Forse il colpo di genio del duo Bush-Rice è stato fissare in sole 24 ore la durata della conferenza di Annapolis. E’ vero che in una sola giornata di lavoro non si riesce a concludere nulla che non sia già stato previsto e deciso, ma è anche vero che in così poche ore non rimane neppure tempo per litigare. Infatti ripartono tutti da Annapolis convinti di aver dato vita ad un evento epocale. Bush è quello che ne esce meglio. Davanti a sé ha poco più di un anno per incassare un qualche risultato, ma il compito a casa non toccherà più a lui farlo, avendolo distribuito fra tutti (o quasi) i partecipanti. Sono loro che dovranno dimostrare di essere diligenti. A lui la sola distribuzione dei voti. L’Arabia saudita, alla quale interessa soprattutto contenere lo sviluppo atomico iraniano, ha finalmente fatto la sua figura in un contesto internazionale, fatto del tutto inusuale. Non ha dovuto nemmeno modificare il comportamento ostile verso Israele, infatti di mani israeliane non ne ha strette nessuna. La Siria ha rimesso sul tavolo la restituzione del Golan, e di questo si è accontentata. Di più non poteva sperare, dopo la scoperta- e relativa distruzione il 6 settembre scorso da parte dell’aviazione israeliana- del sito atomico in costruzione. Qualcuno ha evidenziato la sua venuta ad Annapolis come un gesto di indipendenza verso l’Iran. Difficile crederlo, vista la sua politica totalmente appiattita ai voleri di Ahmadinejad. A parte lo spropositato numero di invitati, tutti rimasti con il solo compito di fare numero,rimangono Ehud Olmert e Abu Mazen, ma anche loro ritornano a casa nella stessa condizione nella quale erano partiti, a parte l’impegno – la pace entro un anno – la cui sottoscrizione rientra nella consuetudine delle promesse, finora puntualmente rivelatesi illusorie. Ma se Abu Mazen, che deve vedersela con Hamas, si trova sull’orlo del burrone, Olmert non sta meglio. Non tanto per l’opposizione al suo governo, basta vedere il peso quasi nullo delle dimostrazioni contro la conferenza di Annapolis, e nemmeno per la reiterata promessa di “ concessioni dolorose”, ampiamente accettate dall’opinione pubblica israeliana, quanto dall’essere anche lui rimasto nel vago. Quali sono esattamente le “concessioni dolorose “ ? Se guardiamo alle richieste del “moderato” Abu Mazen, ripetute ad Annapolis dal coro arabo che faceva da contorno, è difficile pensare che Olmert possa soddisfarle. Non interessarono quando furono offerte ad Arafat, anche allora in una cornice che straripava di ottimismo con Clinton benedicente, non interessano nemmeno oggi, a giudicare dalla lista di richieste presentata all’incasso da Abu Mazen. E qui stiamo passando in rassegna gli interlocutori “moderati”, o almeno ritenuti tali, da essere invitati alla conferenza. Il problema vero, ineludibile, è il riconoscimento del diritto di Israele ad esistere quale stato ebraico indipendente, come votato dalle Nazioni Unite il 27 novembre 1947. È questo il nodo che stati arabi e autorità palestinese devono sciogliere per conto loro prima di avanzare qualsiasi pretesa. L’ha ripetuto, ancora una volta, Bernard Lewis “ Non ci sarà un negoziato di pace senza una genuina accettazione del diritto di Israele a esistere in quanto stato ebraico, nello stesso modo in cui i paesi membri della Lega araba sono riconosciuti come stati arabi o quelli della conferenza islamica come paesi islamici”. Tra i primi a negare questo riconoscimento c’è Abu Mazen e il suo governo “moderato”. Significa rinviare sine die la nascita di uno stato palestinese. Che poi è stata,da sempre, la volontà araba. Due stati, uno ebraico e uno arabo, significa accettare l’esistenza del primo. Una scelta respinta apertamente dagli estremisti, ma sottoscritta anche dai “moderati”. È questo il nodo che purtroppo Annapolis non ha sciolto. |