Cambiare opinione non è riprovevole. Lo è invece dimenticare ciò che si è stati. Abbiamo ricevuto dalla Comunità islamica italiana Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana
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un vecchio articolo del nostro presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lo pubblichiamo non in polemica con l'autore,anzi, abbiamo apprezzato non poche delle sue recenti prese di posizione, ma perchè è indicativo di una mentalità tutt'altro che scomparsa. Chi esprime dissenso dalla vulgata maggioritaria, non è qualcuno che la pensa diversamente, no, merita l'etichetta più insultante, a scelta,secondo da quale parte politica proviene l'accusa. Tutta la storia comunista che sta dietro all'articolo di Napolitano è illuminante per individuarne la mancanza di democrazia. Quella vera, non l'aggettivo che accompagnava le Repubbliche Socialiste. Rileggerlo oggi, può essere utile.
Eccolo:
Ecco il testo integrale dell'articolo apparso il 20 febbraio del 1974
sull'Unità, nel quale Giorgio Napolitano spiegava perché la cacciata di
Aleksandr Solzhenitsyn dall'Urss fosse la «soluzione migliore» che il
partito comunista sovietico potesse adottare.
L’ESPERIENZA SOVIETICA E LA NOSTRA PROSPETTIVA
ANCORA SUL «CASO SOLGENITSYN»
Pubblichiamo questo articolo del compagno Giorgio Napolitano, membro
della Direzione del PCI e responsabile della Commissione culturale, che
comparirà sul prossimo numero di «Rinascita».
Anche se il clamore suscitato dall’arresto di Solgenitsyn è venuto
calando, dopo la decisione delle autorità sovietiche di privarlo della
cittadinanza e dì espellerlo dall’URSS; anche se alcuni giornali sono
rapidamente passati dai toni declamatori e drammatici a quelli, bonari e
fatui, delle curiosità sullo «shopping» di Solgenitsyn per le vie di
Zurigo o sulle cospicue somme da lui accumulate, grazie ai diritti
d’autore, nelle banche svizzere, nessuno più di noi sente la necessità
di ritornare sui problemi che il grave caso dello scrittore sovietico ha
posto e pone. E’ proprio a noi che tocca compiere uno sforzo di
riflessione seria e oggettiva, visto che da tante altre parti, anche e
in particolare nel nostro paese, ci si è, nei giorni scorsi, preoccupati
essenzialmente di alzare il solito polverone propagandistico, di
sfruttare l’occasione per una polemica a buon mercato sull’URSS, sul
comunismo e perfino (si pensi a quel che hanno farfugliato i giornali
del PRI e della DC) sul PCI.
Non è facile, certo, vogliamo dirlo, superare il senso di fastidio
politico e morale che hanno sollevato in ciascuno di noi questa scoperta
strumentalizzazione del caso Solgenitsyn, questa dilatazione acritica e
forsennata — da parte di alcuni — di una vicenda indubbiamente
significativa e preoccupante ma non tale da giustificare la scelta di
chi le ha dato, nelle trasmissioni del telegiornale, la precedenza su
ogni altro avvenimento internazionale e nazionale, questo cieco rilancio
in certi casi — delle immagini più fosche della propaganda
antisovietica. Ma questo legittimo senso di fastidio non ci impedisce di
entrare nel vivo dei problemi reali a cui il caso Solgenitsyn ci
richiama: anche se dopo aver ristabilito alcune indiscutibili verità.
Il punto di rottura
La prima di queste verità — che va decisamente ribadita, dinanzi alla
contrapposizione di comodo tra «mondo comunista» e «mondo libero» — è
quella relativa non solo ai pesanti condizionamenti oggettivi che la
struttura economico-sociale capitalistica e la crescente concentrazione
monopolistica fanno gravare sull’esercizio della libertà di espressione,
ma anche ai limiti che lo stesso riconoscimento formale di questa
libertà tuttora presenta in Italia. Lelio Basso — in un articolo pure
apertamente critico nei confronti, dell’URSS — ha giustamente reagito
all’esaltazione — da chiunque venga, anche da Sacharov — della «libertà
occidentale», ricordando come il capitalismo e l’imperialismo tendano a
ridurre l’uomo a semplice congegno di una macchina disumana e a
manipolarne la coscienza. «Chi crede nei supremi valori di spiritualità
e di libertà» — diciamo perciò all'on. Piccoli — ha molto da fare
innanzitutto nel proprio paese, in Italia, contro le degenerazioni
provocate dallo sviluppo monopolistico e dal sistema di potere della DC
nei rapporti sociali ed umani e nel costume, contro gli arbitri
padronali, contro gli abusi polizieschi e giudiziari, contro la
sopravvivenza di norme giuridiche fasciste che colpiscono, come
«vilipendio» delle istituzioni, i reati di opinione.
