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Il Foglio Rassegna Stampa
07.12.2007 La 101a aerotrasportata in Iraq
e Radio Free Europe contro la propaganda di Al Qaeda

Testata: Il Foglio
Data: 07 dicembre 2007
Pagina: 1
Autore: Daniele Raineri - Giulio Meotti
Titolo: «Perché il piano Petraeus non poteva non nascere dalla 101a aerotrasportata - L’alba nera»

Dal FOGLIO del 7 dicembre 2007, un articolo sulla 101a divisione aereotrasportata:

Roma. Le copertine del Post come le disegnava Norman Rockwell, con i poliziotti bonari e gli avieri appena tornati dal Pacifico con il giubbotto di pelle. I diners a lato della strada con l’insegna al neon, il caffè acquoso e la torta al limone sottovetro. Il baseball, il paginone centrale di Playboy e il tacchino il giorno del Ringraziamento. Come tutte queste cose, anche la 101a divisione aerotrasportata, Screaming Eagles, le aquile urlanti, è entrata sotto la pelle del senso comune americano. Negli ultimi sessant’anni c’è sempre stata. Da Omaha Beach alla gola di Shahi Khot in Afghanistan nel 2001. “Quando i vostri nipoti vi chiederanno dov’eri tu nonno in quei momenti?, voi non risponderete stavo a spalare cacca in Oklahoma. Direte stavo sbarcando in Normandia con quel figlio di puttana di Giorgetto Patton”.
C’è voluta più di qualche guerra e battaglia storica perché la 101a diventasse un pezzo di epos americano. C’è voluto l’incrocio costante e imprevedibile, alla Forrest Gump, con i momenti più memorabili della vita nazionale. Nel 1962 una delle peggiori aquile mai reclutate, a detta dei suoi superiori, “introverso, ritardatario, pessimo tiratore”, è uscita dai ranghi per cercare fortuna con la musica. James Marshall Hendrix o, come lo chiamavano i suoi compagni d’armi, “Jimi”. Il genio della chitarra elettrica esaltava la platea suonando con i denti. E in effetti, secondo i documenti di Fort Campbell, il quartier generale della divisione nel Kentucky, Jimi era uno che ricorreva molto più spesso degli altri paracadutisti alle cure del dentista della base.
Pochi anni prima, nel 1959, le aquile avevano scortato “i nove di Little Rock”, i nove studenti di colore dell’Arkansas a cui i segregazionisti volevano impedire l’accesso al liceo. “I negri non possono mescolarsi ai bianchi in classe”. Il governatore dello stato, Orval Faubus, aveva persino fatto schierare la Guardia nazionale davanti all’ingresso della scuola per bloccare i nove studenti. Folla violenta, manifestanti contrapposti, riservisti armati a pochi centimetri gli uni dagli altri. Il presidente Dwight Eisenhower, che già aveva conosciuto la 101a durante la campagna d’Europa quindici anni prima, chiamò i soldati che più rispettava per il sangue freddo. Fece preparare un contingente di soli militari bianchi per non esacerbare le tensioni. “Il 23 settembre siamo andati davanti alla casa del presidente del movimento per i diritti civili – ricorda Elizabeth Eckfrod, allora una ragazzina quindicenne – ci hanno caricato quelli della 101a, con le jeep, le mitragliatrici e tutto quanto. Ci hanno trasportato a scuola e hanno disperso la folla che urlava contro di noi. E’ andata avanti così per una settimana. E’ la cosa più importante che hanno fatto per noi, ci hanno permesso di andare a scuola”.
Ma non è per la battaglia sui diritti civili e per essersi presi cura dei denti più famosi del rock che le aquile hanno la fama che hanno. Al momento della loro tardiva fondazione, nel 1942, il loro generale, William Lee, disse ai suoi uomini schierati: “Questa divisione non ha storia. Ma ha un rendez vous con il destino”. Due anni dopo, furono scelti per la missione più rischiosa dell’operazione Overlord, la gigantesca e complessa invasione della Normandia per liberare l’Europa in mano ai nazisti. La notte prima dello sbarco furono paracadutati nella campagna francese per prendere obiettivi chiave: ponti, batterie d’artiglieria, ferrovie. Una parte di loro scivolò nella notte normanna a bordo di alianti, trainati fino alla costa da aerei e poi sganciati per compiere l’ultimo tratto in silenzio. A causa del fuoco della contraerea e della nebbia, molte unità si ritrovarono a grande distanza dalle zone d’atterraggio previste. E dovettero conquistarsi la strada con combattimenti rabbiosi, in un territorio pieno di nemici. Il mattino dopo, assieme agli altri reparti, cominciarono la lunga marcia di liberazione verso Berlino.
Quando Steven Spielberg decise di raccontare le gesta dei soldati americani durante la Seconda guerra mondiale, scelse la storia delle aquile della Easy Company e produsse “Band of brothers”, un serial tv di successo che ripercorre tutta la campagna militare. Anche il soldato Ryan di un grande film di Spielberg è uno della 101a. Il secondo grande lancio sull’Europa fu pochi mesi dopo. Operazione Market Garden, per arrivare in Germania passando dall’Olanda. Ma quell’inverno gli americani dovettero subire la collera dell’ultimo contrattacco organizzato di Hitler, sferrato con tutta la disperata potenza residuale del Terzo Reich.

