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Tredici soldati Ron Leshem
Traduzione di Ofra Bannet e Raffaella Scardi
Rizzoli Euro 17
“Il Libano l’ho conosciuto per la prima volta nel cuore della Striscia di Gaza, nell’autunno del Ron Leshem, nato a Ramat Gan nel 1976, inviato del quotidiano Yediot Acharonot, giunge nella Striscia per documentare la morte di David Biri, un infermiere combattente della Brigata Ghivati, colpito da un ordigno esplosivo.
Incontra Rotem Yair, un giovane ufficiale che gli parla della Terra dei Cedri e di quanto è accaduto a Beaufort, una fortezza crociata sulle alture del Libano meridionale conquistata da Tsahal nel 1982 ed abbandonata nel 2000.
Da quell’incontro nasce il romanzo “Tredici soldati”: bestseller in Israele, vincitore del premio letterario Sapir, il libro ha ispirato il registra Joseph Cedar dal quale ha tratto il film “Beaufort” premiato al Festival di Berlino.
Ambientato durante gli ultimi mesi della prima guerra del Libano, è la storia di un gruppo di ventenni che vogliono combattere per difendere Israele, ma a Beaufort si trovano in trincea a fronteggiare i colpi di mortaio sparati da un nemico feroce quanto invisibile.
E nei confronti di quei giovani Leshem non nasconde la propria ammirazione: il rimpianto di non aver combattuto non è per la mancanza di emozioni forti ma per quell’amicizia salda e forte che nasce quando “la tua vita dipende dall’altro”.
Cosa è Beaufort?
Ce lo racconta Liraz Liberti, Erez, un ufficiale che ha subito richiami disciplinari, una testa calda, responsabile di tredici soldati che hanno il compito di ispezionare le vie d’accesso all’avamposto alla ricerca di mine.
“Beaufort significa backgammon, caffè nero e toast…Beaufort sono i turni di guardia per sedici ore al giorno….Beaufort è partire per un appostamento di settantadue ore con una scorta di salame nello zaino….”
Ma Beaufort è anche il freddo atroce, la nostalgia della famiglia, della fidanzata, è la paura (che non si può nominare) di essere colpiti dai missili di Hezbollah.
A Beaufort si stringono amicizie, si solidarizza, si discute ma lo spirito di corpo prevale e costituisce il vero cemento anche nei momenti in cui sembra che la disperazione prenda il sopravvento.
I personaggi che ruotano attorno a Erez sono tipi duri, dolci, nostalgici, religiosi o laici ma tutti consapevoli di compiere una missione: la difesa del proprio paese: Zitlawi “una persona calorosa, buffa, felice….conquistava tutti, non si lamentava mai”, Emilio “un povero ragazzo immigrato dall’Argentina”, Spitzer troppo tranquillo, Bayliss religioso e giusto, Eldad presuntuoso e sicuro di sé.
Momenti durissimi che tolgono il respiro sono quelli che raccontano la perdita dei compagni colpiti da quel nemico invisibile Hezbollah che ama la morte ancor più della vita: la morte di Ziv “a cinque giorni dal congedo”, di Zitlawi “era la prima sera di Channukkà ma non abbiamo acceso le candele”, di Spitzer “….Ho visto l’orrore. Mancava la testa. Restavano le due braccia, appese. L’interno era tutto bruciato. Non usciva sangue. Carbonizzato….”
Scritto con un linguaggio crudo e duro che non lascia spazio a metafore, il romanzo infarcito di slang militari e di espressioni spontanee, grazie ad uno stile immediato consente di cogliere le minime sfumature dell’ambiente militare e dell’atmosfera che pervade i giovani soldati in procinto di abbandonare l’ultimo avamposto in Libano.
Con questo romanzo Leshem ha saputo raccontare la forza, il coraggio, l’angoscia e i dubbi di una generazione che pur seppellendo i suoi amici è riuscita a conservare intatto l’amore per il suo Paese e la volontà di continuare a proteggerlo.
Giorgia Greco
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