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Il Foglio Rassegna Stampa
23.11.2007 El Baradei continua a fare il gioco di Teheran
gli sciiti iracheni no

Testata: Il Foglio
Data: 23 novembre 2007
Pagina: 0
Autore: la redazione
Titolo: «ElBaradei cerca di tenere lontane le sanzioni che preoccupano l’Iran - Dopo i sunniti contro al Qaida, sciiti iracheni contro Teheran»
Dalla prima pagina del FOGLIO del 23 novembre 2007:

Vienna. Commentando l’ultimo rapporto dell’Aiea sull’Iran, Mohammed ElBaradei ha illustrato uno scenario incoraggiante. “Ci sono stati buoni progressi”, ha detto il direttore dell’Agenzia atomica sottolineando il maggior livello di cooperazione offerto da Teheran negli ultimi due mesi. Tanto che, ove l’atteggiamento iraniano fosse confermato nelle prossime settimane, ElBaradei prefigura addirittura il chiarimento di tutte le questioni pendenti tra Iran e Aiea entro la fine dell’anno. Scettico sull’ipotesi di nuove sanzioni del Consiglio di sicurezza, ElBaradei magnifica i risultati del suo controverso workplan sull’Iran, ma l’ottimismo circa una rapida risoluzione della querelle non appare confortato dai fatti. Lo stesso direttore dell’Agenzia ammette che “l’Aiea non è stata in grado di verificare importanti aspetti legati al programma nucleare iraniano. Aspetti relativi all’ampiezza e alla natura delle centrifughe iraniane e delle attività di arricchimento dell’uranio, così come riguardo ai presunti studi e ad altre attività connesse a eventuali applicazioni militari”. Riconosce che l’Agenzia “non è in grado di fornire garanzie credibili relativamente all’assenza di materiali e attività nucleari non dichiarati”. Rivela che, nonostante i progressi descritti, “la conoscenza dell’Agenzia sugli aspetti specifici del programma è regredita rispetto al 2006”, una scarsità di informazioni tanto più “cruciale” – dice ElBaradei – a causa della segretezza e delle omissioni che hanno fin qui caratterizzato la corsa iraniana verso il nucleare. Convinto che pressioni più stringenti su Teheran non sortirebbero gli effetti sperati, il direttore dell’Agenzia si affida alle buone intenzioni dei negoziatori iraniani chiedendo più trasparenza e l’applicazione del protocollo addizionale dell’Aiea che consente ispezioni ad ampio raggio.