Assediati dalla neve e dai tedeschi a Bastogne, nelle Ardenne, decimati dalle perdite, lontani dalle colonne di rinforzi che faticavano a farsi strada per arrivare in tempo a salvarli, risposero all’ingiunzione di resa con un messaggio laconico: “Al comandante tedesco: COGLIONI! Firmato il comandante americano Anthony McAuliffe”. A differenza di Cambronne a Waterloo, anche lui poco disposto a trattare, gli americani riuscirono però a rovesciare le sorti della battaglia. In Vietnam la 101a si trasformò. Abbandonò i grandi lanci in massa e passò agli assalti con gli elicotteri. “E’ come prendere l’autobus – dicono loro – per andare sul campo”. Ancora una volta, fu rendez vous con il destino. Le battaglie di Hamburger Hill e di base Ripcord, la campagna del Laos. Nei dispacci dell’esercito nordvietnamita si faceva divieto assoluto di ingaggiare battaglia con gli “uomini gallina” – dal badge con la testa di aquila sul braccio – pena perdite troppo alte. Ma anche la 101a tornò in America con un numero di morti doppio rispetto alla guerra mondiale. In Iraq le aquile hanno dovuto cambiare tattica di nuovo. Nel 2003, dopo la cacciata di Saddam Hussein, sono arrivate a Mosul, la terza città più grande del paese, abitata da un miscuglio esplosivo di curdi, sciiti e sunniti. Per primi hanno capito che la guerra asimmetrica non era finita, anzi, richiedeva uno sforzo di adattamento mai visto prima. In quei giorni, nelle camerate delle aquile campeggiavano grossi manifesti: “Che cosa hai già fatto oggi per conquistarti la fiducia degli iracheni?”. Sotto la responsabilità della Airborne l’area di Mosul diventò un ministato funzionante dentro uno stato in fiamme. I soldati si occupavano della raccolta della spazzatura, del funzionamento degli ambulatori, della regolare apertura delle scuole e finanche di tracciare le strisce bianche sulle strade. Fu un modello di convivenza in cui la guerriglia riuscì a penetrare e attecchire soltanto un anno più tardi, quando per normale avvicendamento la 101a fu spostata a sud (ora è a Baghdad). Il giovane generale a due stelle che la comandava fece tesoro di quell’esperienza rivoluzionaria – comprese le stazioni radio nate coi soldi della divisione e i reality show in tv organizzati per stemperare le tensioni etniche – per scrivere il manuale di counterinsurgency oggi in uso dall’esercito americano. Poi, un anno fa, è stato chiamato a Baghdad per comandare tutte le operazioni in Iraq. Si chiama David H. Petraeus.

E uno sul manuale di Radio Free Europe  sulla propaganda di al Qaida in Iraq :

