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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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La conferenza di Annapolis 25/11/2007
Se l‘obiettivo è la creazione di uno stato palestinese accanto a Israele, non si può non rimanere allibiti di fronte al numero dei partecipanti che il 27 novembre si troveranno riuniti ad Annapolis, in quella che è stata definita “conferenza di pace in Medio Oriente”. Saranno infatti più di 50 gli interlocutori che si siederanno intorno a un tavolo a discutere per trovare quella soluzione che in questi sessant’anni il rifiuto arabo a riconoscere il diritto all’esistenza di Israele ha impedito di trovare.Oltre a Israele e Autorità palestinese, ci saranno il quartetto della Road Map più Tony Blair,la Lega araba con il suo segretario Abu Mussa, 17 paesi arabi, i membri del G8, Bush con Condi Rice quali padroni di casa. Nel timore che possano sentirsi soli, per buon peso sono stati invitati anche  Australia,Brasile, Cina,Turchia, Città del Vaticano, Banca Mondiale ed il Fondo monetario internazionale. Grattando il fondo del barile, si è scoperto che mancava l’Organizzazione della Conferenza islamica, nota a livello internazionale quanto i pompieri di Viggiù, per cui è stata aggiunta immediamente all’elenco. Questa pletora di istituzioni, dovrebbe, in poche ore, tirare fuori dal cappello il coniglio che scoprirà come si farà la pace in Medio Oriente. Esprimere dubbi sulla sua riuscita, viste le premesse, non è remare contro, più semplicemente è essere realisti. Ma vediamo le posizioni dei due principali interlocutori, Ehud Olmert e Abu Mazen. Il primo è il più disponibile, la sua maggior preoccupazione è garantire ai cittadini d’Israele che il futuro stato palestinese non cada in mano a dei terroristi, come è successo con Gaza, dopo l’uscita di Israele due anni fa. Abu Mazen, con il suo governo, questo può solo augurarselo ma non garantirlo. Il potere di Hamas, anche in Cisgiordania, non solo a Gaza, è una realtà. In più, negli innumerevoli incontri tra i due, le posizioni, aldilà delle dichiarazioni ufficiali, sono rimaste distanti, persino più di prima. Abu Mazen, ad esempio, ha introdotto un nuovo rifiuto, quello di riconoscere l’ebraicità dello stato di Israele. Il che sta a sottintendere che anche se sarà lui a governare il futuro stato, il che è tutto da vedere, sarà un vicino che non riconoscerà Israele a meno che non se ne cambino i connotati fondanti. Il che è chiaramente inaccettabile. Con una partenza simile è inimmaginabile vederlo con Olmert intorno a un tavolo a ridisegnare i confini che dovranno separare Israele e Palestina. Di quale aiuto sarà poi la Siria a dipanare la matassa è facile prevederlo. La richiesta di tornate a possedere le colline del Golan, mai abitate da nessun siriano, che erano sempre servite unicamente quali basi per bombardare gli israeliani a valle, è priva di credibilità. Israele non amputerà mai una parte del suo territorio, che le appartiene anche da una valutazione solo geografica, per tornare allo  status quo ante. La Siria non è la Svizzera, è uno stato terrorista, il cui sport, fino al 1967, era quello di uccidere israeliani dalle postazioni sul Golan, bambini compresi, come avvenne nella strage della scuola di Maalot. Quanto agli stati arabi presenti, riconoscano prima Israele, inizino normali relazioni diplomatiche, e poi si comportino come tutti gli stati democratici di questo mondo. Insomma, ad Annapolis, malgrado la sempre riaffermata volontà di Israele di arrivare ad un accordo con i vicini arabi, è probabile che ci troveremo di fronte ad un nulla di fatto. Tante buone intenzioni, finalizzate a coprire l’unico, attuale grande pericolo che minaccia la pace non solo in Medio Oriente ma nel mondo intero, l’Iran di Adolfo Ahmadinejad. Che soffia sul fuoco dell’arma atomica, mentre il mondo, tranne pochi leaders coraggiosi, si volta dall’altra parte e fa finta di non accorgersene.
Angelo Pezzana
Da Libero del 25 novembre 2007

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