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Giorgia Greco
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Sergio Della Pergola Israele e Palestina: la forza dei numeri
Israele e Palestina: la forza dei numeri  Sergio Della Pergola
 Il Mulino, pagg. 264, euro 15


Per la cultura italiana, oppressa da eccessi di ideologia, l´itinerario proposto da Sergio Della Pergola (Israele e Palestina: la forza dei numeri, Il Mulino, pagg. 264, euro 15) per l´analisi della questione israeliano-palestinese è salutare. Partendo dalla complessa storia di Arabi ed Ebrei tra il Giordano e il Mediterraneo, dai conflitti che ne hanno marcato la convivenza nell´ultimo secolo e, soprattutto, dall´evoluzione demografica e sociale delle due etnie ("la forza dei numeri"), si giunge all´analisi politica delle opzioni future. Anticipiamo subito quella che per l´autore è l´unica prospettiva ragionevole, praticabile e capace di evitare il protrarsi del conflitto: la compresenza di due stati, uno israeliano-ebraico l´altro palestinese-arabo, «entrambi basati su chiare definizioni etniche, culturali e religiose». È questa la sola via percorribile per raggiungere la stabilità politica nella regione. Purché si salvaguardi l´aspirazione fondamentale di Israele di conservare una società coesa attorno a «ben riconoscibili parametri culturali ebraici e quindi – nel nome della democrazia – basata su una chiara e permanente maggioranza ebraica nella popolazione totale». Ma per mantenere questa coesione è necessario rinunciare non solo al sogno della "Grande Israele" ma anche ai territori occupati dopo la guerra dei sei giorni del giugno 1967, ridefinendo i propri confini con alcune minori ma delicate operazioni chirurgiche di scambio territoriale con lo stato Palestinese.
Questa soluzione realista è la conseguenza della forza dei numeri. L´intera Palestina è una piccola regione (28.000 kmq, poco più del Piemonte o della Sicilia); oggi ci vivono 11 milioni di abitanti (con numeri equivalenti per ebrei e arabi), rispetto a poco meno di 2 milioni nel 1948, anno dell´indipendenza; la densità demografica è altissima (specie se si tiene conto che poco meno della metà del territorio, il Negev, è desertico) per un territorio fragile sotto il profilo ambientale e povero di risorse idriche e naturali. Oltretutto la popolazione continuerà ad accrescersi notevolmente, e si stima che nel 2020 raggiungerà 14,5 milioni e 23,5 nel 2050. Questa crescita è dovuta in prevalenza alla componente arabo-palestinese, che se oggi rappresenta la metà della popolazione della regione, nel 2050 si avvicinerà a costituirne i due terzi. Questa forbice demografica deriva da modelli riproduttivi assai differenziati, anche all´interno della componente arabo-musulmana. La minoranza araba che vive in Israele (circa 1,5 milioni) con quattro figli per donna, ha una riproduttività una volta e mezzo più alta delle donne ebree o delle donne musulmane dei paesi nord-africani. Ma ancora più alta è la riproduttività delle donne arabe di Cisgiordania e, soprattutto, di Gaza (che hanno quasi sei figli, grazie anche a comportamenti sostenuti dall´alto grado di fondamentalismo e tradizionalismo) nonostante che altri indicatori sociali (la sopravvivenza, l´istruzione) siano tutt´altro che bassi.
L´alta natalità attuale e la struttura per età assai giovane assicurano un forte accrescimento della popolazione araba ancora per diversi decenni, pur in presenza di comportamenti riproduttivi più moderati. All´interno dell´attuale Israele la componente araba, che oggi pesa per un quinto e che è rimasta fortemente minoritaria grazie alla continua immigrazione ebraica, è destinata ad accrescere il suo peso, fino a toccare il 26 per cento nel 2050. Questa crescita può essere attenuata da una politica di "scambi" territoriali con lo stato Palestinese – essenzialmente la cessione del piccolo "triangolo" a forte maggioranza araba a oriente di Tel Aviv, e quella di Gerusalemme est, in cambio dell´acquisizione di territori di analoga estensione a maggioranza ebraica, situati alla periferia di Gerusalemme, e di altri contigui con la parte settentrionale della conurbazione di Tel Aviv. Questo scambio coinvolgerebbe meno del 2 per cento del territorio d´Israele che però comprende ben un terzo della popolazione araba dello Stato; esso assicurerebbe una confortevole maggioranza ebraica, superiore all´80 per cento della popolazione totale, fino alla metà del secolo.