“Continueremo a negoziare”
In bilico tra le sparate di Ahmadinejad e i messaggi distensivi o ambigui dei suoi negoziatori, l’Iran scommette su una frattura al Consiglio di sicurezza sulle sanzioni. “Continueremo a negoziare in questo clima di collaborazione sempre che, le nazioni che amano la pace, impediscano agli Usa o ad altri di fare rumore e creare problemi mettendo a repentaglio questo approccio costruttivo attraverso il Consiglio di sicurezza”, ha dichiarato il rappresentante iraniano all’Aiea Ali Ashgar Soltanieh. Consapevole che la cautela di ElBaradei non sarà comunque sufficiente a scongiurare nuove sanzioni la dirigenza iraniana è divisa riguardo alla strategia da adottare nei confronti della comunità internazionale. La frattura, resa palese dalle dimissioni dell’ex negoziatore nucleare Ali Larijani e confermata dall’uscita di scena del suo vice Abdol-Reza Rahman Fazli, domenica scorsa, è esacerbata dall’approssimarsi delle elezioni legislative di marzo. Ma nel braccio di ferro che da due anni e mezzo oppone Ahmadinejad ai rivali Hashemi Rafsanjani e Mohammed Khatami si sta inserendo una terza forza. I conservatori tradizionalisti, moderati e falchi, lontani tanto dal radicalismo del presidente quanto dagli slogan accattivanti dei suoi predecessori, temono che la lotta tra pasdaran e Realpolitiker finisca per intaccare irrimediabilmente la coesione del sistema. In un editoriale sferzante il quotidiano ultraconservatore Jomhuri Eslami (vicino all’ayatollah Khamenei) ha criticato il presidente per la sua campagna di delegittimazione nei confronti di Rafsanjani e dei suoi alleati. Nei giorni scorsi Ahmadinejad aveva additato Hossein Mousavian come traditore. Collaboratore dell’ex negoziatore di Khatami, Hassan Rowhani, Mousavian è stato accusato dal ministero dell’Intelligence di aver fornito informazioni sensibili all’ambasciata britannica. Scagliandosi contro Mousavian, Ahmadinejad voleva colpire non solo Rafsanjani e il suo clan, ma anche la politica nucleare di Khatami, Rowhani e del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale. La reazione è stata virulenta. Qualificando come inappropriato il comportamento del presidente il quotidiano ha sentenziato: “Il paese è sopraffatto da un clima di propaganda. Uno stato di diritto non merita un individuo che si pone contemporaneamente come vittima, giudice e carnefice”. Una voce autorevole si è levata anche nella città santa di Qom. Preoccupato dall’instabilità che si respira nel paese, l’ayatollah Javadi Amoli ha rifiutato un invito di Ahmadinejad a un seminario sentenziando: “Le sue azioni hanno messo in pericolo la reputazione dell’islam e del Corano”. E le sanzioni mettono in pericolo l’economia centralizzata del regime, pure per questo la leadership di Teheran non è affatto compatta.

Da pagina 3:

Baghdad. Dopo la riscossa delle tribù sunnite, che nella provincia di Anbar e nelle “Baghdad Belts” – le fasce rurali attorno alla capitale – sono state capaci di scrollarsi di dosso l’influenza straniera di al Qaida, nel sud del paese anche le tribù sciite provano a sottrarsi all’influenza ingombrante del vicino Iran. I clan hanno raccolto trecentomila firmatari per una petizione durissima, che accusa Teheran di voler dividere il sud dal resto del paese. Nel documento di protesta – sottoscritto pure da “14 ulema religiosi, 600 capi tribù, 1250 avvocati e giuristi, 2000 medici, ingegneri e docenti universitari e 25 mila donne”, come riferisce l’agenzia Aswataliraq – il Raggruppamento nazionale indipendente delle tribù si allinea alla posizione di Washington, che da due anni accusa il regime iraniano di controllare e alimentare la violenza per ostacolare la stabilizzazione dell’Iraq. “Le pugnalate più velenose piantate ai fianchi di noi sciiti dell’Iraq sono state sferrate dal regime iraniano, che strumentalizza in modo vergognoso la confessione religiosa comune per realizzare i suoi intenti malvagi”. Ieri, sulle pagine del giornale indipendente al Sabah, è apparsa l’ennesima conferma delle infiltrazioni iraniane: “Gruppi armati della Guardia rivoluzionaria iraniana, in particolare della Forza Quds, stanno giocando un ruolo pericoloso nella provincia di Bassora – ha detto al giornale una fonte militare di Baghdad – I gruppi armati sono ricevuti nei campi di addestramento in Iran”. Secondo la stessa fonte, questi reparti avrebbero unità speciali dotate di armi pesanti, tra cui razzi di fabbricazione iraniana con una gittata di 27 chilometri. Le tribù, nella petizione, si rivolgono anche alle Nazioni Unite. Chiedono di “inviare una commissione per indagare sui crimini commessi dal regime di Teheran nelle province meridionali negli ultimi quattro anni”. “Sono dapspetpertutto – dice un leader tribale – vogliono prendersi tutta la regione”. Gli ayatollah puntano da tempo alla creazione nel sud iracheno di un mini stato sciita che, oltre a essere facilmente manipolabile, toglierebbe al paese l’unico sbocco al mare, il porto di Bassora, e i giacimenti di petrolio più ricchi. Ma anche il premier sciita iracheno, Nouri al Maliki, ieri si è detto contrario alla spartizione del paese in regioni autonome perché potrebbe accendere ulteriori tensioni. Una dichiarazione coraggiosa, perché contraddice la posizione di uno dei partiti più potenti a lui favorevoli, il Supremo consiglio islamico iracheno, ben collegato con il regime di Teheran. Incassati buoni risultati sul piano della sicurezza grazie alla cooperazione con gli americani, il governo di Baghdad – proprio perché fino a poco tempo fa era ostaggio politico delle milizie e sospettato di pericolose convergenze con Teheran – ora tenta di presentarsi di nuovo come un potere autonomo. Sabato scorso due brigate della polizia irachena, appoggiate da una brigata americana, hanno lanciato l’operazione “Lion’s Leap”, “il balzo del leone”, contro la roccaforte dell’esercito del Mahdi di Diwaniyah, centottanta chilometri a sud della capitale. Anche se il leader carismatico di tutto l’esercito del Mahdi, Moqtada al Sadr, ha da tempo dichiarato il cessate il fuoco, alcune unità irriducibili si rifiutano di deporre le armi. Lion’s Leap è un’operazione condotta prevalentemente dagli iracheni. Per ora, sono stati catturati già 74 sadristi e sono stati scoperti e distrutti due grossi depositi di armi, con mine anticarro – i micidiali Efp, ordigni capaci di penetrare la corazza dei veicoli – mortai e razzi. “Abbiamo trovato sette trappole esplosive ‘made in Iran’ e nove mine”, ha detto il generale Jamil Kamel al Shimari, dell’Ottava divisione irachena. Non ci sono soltanto i nuovi segni di decisionismo bellico. Domenica scorsa il tribunale di Diwaniyah ha condannato a morte 17 ex uomini di Sadr accusati di aver compiuto attacchi contro le forze governative e della Coalizione. Settanta poliziotti, nella stessa città, sono stati appena cacciati per aver chiuso un occhio sulle attività dei sadristi. Il governo centrale ha preso coraggio e sfrutta il momento favorevole per eliminare tutti gli elementi di instabilità. Con la diminuzione delle violenze, aree fino a pochi mesi fa interdette sono diventate accessibili. Comincia il macabro passaggio della fine guerra e si scoprono fosse comuni con i corpi di vittime giustiziate a sangue freddo. Vicino al lago Thartar, dove un enorme e antico argine disseccato creava una porzione di territorio isolata naturalmente dal resto del paese, sono stati trovati 40 cadaveri, uccisi in tempi diversi e gettati in serbatoi di irrigazione. Sono i segni del passaggio di al Qaida. Ieri i binladenisti hanno tentato di riguadagnare terreno attaccando i loro nemici naturali, gli iracheni. A nord di Baghdad, con addosso divise dell’esercito iracheno rubate, hanno assalito il quartier generale dell’Howr Rajab Awakenig Council, una formazione di volontari antiterrorismo nata da poco. Sono stati respinti con dieci morti, dopo violentissimi scontri a fuoco. Il giorno prima dell’attacco, a Howr Rajab, erano stati lasciati volantini in cui si avvisava la popolazione civile: “Unitevi ad al Qaida, tornate alla guerriglia antiamericana, o bombarderemo ogni vostra singola casa e taglieremo le vostre teste”. Un attacco simile è stato portato contro la cittadina sciita di al Kulaiyah. Gli abitanti hanno reagito: sette attaccanti e due difensori sono rimasti uccisi. Questa settimana gli arresti più importanti sono stati quelli del “ministro del Petrolio” dello stato islamico dell’Iraq (il fronte politico di al Qaida), Saadi Ibrahim, che pianificava attentati contro la rete degli oleodotti per rallentare l’economia del paese, e quello di Ihab al Narawi, responsabile del sequestro e dello sgozzamento di almeno 23 persone

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