Si intitola “La guerra delle immagini e delle idee” il primo manuale sulla propaganda di al Qaida in Iraq messo a punto dall’organizzazione americana Radio Free Europe. E’ il più ambizioso tentativo di penetrare nel simbolismo dello “Stato islamico dell’Iraq”, il nome che al Qaida ha assunto per muovere guerra al legittimo governo di Baghdad. Gli autori hanno studiato manifesti, proclami, poemi, musiche, videotape e fatwe. L’“emiro” qaidista Abu Omar al Baghdadi due giorni fa nel suo primo messaggio dopo le critiche di Osama bin Laden al fronte jihadista, ha detto di voler trasformare l’Iraq in una “università del terrore” attraverso una serie di attentati contro gli “apostati”, termine utilizzato generalmente per indicare le forze irachene di sicurezza. Dopo aver descritto come sarà “l’inferno dei bizantini”, Baghdadi, che invita tutti i musulmani a “risorgere dall’apatia per restaurare la gloria dei padri”, cita un versetto del Corano: “Si perde la schiuma e resta sulla terra ciò che è utile agli uomini”. Una nuova unità di kamikaze, le “Brigate al Siddiq”, è stata formata per lottare contro tutti gli “i traditori”, i sunniti che hanno preso le armi contro al Qaida, Baghdadi li chiama “Fronte della debolezza”. La nuova alleanza, che si pone alla testa del “Piano Dignità”, al Karama, parla di sé come “Hilf al Motaiyabin”, l’Alleanza dei profumati, dall’usanza islamica di spalmare essenze sul corpo dei morti, e rivendica Baghdad, “la capitale del Califfato islamico edificata dai nostri antenati e ci sarà ripresa solo al prezzo delle nostre vite”. L’emiro dice di trovarsi di fronte alla stessa situazione cui i Compagni del Profeta, “colui che smuove le nuvole”, fecero fronte all’inizio del periodo di Medina: “La nostra lotta contro i Persiani è cominciata, così come la nostra lotta contro i Romani”. Con il termine “Romani”, al Qaida intende da sempre l’occidente giudeo-cristiano. Considerando che “cristiani, sabei e altre minoranze sono nemici dell’islam” e vanno “combattuti” al pari dei “rafida”, gli odiati “scissionisti” sciiti, e di qualsiasi esercito straniero (“anche arabo e islamico”), Baghdadi chiede ai sunniti che hanno rifiutato di “unirsi sotto l’unica bandiera” dello stato islamico di tornare nel seno qaidista. E avvisa la popolazione: “Unitevi a noi o bombarderemo ogni vostra singola casa e taglieremo le vostre teste”. Il messaggio è uscito sul sito jihadista hesbah.net, saltato alle cronache un anno fa quando trasmise il mandato di morte contro il filosofo francese Robert Redeker, autore di un celebre articolo critico sull’islam. La fatwa recitava: “Ecco il maiale che ha criticato il profeta Maometto. Questo giorno non deve concludersi senza che i leoni del Tawhed lo abbiano punito”. E l’invito a seguire l’esempio del “leone dei Paesi Bassi”, Mohammed Bouyeri. “Che Allah invii un leone a decapitarlo”. Con tutti i dettagli: foto della casa, indirizzo, email e telefono. La mistica takfir di al Qaida, come emerge dal manuale di Radio Free Europe, vuole che gli affiliati esilino se stessi (al Hijra) nel deserto per praticare il completo isolamento (al Uzla). Gli americani sono chiamati “adoratori della croce sionista”, l’esercito e la polizia “idolatri”, si parla ovunque di “nemici crociati e savafidi”, mentre il governo centrale è costituito da “munafiqun”, Ipocriti, dal nome di coloro che all’epoca di Maometto si convertirono all’islam soltanto per aver salva la vita. Al Qaida ha composto 29 poemi sul jihad iracheno e li ha riuniti sotto il titolo “Pulpito del monoteismo”. Sono testi pieni di richiami alla “tenerezza”, alla “sincerità e obbedienza”, elogi al “cecchino sulla strada della morte”, racconti sui compagni del Profeta, ma anche denunce ai “dipendenti dei crociati” che saranno spazzati via dalla “Sada al Rafidayn”, Eco delle due rive, il Tigri e l’Eufrate. I messaggi sono preceduti dal “rigetto del diavolo” e dalla professione di fede di chi “cerca rifugio in Dio”. Non mancano richiami alla “vendetta contro coloro che hanno sporcato il puro onore delle nostre sorelle”, così come Abu Musab al Zarqawi dedicò versi alle “lacrime di una ragazza pura come la neve”. Al Qaida proclama la necessità di “distruggere l’oscura notte dell’ingiustizia” attraverso “coraggio, unità e fratellanza”, perché “il tempo dell’orgoglio è giunto” e i mujaheddin che andranno “come leoni in battaglia” riusciranno ad abbattere “i troni della tirannia”. A loro favore soffiano infatti “i venti del Paradiso”. Uno dei testi di al Qaida più celebri fra i jihadisti porta il titolo di “Avanza, o eroe”: “Sulle teste dei nemici spargi il veleno, riempi l’universo di grida. Il mio motto è: ‘Non sarò sconfitto’. Oh artificiali nazioni della cristianità, è arrivato il leone”. “Il jihad ci ricorda che i nostri antenati hanno sconfitto i romani. E ciò che disse Ka’ab ibn Zuhair: ‘Colui che imita il padre è autentico’”. “Romano” nel gergo qaidista è non soltanto Bush, ma anche Benedetto XVI (“stupido maiale”) dopo il discorso di Ratisbona: “Tu e i tuoi romani sarete sconfitti come accade in Iraq, Afghanistan, Cecenia e altrove. Allah aprirà le porte di Roma ai musulmani, come ci ha promesso il messaggero e come è successo a Costantinopoli”. Anche lo sceicco Yusuf al Qaradawi ha detto che “la terra di Ar Rum è l’Europa e Roma è il suo cuore. Il Messaggero di Allah ci ha dato buoni segni che conquisteremo Roma”. Come dimostra il prezioso manuale di al Qaida realizzato da Radio Free Europe, i terroristi salafiti anelano dall’Iraq a imporre anche all’Europa un’oscurità più densa della notte: “Fermate l’alba se potete, impedite al sole di emanare la sua luce e ai fiori gli odori”.

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