Rispondendo a un lettore sul CORRIERE della SERA del 27 novembre 2007, Sergio Romano difende la politica di Massimo D'Alema e il "dialogo" con Hezbollah e Hamas.
Per sostenere questa tesi Romano richiama alcuni precedenti storici: " il generale de Gaulle, quando volle mettere fine alla guerra d'Algeria, aprì negoziati con il Fronte di liberazione nazionale, organizzazione combattente della resistenza algerina" , "Tony Blair, quando volle chiudere il dossier irlandese, cominciò a negoziare col Sinn Fein, un partito dietro il quale si nascondeva il braccio armato dell'Ira (Irish Republican Army)."
Nè l'Fln perseguiva la distruzione della Francia, né l'Ira quella della Gran Bretagna, però.
Hezbollah e Hamas, invece, vogliono la distruzione di Israele.
Ecco il testo:
Il governo iracheno ha assicurato collaborazione con Turchia, Usa e autorità autonome curde nella lotta al Pkk. Michel Aoun ha avanzato una proposta per sbloccare la paralisi politica in Libano, in base alla quale assumerebbe per due anni la presidenza della Repubblica, mentre il leader della maggioranza parlamentare Saad Hariri diverrebbe capo del governo.
Com'è possibile che il massimo responsabile della politica estera italiana anteponga il dialogo con i movimenti terroristi libanesi e palestinesi all'appoggio ai legittimi e pacificatori rappresentanti dei propri popoli, ricercando dichiaratamente l'isolamento internazionale di questi ultimi? Avere ospitato e poi espulso Ocalan fu ingenuità oppure anticipazione dei futuri opportunismi diplomatici?
Matteo Maria Martinoli
matteo.martinoli@libero.it
Caro Martinoli,
Q
uando permise a Ocalan, leader del Pkk, d'installarsi nei pressi di Roma in attesa di un asilo che non fu mai concesso, Massimo D'Alema era da poco presidente del Consiglio, governava con l'aiuto dei Comunisti italiani e sapeva che il problema del Kosovo, di lì a poco, avrebbe aperto una falla nella sua coalizione. Credeva forse che un gesto di buona volontà per un esule gradito alle sinistre gli avrebbe reso la vita più facile. Aveva, insomma, delle attenuanti. Non si rese conto tuttavia dell'importanza che il problema curdo aveva per la Turchia e della durezza con cui il governo di Ankara avrebbe reagito. Ma D'Alema ha ereditato dalla sua vecchia milizia comunista il principio dell' «analisi concreta della situazione concreta». Sa probabilmente di avere commesso un errore e farà del suo meglio per non ripeterlo.
Nei suoi recenti viaggi a Beirut il ministro degli Esteri ha incontrato il generale maronita Michel Aoun, candidato alla presidenza della Repubblica e autore della proposta di cui lei parla nella sua lettera. Ma non credo che Aoun possa definirsi un «pacificatore». Nell'ultima fase della guerra civile aveva duramente combattuto contro i musulmani e contro l'intervento siriano nel Paese. Sconfitto da una intesa che riconosceva alla Siria, di fatto, una sorta di protettorato sul Libano, andò in esilio a Parigi. Oggi, dopo il ritorno in patria, è alla testa di un fronte cristiano-sciita di cui fanno parte due partiti filosiriani, Hezbollah e Amal. Non mi fraintenda. Non sto dicendo che Aoun dovrebbe essere boicottato ed escluso dalla lista degli interlocutori possibili. Credo che il ministro degli Esteri italiano dovesse cercare di comprendere la sua strategia e abbia fatto bene a incontrarlo. Ma non capisco perché Massimo D'Alema, nel momento in cui cerca di aiutare i libanesi a trovare una intesa, dovrebbe privarsi del diritto di incontrare gli esponenti di Hezbollah. Il «partito di Dio» è una organizzazione politica che rappresenta, grosso modo, il 20% degli elettori, ha seggi in Parlamento e ha creato una efficace rete assistenziale per i ceti più poveri della società libanese. Ha un'ala militare, responsabile di atti terroristici e operazioni di commando. Ma le ricordo, caro Martinoli, che il generale de Gaulle, quando volle mettere fine alla guerra d'Algeria, aprì negoziati con il Fronte di liberazione nazionale, organizzazione combattente della resistenza algerina. E le ricordo che il Primo ministro britannico Tony Blair, quando volle chiudere il dossier irlandese, cominciò a negoziare col Sinn Fein, un partito dietro il quale si nascondeva il braccio armato dell'Ira (Irish Republican Army).
Credo che le stesse considerazioni valgano per Hamas. Un mese e mezzo fa alcuni protagonisti della vita politica americana (fra cui Zbigniev Brzezinski e l'ex presidente della Federal Reserve Paul Volcker) hanno indirizzato una lettera al presidente Bush e al segretario di Stato Condoleezza Rice in cui si legge, tra l'altro, che il dialogo con l'organizzazione islamica è preferibile al suo isolamento. Suppongo che D'Alema, anche se evita di dirlo esplicitamente, sia dello stesso parere.
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