’America combatte per spingere indietro i fronti di una guerra mondiale e degradarli di nuovo allo status di piccoli focolai. Sono conflitti provinciali. Ed è possibile affrontarli e risolverli a livello provinciale, come dimostra Fort Cassino. In politica estera, Washington applica una spinta in senso contrario a quella di al Qaida, che prova a unificare tante aree di tensione in un unico, grande falò. Gli islamo-fascioideologi fanno appello a una rivoluzione generale: sperano sempre nello scoccare della scintilla esplosiva su quel gigantesco arco di instabilità che va da Londra, in Inghilterra, a Manila, nelle Filippine. Gli americani sono al lavoro – e sacrificano vite dei loro militari e montagne di risorse – perché succeda l’oppoposto. Hanno un piano che può funzionare? C’è un vecchio slogan: “Think global, get local”. Gli americani pensano su scala mondiale, ma agiscono con l’aiuto delle popolazioni locali che hanno tutto l’interesse a non inseguire il pensiero apocalittico di al Qaida. Nelle strade attorno al Jss fino a 60 giorni fa un occidentale poteva considerarsi morto – ya sir, come un pollo fritto – senza la protezione standard di tre blindati. Ora ci sono volontari iracheni dappertutto, che controllano ogni faccia e bloccano gli attacchi prima che comincino. Posti di blocco ogni 200 metri. Sulle vetrine dei negozi gli adesivi oggi dicono: “Alza la testa: sei un iracheno”. Nella valle dello Swat, in Pakistan, orde di talebani sono pronte per muovere sulla capitale Islamabad con attacchi e attentati suicidi. Ma il nuovo capo delle forze armate, Ashfaq Kiyani, è riuscito a ottenere l’alleanza dei consigli locali, stanchi dei combattenti stranieri di al Qaida – “quegli arabi” –, famelici e prepotenti, e stanchi anche della loro ossessione per la guerra. Kiyani si sta riprendendo lentamente la vallata. Il generale è in contatto stretto con il dipartimento di stato americano, almeno da un anno, e in passato ha studiato a Fort Leavenworth, nel Kansas, dove ha insegnato il generale William Wallace. Quest’ultimo è un teorico della controguerriglia ed è stato mentore di David H. Petraeus, lo stratega che in Iraq è riuscito a diminuire del 70 per cento le vittime tra i civili e i militari. E’ il filo rosso che passa anche da Fort Cassino e lega uomini e situazioni lontani. Alla conferenza di pace ad Annapolis, nel Maryland, gli americani hanno cercato una soluzione locale alla questione palestinese, invitando a parlare tutti i vicini, persino la Siria. Come in Iraq e in Pakistan, si lavora con la fazione più ragionevole, il governo dell’Autorità palestinese e di Abu Mazen, si isola quella più intransigente e aggressiva, Hamas, e si chiede alla popolazione di scegliere e di accettare le conseguenze della propria scelta

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