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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.11.2007 Duemila anni in serenità e armonia fra arabi e ebrei
Li vede così Sergio Romano. lo storico

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 novembre 2007
Pagina: 31
Autore: Sergio Romano
Titolo: «EBRAISMO E ISLAM MONOTEISMI SEPARATI IN CASA»

EBRAISMO E ISLAM MONOTEISMI SEPARATI IN CASA

E' il titolo della pagina di Sergio Romano sul CORRIERE della SERA di oggi, 25/11/2007, a pag.31. Rispondendo al lettore, Romano traccia una storia dei rapporti fra arabi ed ebrei del tutto immaginaria, secondo il suo stile, evitando di raccontare quello che giudica possa offuscare il buon nome della parte arabo-palestinese. Parte della quale, come ha sottolineato Giorgio Israel, Romano si fa sempre più il portavoce ufficiale. Pubblichiamo la lettera del lettore e la risposta di Romano.

 


Vorrei che lei mi spiegasse qual è, a suo parere, la causa «vera» dell'odio viscerale e distruttivo (senza tempo, direi) del mondo islamico verso gli ebrei. Gli islamici sembrano voler far risalire detto odio al rancore sviluppatosi per i soprusi veri e/o supposti da essi ricevuti alla nascita dello Stato di Israele e per la questione palestinese.
Tuttavia io credo che vi sia anche e soprattutto una ragione più antica (la «causa radice»): le incomprensioni e il conflitto che si creò tra Maometto e la comunità ebraica del suo tempo. Fondamentalmente, io credo, perché gli ebrei non lo riconobbero come nuovo profeta, e lui aveva bisogno del loro appoggio e, soprattutto, delle loro ricchezze, che poi si prese.
Allora, come stanno realmente le cose?
Silvio Anselmo
silvioans@ virgilio.it

Caro Anselmo,
Odio viscerale? Uno dei fenomeni che ha maggiormente colpito gli studiosi del Mediterraneo e del Medio Oriente è stato quello della felice convivenza tra arabi e ebrei, soprattutto dopo la cacciata di questi ultimi dalla Spagna nel 1492. Quando dovettero abbandonare la penisola iberica, molti ebrei s'installarono in Turchia e nelle terre arabe dell'impero ottomano. Appesero al muro della loro nuova casa la chiave di quella che erano stati costretti ad abbandonare. Ottennero che le loro comunità venissero riconosciute dalle autorità locali. Costruirono le loro sinagoghe e celebrarono i loro riti. La prova più evidente della libertà religiosa di cui godettero sono i calendari sinottici che si pubblicavano ogni anno nell'Impero e in cui erano scrupolosamente elencate, in colonne separate, le festività di tutte le minoranze. Quei calendari ricordavano implicitamente a tutti che gli ebrei avevano il diritto di osservare le prescrizioni del sabato e di chiudere, quindi, le loro botteghe. A Gerusalemme, nel corso dell'Ottocento, ciascuna delle due comunità rappresentava grosso modo metà della popolazione (circa 50.000 persone). Erano gelosi della loro rispettiva identità religiosa, ma consapevoli delle straordinarie somiglianze che esistono fra i due monoteismi. Nel suo recente passaggio da Milano per l'edizione italiana di un suo libro, pubblicato dalla Utet, uno dei maggiori teologi dell'ebraismo, Adin Steinsalz, ha ricordato che lo studioso musulmano si rivolge spesso, per meglio chiarire i punti controversi della propria fede, al collega ebreo. Nel suo rapporto al governo francese, la Commissione Stasi, incaricata di studiare i problemi della convivenza con le comunità straniere, ha osservato che i soldati musulmani, in mancanza di un imam, chiedono assistenza spirituale al rabbino.
Questa lunga familiarità era ancora statisticamente evidente alla fine della Seconda guerra mondiale. Nel 1948, secondo gli studi di Mitchell Bard, pubblicati sul sito della Jewish Virtual Library, gli ebrei residenti in Marocco erano 265.000, in Iraq 150.000, in Algeria 140.000, in Tunisia 105.000, in Egitto 100.000, in Libia 38.000, in Siria 30.000. Il 1948, come lei certamente ricorda, è l'anno della prima guerra arabo-israeliana. La nascita di Israele è stata percepita dai Paesi arabi come una invasione di campo, una ennesima manifestazione del colonialismo europeo. Cominciano da allora l'ostilità verso gli ebrei e il loro esodo. Fra il 1948 e il 1967 (l'anno della «Guerra dei sei giorni») partirono, soprattutto verso Israele, quasi tutti gli ebrei dei Paesi arabi. Quelli che rimasero sono oggi poco più di seimila.
L'odio viscerale di cui lei parla nella sua lettera, caro Anselmo, è una impressione provocata dalla virulenza di certe campagne antisioniste lanciate nei Paesi arabi in questi ultimi anni. Con un clamoroso errore di giudizio, i registi di quelle campagne hanno creduto che esse sarebbero state tanto più efficaci e comprensibili in Occidente quanto più avessero adottato lo stile e gli argomenti del più bieco antisemitismo europeo. Il risultato è una sorta di antisemitismo mimetico che ha gravemente danneggiato l'immagine dei Paesi arabi e dell'Iran nel mondo. Ma non dobbiamo commettere a nostra volta l'errore di credere che tali campagne riflettano la natura dei rapporti fra ebrei e arabi nel corso della storia.
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lettere@corriere.it

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