Contrariamente a quanto spesso si crede, la demografia ebraico-israeliana – specchio di una società complessa ed in tumultuoso cambiamento – non è né in stallo né in involuzione come quella dell´Europa. Nei sessant´anni successivi all´indipendenza gli ebrei d´Israele si sono moltiplicati per otto, assorbendo un´immigrazione estremamente eterogenea (dai Falasciá di Etiopia al milione e passa di ebrei russi) e cinque volte più numerosa della popolazione iniziale, e mantenendo un alto livello di riproduttività (che è doppio di quello italiano) corrispondente alla norma di due o tre figli per famiglia. Mentre la diaspora ebraica è in flessione in tutto il mondo per la bassa natalità, gli ebrei d´Israele continuano ad accrescersi grazie ad una natalità relativamente alta. Questa è, sì, sostenuta da una politica sociale e familiare pervasiva ed attenta, ma si esplica in condizioni che, in tutto il mondo occidentale, hanno accompagnato il declino delle nascite: livelli d´istruzione molto alti, elevata occupazione femminile, modelli di vita propri delle società urbane. Segno che a motivare le scelte delle coppie oltre alle costrizioni economiche, ambientali o di tempo, operano robuste componenti ideali, culturali e religiose che differenziano nettamente la società israeliana da quelle europee.
Altre questioni aperte, nella soluzione delle quali le considerazioni demografiche hanno un rilievo importante, riguardano il ritorno dei profughi (tra 600.000 e 800.000 arabi dovettero abbandonare le loro terre dopo il conflitto del 1948), lo statuto di Gerusalemme, i problemi ambientali dell´intera regione. Poiché la soluzione realistica accettabile da Israele presuppone che venga conservata l´omogeneità a prevalenza etnico-ebraica, un ritorno in massa di profughi è escluso a priori, mentre è accettabile un rientro "simbolico" (fino a 100.000 persone), preferibilmente di persone mature o anziane che poco contribuirebbero all´ulteriore crescita demografica.
Per quanto riguarda lo statuto di Gerusalemme, qualsiasi formula venga adottata, questo non potrà prescindere da una politica che limiti l´insediamento (lo spazio è esiguo e carico di simboli) oggi già composto da 750.000 persone e mantenga stabili i rapporti numerici tra ebrei, musulmani e cristiani. Infine i due stati sovrani dovranno trovare modi di cooperazione per proteggere il fragile ambiente della piccola e sovrappopolata regione, povera di risorse idriche e naturali; per realizzare grandi infrastrutture di comune interesse; per ricostruire le condizioni per quegli scambi (prima della seconda intifada, 200.000 lavoratori provenienti dai territori lavoravano in Israele) funzionali allo sviluppo.
Della Pergola è il massimo conoscitore degli aspetti demografici e sociali della diaspora ed ha percorso un ricco itinerario intellettuale che dall´analisi dei numeri e delle loro cause lo ha portato all´analisi politica. È anche alle forza delle sue analisi che si deve la decisione di Sharon del ritiro unilaterale dai Territori. Scrivendo questo libro si è spogliato – per quanto umanamente possibile – della sua appartenenza ad una delle due parti in conflitto. I dati, se sono scientificamente prodotti ed onestamente interpretati, come lo sono in questo libro, non mentono.
Massimo Livi Bacci
da La Repubblica del 29 novembre 2007

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