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Un delitto letterario Batya Gur
Traduzione di Elisa Carandina
Nottetempo Euro 16
Non è da tutti far lezione di letteratura davanti alle telecamere, ma Shaul Tirosh se lo può permettere. Bello, azzimato e vanitoso, il professore dell’Università ebraica di Gerusalemme è una vera star. Poeta impegnato, e impenitente tombeur de femmes, ha il fisico adeguato al ruolo, un ciuffo di capelli argentei, la voce profonda e i modi da gentleman di una mitteleuropa che non esiste più. Per non parlare dell’ammirazione che suscitano i suoi versi, a un tempo estenuati e controcorrente.
Un delitto letterario di Batya Gur è un libro insolito, non solo perché si propone come un racconto poliziesco ambientato nella città santa ma anche perché sa ritrarre, con fine ironia, debolezze e stereotipi dell’intellighenzia israeliana. Attorno a Tirosh ruota un microcosmo di docenti presuntuosi, segretarie isteriche, dottorande col fisico da sciantose e assistenti devotamente monomaniaci.
In una Gerusalemme afflitta da un vento hamsin “secco e sfiancante”, si disegna, a poco a poco, una trama di corteggiamenti, rivalità quotidiane e discussioni infervorate, attorno a grandi utopie poetiche. Poi un triangolo erotico, e la giostra di vanità di una sinistra salottiera e piuttosto annoiata. Business as usual, insomma, se non fosse che due morti ammazzati cambiano repentinamente il tono della scrittura.
Naturalmente ci vuole un commissario, e
Si è mai visto un commissario che si sconforta alla vista dei cadaveri? Eppure non c’è dubbio che sia l’uomo giusto per districarsi tra i labirinti mentali del dipartimento. Proprio lui, a cui il capo ripeteva sempre, con tono sprezzante: “Qui non siamo all’università!”, ha l’occasione per prendersi una rivincita, e rituffarsi nel mondo eccentrico dell’accademia. Troppo intellettuale per i suoi colleghi, Ohayon non lo è abbastanza per farsi prendere veramente sul serio da quegli universitari pieni di sé, quasi tutti, per altro, sospettati di omicidio. “Chi appartiene a un corpo che fa multe, e disperde i manifestanti, non può davvero capire certe cose” gli sibila, a un certo punto, un professore, affabile come un serpente a sonagli. E invece, il commissario lavora di fino, per far vedere a tutti che lui, quando era al campus di Givat Ram, non guardava soltanto le gambe delle studentesse. Eccolo allora trangugiare poesie su poesie, per cercar tra i versi il movente e magari l’arma del delitto.
Di tanto in tanto, Ohayon, seduto nel proprio ufficio, di fronte alla vecchia “chiesa russa, che scintilla al sole silenziosa”, si chiede “come gli uomini riescano, malgrado tutto a condurre a Gerusalemme una vita quotidiana, prosaica, evidente”. E ce lo chiediamo anche noi, mentre giriamo le pagine con crescente impazienza, per scoprire l’assassino.
Riuscirà il nostro eroe a risolvere il caso senza tirare in ballo Nietzche? Non sono autorizzato a dirlo qui. In compenso, però, posso rivelare che i capelli di Sansone hanno un ruolo di tutto rilievo nell’istruttoria. Sansone nel senso dell’eroe biblico, anche lui infedele per vocazione, ma tradito per ben due volte dalle proprie donne.
Giulio Busi
Il Sole 24 ore
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