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Agenzia Radicale Rassegna Stampa
06.12.2007 L'industria dei falsi antisraeliani
l'esempio di "Jenin, Jenin"

Testata: Agenzia Radicale
Data: 06 dicembre 2007
Pagina: 1
Autore: Elena Lattes
Titolo: «Il falso di "Jenin, Jenin"»

Dal sito AGENZIA RADICALE:

Il cinema di Tel Aviv e Gerusalemme che proiettarono il film "Jenin Jenin", rivelatosi un clamoroso falso per ammissione del regista stesso, hanno pagato 40mila Shekel (circa 8000 Euro) ai cinque riservisti che avevano querelato l'autore per diffamazione.

Per chi non ricordasse i fatti, nell'aprile del 2002, per tentare di arginare gli attentati che quotidianamente falciavano numerose vite, l'esercito israeliano entrò nella città di Jenin con un'unità di fanteria alla ricerca di terroristi casa per casa, anziché colpire da lontano con mezzi aerei. L'operazione, durata 8 giorni, fece in tutto 75 morti, di cui 23 israeliani e 52 palestinesi tra questi ultimi 38 erano armati.

Come spesso avviene, però, la propaganda palestinese, organizzò una vera e propria messinscena con finti funerali e vecchie carcasse di animali riesumate per far credere al mondo che in realtà gli israeliani avevano ucciso centinaia, se non migliaia di persone innocenti. Questi piccoli trucchi furono presto scoperti, ma l'idea del massacro perpetrato dall'esercito contro inermi rimase.

Muhammad Bakri, un regista arabo israeliano, realizzò quasi immediatamente un "documentario" in cui si affermava che i soldati avevano deliberatamente colpito civili indifesi e che le atrocità commesse rientravano nei crimini di guerra. Cinque riservisti coinvolti in quei fatti, Ofer Ben-Natan, Doron Keidar, Nir Oshri, Adam Arbiv e Yonatan Van Kaspel, pur non essendo direttamente nominati nel film, lo querelarono allora per diffamazione, affermando che esso calunniava i loro compagni e l'intera unità in cui avevano servito; chiamarono in causa anche le cineteche, poiché avevano pubblicizzato il film usando locandine con l'immagine di Ben-Natan e Keidar, chiedendo loro un risarcimento in denaro.

All'inizio del 2005 Bakri confessò in tribunale di aver usato informazioni sbagliate che gli erano state fornire da testimonianze "oculari" selezionate, ma che non ne aveva controllato l'attendibilità. Aveva anche ammesso di aver ricevuto dei finanziamenti da parte dell'Autorità Palestinese e in particolare che parte delle spese per il film era stata coperta da Yasser Abed Rabu, allora ministro palestinese per la cultura e l'informazione nonché membro del comitato esecutivo dell'Olp sotto la direzione dell'allora presidente dell'Autorità Yasser Arafat.

Bakri si rivolse allora all'Alta Corte dopo che l'associazione israeliana Motion Picture si era rifiutata di proiettare il film, affermando che esso offriva una versione dei fatti distorta a favore di una parte (quella palestinese). Nel verdetto si sentenziò che stava al pubblico se scegliere o meno di vedere il film e valutare la sua effettiva accuratezza. Tuttavia, secondo l'avvocato dei querelanti, Amir Titonowitz, gli elementi presi in considerazione dall'Alta Corte non sono direttamente correlati alle leggi sulla diffamazione e quindi non possono essere utilizzati a difesa dei querelati.

Recentemente, quindi, i cinema hanno deciso di sistemare la questione in modo extragiudiziale, riconoscendo ai soldati un rimborso poco più che simbolico (30 mila shekel, in totale, verranno pagati dai cinema di Tel Aviv e 10 mila dai gerosolomitani). Uno dei cinque sembra comunque soddisfatto: "Ora ci resta soltanto la battaglia contro Bakri stesso. Abbiamo un debito morale verso i nostri amici che furono uccisi o feriti a Jenin.

Ogni direttore adesso ci penserà due volte prima di filmare delle menzogne e ogni cineteca presterà più attenzione a ciò che proietta. 

In tutto il mondo, Italia compresa, l'opera in questione è stata presentata in questi anni come documentario affidabile, partecipando a diversi Festival e addirittura vincendo quello di Cartagine.

Questo non è il primo caso in cui viene appurato che le accuse verso gli israeliani sono false. A parte casi relativamente piccoli e risoltisi in breve tempo, recentemente è tornato alla ribalta l'episodio di Mohammed Al Durra che, secondo una martellante propaganda, fu ucciso dagli israeliani, mentre sembra che sia addirittura ancora vivo. La televisione francese, infatti, che realizzò il servizio, è stata costretta sempre da un tribunale a rendere pubblica la parte del filmato che aveva tagliato e nascosto.

A scoprire, invece, l'industria fotografica e mediatica messa su dagli Hezbollah, da cui venne coniato il neologismo Hezbollywood, durante la guerra libanese-israeliana del 2006, furono alcuni blogger americani e la Reuters si vide costretta a licenziare uno dei suoi fotoreporter. Ora la sentenza della Corte di Giustizia israeliana conferma, riconoscendo che i soldati israeliani erano stati diffamati, quel che già si sapeva dal 2005, cioè che il filmato di Bakri era un falso, come egli stesso aveva ammesso.

Anche creare falsi così clamorosi e diffamatori rientra nella "legittima critica allo Stato di Israele"?

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