E l’altra verità da ristabilire è quella relativa al punto cui era
giunto il rapporto tra Solgenitsyn e Io Stato sovietico. Nessuno può
negare che lo scrittore (come d’altronde si ammetteva tra le righe degli
stessi articoli scritti nei giorni scorsi per esaltarlo) avesse finito
per assumere un atteggiamento di «sfida» allo Stato sovietico e alle sue
leggi, di totale contrapposizione, anche nella pratica, alle
istituzioni, che egli non solo criticava ma si rifiutava ormai di
riconoscere in qualsiasi modo. Non c’è dubbio che questo atteggiamento —
al di là delle stesse tesi ideologiche e dei già aberranti giudizi
politici — di Solgenitsyn, avesse suscitato larghissima riprovazione
nell'URSS.
Che questa ormai aperta, estrema «incompatibilità» sia stata sciolta
dalle autorità sovietiche non con un’incriminazione di Solgenitsyn, ma
con la sua espulsione, può essere considerato più o meno «positivo»;
qualcuno può giudicarla obiettivamente, come l’ha giudicata, la
«soluzione migliore», senza peraltro sottovalutarne — e, per quel che ci
riguarda noi certo non ne sottovalutiamo — la natura di grave misura
restrittiva dei diritti individuali; ma solo commentatori faziosi e
sciocchi possono prescindere dal punto di rottura cui Solgenitsyn aveva
portato la situazione e possono, a proposito dell’esito cui si è giunti,
evocare lo spettro dello stalinismo. Tutto quel che è accaduto — la
vicenda di Solgenitsyn e il suo epilogo — sarebbe stato impensabile nei
periodi più duri della storia sovietica.
Il problema reale non è quello di un presunto «ritorno allo stalinismo»,
ma quello, ci sembra, di come potevano essere intese e portate avanti la
correzione e la svolta del XX Congresso del PCUS, al dì là della
denuncia delle massicce repressioni e del superamento delle illegalità
del periodo staliniano (che è il punto su cui in questo momento
insistono i dirigenti sovietici, respingendo fermamente l’accusa di una
qualsiasi sopravvivenza di quelle illegalità). Fin dove si è arrivati,
nel necessario sforzo di arricchimento e sviluppo della democrazia
socialista di articolazione nuova così come esigeva la stessa crescita
della società sovietica — della vita sociale, politica e culturale, di
avvio di un più largo e aperto confronto e dibattito su tutti i terreni,
anche in relazione al progredire — grazie all’URSS, in primo luogo —
della distensione internazionale e all’infittirsi delle relazioni e
degli scambi tra l’URSS e il mondo capitalistico? Di sviluppi di queste
direzioni certamente ce ne sono stati, come dimostra l’ulteriore, forte
progresso economico, scientifico, tecnico e culturale dell’URSS, che
senza di essi non sarebbe stato possibile negli ultimi anni; ma sono
anche emersi nodi assai resistenti e difficili a sciogliersi. Si tratta
di concezioni dell’unità (del partito e della società sovietica) e della
lotta contro le posizioni ideologiche e politiche considerate spurie o
nemiche, e insieme di rapporti (tra partito, Stato e società, tra
ideologia, politica, e cultura), che affondano le loro radici in una
storia intensa e drammatica e che non è facile prevedere come possano
modificarsi.
Ma nessun contributo danno al positivo scioglimento di questi difficili
nodi le rappresentazioni unilaterali e tendenziose della realtà
dell’URSS, le accuse arbitrarie, i tentativi di negare l’immensa portata
liberatrice della Rivoluzione d’ottobre, lo straordinario bilancio di
trasformazioni e di successi del regime socialista, tutto quel che di
nuovo sì è delineato nella vita sovietica a partire dal XX Congresso del
PCUS. E’ questa negazione, fattasi via via sempre più cieca, che ha
segnato la condanna di un’opera come quella di Solgenitsyn, che pure
aveva preso le mosse da una giusta battaglia di rottura col passato
staliniano. Non possono, più in generale, inserirsi in una ricerca
onesta e fruttuosa le tendenze, che sull’onda dell’ultimo libro di
Solgenitsyn si vanno diffondendo, ad attribuire sommariamente a Lenin la
responsabilità delle deformazioni e dei guasti della politica staliniana
e a cancellare così — insieme con le specificità dell’uno e dell’altro
periodo storico (che noi crediamo vadano sottolineate pur senza ignorare
gli elementi di continuità che li legano) — il senso stesso del XX
Congresso. Del tutto fuorvianti, infine — oltre che manifestamente
contrarie agli interessi supremi della pace — vanno considerate le
posizioni dì quanti vorrebbero «imporre» una «liberalizzazione»
all’interno dell’URSS subordinando in modo inammissibile Io sviluppo del
processo di distensione a non si sa quali mutamenti del regime politico
e dell’ordinamento giuridico sovietico.
