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La Stampa Rassegna Stampa
29.11.2007 Dopo Annapolis, prudenza e preparativi per i negoziati
la cronaca di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 29 novembre 2007
Pagina: 16
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Annapolis, Olmert frena Un anno non basta»
Da La STAMPA del 29 novembre 2007:

Parte dallo Studio Ovale il negoziato fra Ehud Olmert e Abu Mazen, mentre Riad prende l’iniziativa e chiede un «veloce inizio» delle trattative anche fra Stato Ebraico, Siria e Libano.
L’appuntamento fra Olmert e Abu Mazen alla Casa Bianca serve per la formalizzazione della prime trattative israelo-palestinesi da sette anni a questa parte. La presenza di George W. Bush dà solennità all’evento e proprio per segnare il momento il presidente esce con i due ospiti nel Giardino delle Rose - dove Yitzhak Rabin e Yasser Arafat si strinsero la mano il 13 settembre 1993 di fronte a Bill Clinton - per parlare di «inizio carico di speranze», assicurando che «saremo attivamente impegnati nel processo di pace, useremo il nostro potere per far nascere uno Stato palestinese a fianco e in pace con Israele».
Olmert, in un’intervista successiva alla radio israeliana, si dimostra prudente avvertendo che potrebbe non essere rispettato il termine pattuito del 2008, anche se nessuno sforzo va lesinato. «Non stiamo cercando di dare a intendere che un’intesa possa essere trovata entro una settimana o entro un anno».
La prima concreta decisione arriva dal Segretario di Stato, Condoleezza Rice, che nomina James Jones, ex comandante della Nato in Europa, consulente per le questioni di sicurezza inerenti al negoziato. «Serve una persona esperta di sicurezza anche a livello regionale» spiega il Dipartimento di Stato per far capire che James Jones non si occuperà solo degli aspetti israelo-palestinesi, ma anche delle minacce di più ampia portata che pesano nei confronti dello Stato Ebraico.
Mentre a Washington si avvia la trattativa, la novità arriva da Annapolis dove il ministro degli Esteri saudita, Saud al-Faisal, convoca una conferenza stampa per chiedere che si apra subito anche il secondo binario negoziale: per risolvere tutti i contenziosi fra Israele, la Siria e il Libano.
«Siamo venuti ad Annapolis per sostenere i negoziati sullo status finale israelo-palestinese - dice Saud al-Faisal - ma questi colloqui devono essere accompagnati dall’apertura dei binari siriano e libanese».
Al Faisal è stato uno dei protagonisti del summit nel Maryland: prima ha spinto tutti i Paesi arabi a partecipare a livello di ministri, poi ha guidato la delegazione della Lega Araba e quindi ha ribadito durante i lavori il piano di pace lanciato nel 2002 per la piena normalizzazione dei rapporti con Israele in cambio del ritiro dai territori occupati nel 1967. Pur non stringendo la mano di Olmert, al-Faisal è stato il primo ministro saudita a partecipare ad un summit con lo Stato Ebraico. Il passo di al-Faisal lascia adesso trapelare un coordinamento con Washington: se la Rice seguirà il binario israelo-palestinese, sarà lui a promuovere quello con Siria e Libano.
Damasco da parte sua è «ottimista con prudenza» - come recitano i titoli dei giornali siriani - e ciò conferma che vi sia spazio per tentare di sciogliere il nodo delle Alture del Golan. Lo stesso al-Faisal non è contrario all’ipotesi che possa celebrarsi a Mosca un seguito della conferenza di Annapolis. La proposta è stata fatta dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, dalle colonne del «Jerusalem Post» e se dovesse avverarsi potrebbe consentire a Mosca, legata a doppio filo con Damasco, di recitare un ruolo di primo piano sulla trattativa israelo-siriana.
Sul un altro fronte a campeggiare è il presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, protagonista per il terzo giorno di seguito di violenti attacchi contro il summit di Annapolis e l’esistenza di Israele. «Abbiamo assistito unicamente ad uno show di propaganda politica ed anche le persone meno intelligenti hanno compreso che è fallito» dice Ahmadinejad, secondo il quale lo Stato di Israele «non durerà» per via della «sua stessa natura, essendo basato sul male, l’aggressione, la menzogna, la tirannia e il crimine». «Tutto questo finirà» ha aggiunto Ahmadinejad, riferendosi allo Stato di Israele e lodando la «nazione palestinese che ha fatto la sua scelta di resistenza e non scenderà a compromessi».
Sono tali proclami a far temere a Stati Uniti e Israele un’imminente offensiva di attacchi terroristici come anche la possibilità di azioni di Hamas in Cisgiordania contro Abu Mazen. Fonti militari israeliane non escludono che nel 2008 possa esservi «guerra a Gaza» proprio a causa dell’incombente resa dei conti fra Hamas e Al Fatah, senza la quale Abu Mazen non sarà in grado di portare a completamento il negoziato lanciato ad Annapolis.
Se da un lato Ahmadinejad mette all’indice Annapolis, dall’altra però teme l’accerchiamento strategico dovuto alle convergenze fra Washington e Riad: da qui la telefonata fatta al re saudita Abdullah. «Mi ha detto che non riconosce Israele e che non consentirà mai che i diritti palestinesi verranno violati» assicura Ahmadinejad, lasciando intendere che Riad non crederebbe fino in fondo nel processo di pace lanciato da Bush.

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