Così la patria di Spinoza è diventata il "regno della paura" l'Olanda e il ricatto del fondamentalismo islamico
Testata: Il Foglio Data: 04 dicembre 2007 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Modello Olanda»
Dal FOGLIO del 4 dicembre 2007:
Roma. Il copione è tristemente identico a quello del 2004. La denuncia di uno stagno persecutorio (la sessualità nell’islam) e la forza carismatica di un artista iconoclasta. Dentro al vortice islamista tre anni fa finì un regista scandaloso che ammirava Roman Polanski, Theo van Gogh, il grande ateo d’Olanda con uno zio antifascista fucilato nel 1945 nelle dune del Mare del Nord. Stavolta, a subire i miasmi della persecuzione, è una giovane artista iraniana di nome Sooreh Hera. Aveva presentato al Museo dell’Aia un’installazione di fotografie che ritraggono coppie omosessuali. Titolo: “Adamo e Eva”. In una i modelli indossano maschere di Maometto e Alì. Sono state ritirate dal museo come accadde all’opera teatrale “Aisha”, allora perché mostrava una delle mogli del Profeta, oggi per l’accostamento blasfemo tra le due nobili figure della storia islamica. I timori di attentati islamisti sarebbero troppo alti e la fotografa ha ricevuto minacce di morte. Il Partito della libertà di Geert Wilders, che a dispetto del nome è l’uomo meno libero dei Paesi Bassi e che figurava in cima alla blacklist di Mohammed Bouyeri prima che recidesse la carotide di Theo van Gogh, ha detto che l’Olanda è diventata il “regno della paura”. I due modelli avevano chiesto di comparire mascherati, sapevano di poter finire come il trisnipote del celebre pittore. Una precauzione che assumerà anche l’ex deputata olandese e dissidente somala Ayaan Hirsi Ali per il seguito di “Submission”, il film costato la vita all’amico. Subito dopo la morte di Van Gogh, un predicatore salafita disse che “questa da ora in poi sarà la tassa che dovrà pagare chiunque offenderà Allah”. Tutti gli artisti erano avvertiti. La fotografa iraniana spiega che “il direttore del museo sapeva bene che c’era un Maometto gay, nelle mie opere, aveva detto che il mio era un lavoro molto bello, e io avevo pensato: ‘Beh, finalmente qualcuno con un po’ di coraggio’. Tutto era pronto. Ma si vede che una minoranza musulmana può decidere chi ha diritto di esibire la sua arte”. E siamo nel paese che ha eletto il corsaro gay Pim Fortuyn “più grande olandese di tutti i tempi”, prima di Anna Frank, Guglielmo d’Orange ed Erasmo. Qualche mese fa c’era stato il caso del cabarettista Ewout Jansen, intendeva dimostrare che “è impossibile ridere del Profeta”. Colpito da un editto fai da te dei proconsoli del wahabismo, Jansen fu costretto a farsi proteggere dalla polizia. C’è stato il caso del pittore musulmano Rachid Ben Ali. Dipinge imam vestiti da nazisti fra cadaveri, bombe e frasi coraniche. Ha dovuto abbandonare di notte il proprio letto e riparare in albergo a causa delle minacce dei fondamentalisti. La femminista Ebru Umar, secolarista di origine turca, è stata aggredita vicino a casa dopo che aveva rilevato la rubrica di Van Gogh sul quotidiano Metro. Il produttore Gijs van de Westelaken ha accettato di non trasmettere più il film “Submission”. E il nuovo libro di Ayaan Hirsi Ali, “Infidel”, è stato pubblicato senza nome del traduttore. Recentemente una columnist del quotidiano Nrc Handelsblad, Hasna el Maroudi, è stata costretta a cessare la collaborazione a causa degli avvertimenti violenti. Il teorico liberale Paul Cliteur dopo la morte di Van Gogh annunciò che non avrebbe più criticato l’islam per paura. L’intelligence è in stato di allerta per il corto “La vita di Maometto” di Ehsan Jami, il fondatore del Comitato per gli ex musulmani. La pellicola, che sarà trasmessa a inizio anno, intende “dimostrare la natura violenta e tirannica di Maometto, che assassinò le tribù ebraiche, uccise gli apostati e sposò una bambina di nove anni”. “Uccideranno anche noi” Il direttore del museo, Siebe Weide, si difende dicendo che “siamo liberi di scegliere cosa esibire”. Ma il peso specifico dell’autocensura in Olanda ha toccato livelli senza precedenti. E’ il paese che nel Seicento e nel Settecento pubblicava Molière, Victor Hugo e Swift, autori proibiti nelle rispettive nazioni, e che dal giorno alla notte è stato sommerso di videocassette che celebrano la decapitazione di parlamentari che hanno lottato contro la mutilazione genitale. Sulla stampa circola una battuta: “Freedom of speech – use it or lose it”. “Siamo al centro di una guerra per la restaurazione della correttezza politica” ci dice lo scrittore Leon de Winter. “Osservo un silenzio incredibile da parte dello stars system e della nostra ossequiosa intellighenzia. Pensano che sia normale che per non offendere i musulmani radicali si debba rititare un’opera d’arte. Sul mio giornale ho scritto la lettera che il nostro ministro non compilerà mai. Dovrebbe dire che ‘è mio dovere difendere la libertà d’espressione’. Ho paura di questa autocensura, che il popolo sia drogato di timore e che il governo non protegga la nostra libertà”. Questa guerra asimmetrica è arrivata al punto tale che i socialdemocratici si sono opposti a un monumento elegiaco a Theo van Gogh. Questa la motivazione: “Loro lo hanno ucciso, se noi lo memorializziamo, uccideranno anche noi”.
Per inviare una e-mail alla redazione del Foglio cliccare sul link sottostante lettere@ilfoglio.it