E’ invece proprio dallo sviluppo del processo di distensione, oltre che
dall’ evoluzione del movimento comunista internazionale, che può venire
una spinta all’affermarsi di un clima di maggiore tolleranza e di più
aperto e fiducioso confronto, sul piano ideale, culturale e politico, in
seno ad organismi come l’Unione degli scrittori — uno dei problemi che
in questo momento vengono riproposti — e nell’insieme della società
sovietica. Già all’epoca in cui venne rifiutata la pubblicazione di
alcuni romanzi di Solgenitsyn, noi esprimemmo non solo l’esigenza di un
pieno riconoscimento della libertà di espressione, ma la convinzione che
la coscienza socialista e il livello intellettuale e culturale delle
grandi masse dei cittadini sovietici, la coesione ideale e politica dei
popoli sovietici consentissero di andare con la più grande sicurezza a
discussioni pubbliche su opere e tendenze culturali ed artistiche —
anche le più criticabili — una volta che se ne fosse ammessa la
circolazione nell’URSS. Lo stesso metodo del confronto serrato, della
discussione argomentata, della critica persuasiva, può essere
considerato sufficiente garanzia ed arma efficace anche nei confronti di
tesi ideoLogiche e politiche che appaiano estranee agli indirizzi e agli
interessi del socialismo.
La scelta Reale
Ma non presumiamo con ciò di indicare ad altri la strada da percorrere,
e tanto meno di suggerire facili regole di condotta. E’ solo
dall’interno del processo storico di sviluppo della società sovietica
che potranno scaturire soluzioni ai problemi che oggi risultano
irrisolti. Una strada noi non possiamo che indicarla a noi stessi: la
strada da percorrere per avanzare in Italia, nella democrazia e nella
pace, verso il socialismo. E’ per impedirci di procedere — conquistando
ancora nuove posizioni — su questa via, insieme con altre forze di
sinistra e democratiche, che si tenta di rilanciare l’antisovietismo e
l’anticomunismo, in un momento in cui i progressi verso un’effettiva
coesistenza pacifica si fanno più difficili e si moltiplicano le manovre
insidiose dell’imperialismo. Si cerca così di diffondere una visione
deforme dell’Unione Sovietica e insieme di negare l’originalità della
prospettiva che sta davanti al movimento operaio del nostro paese e
dell’Europa occidentale. E invece più Si approfondisce — come da parte
nostra si sta facendo — lo studio obiettivo della storia sovietica, più
si comprende la peculiarità irripetibile di quella grandiosa vicenda,
con tutto il suo carico di trasformazioni rivoluzionarie senza
precedenti e di contraddizioni, e sempre meglio si possono cogliere nel
suo corso travagliato i momenti di svolta e le radici degli sviluppi
negativi. Il confronto con l’esperienza sovietica, il modo stesso in cui
è venuto crescendo e da decenni si muove il PCI, la profonda diversità
del contesto storico, internazionale e nazionale, entro cui si colloca
la nostra ricerca e la nostra lotta in Italia, garantiscono la validità
e verità della prospettiva che noi indichiamo: quella di uno sviluppo
verso il socialismo che nasce dalle battaglie per difendere e portare
avanti la democrazia, quella di una società socialista riccamente
articolata e aperta ad ogni confronto. Non c’è nulla di più falso
dell’alternativa, che si tende a riproporre, tra un «comunismo» che
arbitrariamente si identifichi con il modello sovietico come «unico
possibile», e un regime di culto formale della «libertà». Si tratta
invece di scegliere oggi in Italia tra un estremo aggravarsi della crisi
della società nazionale — che è anche crisi delle forze che finora
l’hanno diretta, e dei valori che hanno presieduto al suo caotico
sviluppo — e l’avvio di un autentico, profondo processo di rinnovamento
economico, sociale, politico e ideale, il solo che possa rendere sicure
le libertà costituzionali e rimuovere gli ostacoli che ne impediscono Il
concreto esercizio. E’ questa la scelta reale che sta davanti a tutte le
forze democratiche e che per noi comunisti italiani fa tutt’uno con la
prospettiva del socialismo, quale lo concepiamo e lo vogliamo per il
nostro paese.
Giorgio Napolitano