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La Repubblica Rassegna Stampa
28.11.2007 Un po' di ironia su Sandro Viola
sulle pagine genovesi del suo giornale

Testata: La Repubblica
Data: 28 novembre 2007
Pagina: 0
Autore: Stefano Tettamanti
Titolo: «Sandro Viola il più grande scrittore italiano»

Abbiamo trovato divertente un articolo pubblicato sulle pagine genovesi della REPUBBLICA il 14 gennaio 2005.
Sandro Viola viene preso in giro sulle pagine del suo giornale.
Ne proponiamo il testo ai nostri lettori

Sandro Viola è la mia guida. Da anni per capire qualcosa delle città del mondo e organizzarmi un barlume di decorosa resistenza alle catastrofi della modernità, tiro fuori i ritagli di Viola e ripasso. Se devo cercare un whisky come si deve, ad esempio, mi affido alle sue indicazioni e parto per le Ebridi, giro un po’ per Jura e Skye, poi mi concentro su Islay e lì finisco per trovare quello che cerco, magari un Ardbeg, un Bowmore, un Caol Ila, forse un Lagavulin. Da Viola  prendo in prestito anche i pensieri che bisogna fare una volta versato nel bicchiere il whisky conquistato, quando se ne apprezza “il colore ineguagliabile, il gusto vagamente iodico, alle soglie del medicinale, che ancor più incoraggia ad usarlo come sostegno di una vecchiaia dignitosa”. Oppure metti che mi trovi al Cairo e abbia urgente bisogno di un camiciaio, o ad Atene e mi prenda la voglia di passare un paio d’ore in una ouzerie a fumare Karelia e a leggere il Colosso di Maroussi di Henry Miller, di rintracciare una vecchia pasticceria di Budapest o di sapere, quando sono a Helsinki, da quale terrazza di quale ristorante si ammiri la miglior vista sulla baia (e quale gabardine indossare, si capisce, e quale Sancerre ordinare): Viola  risponde sempre. Se sono a New York e voglio festeggiare il mio compleanno con una infilata di martini mi rifaccio al classico itinerario di Viola : prima il King Cole del St. Regis e lo Sherry Netherland, poi l’Oak room del Plaza e il Bemelmans del Carlyle e, se reggono le gambe, un passo al Bull&Bear del Waldorf o al Blue Bar dell’Algonquin.Viola  è il Salgari della mia maturità. Mi porta dove vuole, mi stordisce di nomi, come faceva l’Emilio con i maharatti, i dayachi, i Sarapang e i Sambigliong. Lui adopera Rhodes & Brousse (“uno dei cravattai più amati della mia giovinezza”), Hans Gunther Dinklage, maggiordomo di Coco Chanel, sir Keith Joseph, ministro dell’Educazione nell’Inghilterra thatcheriana, Orfanidis a Panepistimiu, taverna ateniese di cui pare di sentire “l’odore sublime d’anice, tabacchi di Macedonia, legno bagnato e olive Kalamata”. Di Viola non ho mai visto la faccia, non so quanti anni abbia né dove sia nato. Quello di cui sono certo è che sa di cosa parla, anzi, parla solo di quello che sa. E sembra che lo confidi solo a me e al suo amico G. Per questo è il più grande scrittore italiano. E forse perché non scrive libri.

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