"Non dialogate con i tiranni" l'appello dei dissidenti islamici all'Occidente
Testata: L'Opinione Data: 12 dicembre 2007 Pagina: 0 Autore: Dimitri Buffa Titolo: «A Roma parla l’altro Islam, quello dei democratici»
Da L'OPINIONE del 12 dicembre 2007:
A leggere e a scrivere, agli analfabeti italiani ed europei campioni del dialogo con i tiranni dei paesi islamici, è dovuto venire insegnarlo il dissidente siriano Farid Ghadry. Una vita da perseguitato prima sotto Assad padre e poi sotto Assad figlio. Quello che la Rice- Chamberlain, come la chiama lui, e il D’Alema Hezbollah embedded, come lo chiamiamo noi, considerano un filo occidentale con cui intrattenere amichevoli rapporti. "Guardate – ha spiegato all’attonita platea del convegno "Fighting for democracy in the islamic world", promosso dalle fondazioni Craxi, Magna Carta, Fare futuro, Appuntamento a Gerusalemme e Shalem – che non basta essere stati educati a Londra per aderire ai valori occidentali di pluralismo, libertà e democrazia, Assad figlio è stato allevato da Assad padre a diventare un piccolo dittatore e noi oggi lo combattiamo, per cui invece che dialogare con lui finanziate la nostra resistenza." Il messaggio chiaro e forte arriva quasi alla fine di una tavola rotonda (preceduta da una breve lectio magistralis di Bernard Lewis) condotta dall’ex internato nei lager russi, l’ebreo Nathan Sharanski, poi diventato ministro nell’ultimo governo presieduto da Sharon, insieme ad altri cosiddetti dissidenti del feroce mondo nazi-islamico: il sudanese Ibrahim Mudawi Adam, lo stesso Ghadry, il libanese "London based" Kasseem Jafaar, l’egiziano Saad Eddin Ibrahim e la donna turca Ayden Kodaloglu. Oltre che dal siriano i richiami al realismo sono arrivati anche dall’esponente libanese della primavera dei cedri di Beirut Kassem Jafaar. Altro che andare a braccetto con gli hezbollah come ha fatto D’Alema. Jafaar ha spiegato a tutti i presenti (dal senatore azzurro Gaetano Quagliariello a Fiamma Nirenstein e Anita Friedman, organizzatrici pratiche degli incontri, fino a Angelo Pezzana che l’altro ieri aveva moderato un’altra drammatica tavola rotonda in cui altri esuli avevano raccontato le proprie persecuzioni) di che lacrime gronda e di che sangue il potere degli hezbollah in Libano. E si tratta di lacrime e di sangue iraniani. Un movimento nato dalla rivoluzione khomeinista, senza alcun seguito popolare mel paese dei cedri se non quello costuito con la propaganda jihadista e con gli attentati, nonché con i soldi e le armi iraniane. Punto. Di orrore ed i morte ha parlato anche l'iracheno Mithal Al-Alusi, che nel 2005 è sopravvissuto a un attentato in cui hanno perso la vita i suoi figli Jamal, di 22 anni, e Ayman, di 30, a sua volta padre di tre bambini, oltre a una delle sue guardie del corpo. Fondatore del Partito della Nazione irachena, che fa della democrazia, dei diritti umani e della libertà d'espressione i suoi obiettivi politici, Al-Alusi ha pagato due volte il suo impegno da dissidente: la prima sotto Saddam Hussein, che lo ha costretto a 27 anni di esilio, e la seconda dopo la caduta del regime, per aver preso parte a un convegno svoltosi in Israele. Per questa sua iniziativa fu espulso nel 2004 dal Congresso nazionale iracheno. "Quando ho deciso di tornare in Iraq - ha raccontato - molti non capivano questa mia scelta, mi chiedevano perché mettessi a repentaglio la mia vita. Ma io volevo costruire un nuovo Iraq, dare vita a una nuova era". A gente come lui noi europei dobbiamo qualcosa che non sia la cinica real politik di chi permette a Gheddafi di piantare le tende davanti all’Eliseo o alla Cina di dettare l’agenda di "non appuntamenti" con il Dalai Lama. E anche a gente come il palestinese Bassem Eid. Che fino a quando si era limitato a monitorare gli abusi israeliani sui suoi "connazionali senza nazione" godeva della stima di Arafat. Poi quando cominciò a fare statistiche anche sui palestinesi uccisi dagli altri palestinesi allora divenne un nemico del popolo da perseguitare e se del caso uccidere. Infatti in occasione delle elezioni del 1996, Eid accusò Arafat di "far uso della televisione pubblica ai fini della sua campagna elettorale" e pagò con il carcere. "Avevo toccato un punto dolente", ha detto ieri, "tanto più che parlavo di attacchi suicidi e omicidi politici". Dimostrando come "anche gli oppressi si possano trasformare in oppressori". In questo desolato panorama non poteva mancare uno dei leader delle rivolte studentesche in Iran, Amir Abbas Fakhravar, che ha passato cinque anni in carcere a causa dei suoi scritti e delle sue interviste. Anche lui ha parlato di torture, a sé stesso e alla propria familgia. Tra le tante vessazioni ha ricordato la famigerata tortura bianca che consiste nel venire messo in una cella di isolamento tutta bianca, con materassi scintillanti di quel colore e nel venire serviti da secondini vestiti anche loro di bianco e nell’avere tutto il tempo una luce bianca accesa negli occhi o quasi. "Dopo qualche settimana – ha raccontato ai presenti al convegno – non riconoscevo nemmeno più mia madre che mi veniva a fare visita".
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