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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Tullia Zevi con Nathania Zevi Ti racconto la mia storia. Dialogo tra nonna e nipote sull’ebraismo 21/11/2007

Ti racconto la mia storia. Dialogo tra nonna e nipote sull’ebraismo                  
Tullia Zevi con Nathania Zevi
Rizzoli   Euro 16,50

 

La storia della sua vita e la presentazione delle sue convinzioni che Tullia Zevi, figura di punta nella storia della minoranza ebrea-italiana nel corso di tanti decenni, comincia là dove sarebbe impossibile non dover cominciare, per una persona della sua generazione: “Non potrò mai dimenticare l’estate del ‘38”. Nemica di ogni forma di presenzialismo ed esibizionismo, la Zevi non ha scritto le sue memorie, ma ha accettato di raccontare la sua vita alla nipote Nathania, che è nei suoi primi vent’anni e che ha condotto l’intervista accettando l’essenzialità delle risposte, nel rifiuto di ogni tentazione sentimentalistica e di ogni frivolezza che sembra appartenere tanto a lei che alla nonna. Il risultato è un libro veloce e densissimo, la storia di una vita che si intreccia immediatamente, anche prima dell’estate del 1938, con quella delle “minoranze virtuose” dentro la borghesia progressista italiana, oggi così poco amate e imitate dagli intellettuali e dai politici che contano, compresi quelli che se ne fingono eredi. Tullia Zevi non si vanta di quest’appartenenza, fedele in qualche modo al motto salveminiano (ma più antico di Salvemini) del “fai quel che devi, accada quel che può, e insieme non nasconde la condizione di privilegio di cui ha nonostante tutto goduto come membro di quella borghesia.

 

Figlia di un Calabi importante avvocato milanese e di una Bassani ferrarese, la sua infanzia e adolescenza sono state improntate – fino all’estate del ’38 – alla serena convinzione che la differenza non stesse nell’essere ebrea ma semmai antifascista, e più volte ricorda quanto il processo di assimilazione degli ebrei nella comunità nazionale fosse avanzato, quanto l’appartenenza ebraica non costituisse un problema. Direi anzi che di questo la Zevi ha continuato ad aver nostalgia, di fronte alle costrizioni a definirsi rispetto a una minoranza religiosa piuttosto che esplicitamente etica, di scelta e non di appartenenza per nascita: “paradossalmente sono state le leggi razziali a interrompere un processo di assimilazione che all’epoca era già in atto in Italia e che nell’arco di due generazioni si sarebbe sicuramente concluso” (pag. 23). La madre era osservante, il padre era “insofferente a ogni rigida appartenenza e a tutte le imposizioni e ai fanatismi…un uomo laico, un repubblicano antifascista, soprattutto un libero pensatore, così amava definirsi” (pag. 26). Se la vicenda privata, costretta a non essere sempre tale, di Tullia Zevi è appassionante, lo è per il modo in cui ella ha cercato di tener fede a entrambi gli insegnamenti, e ovviamente a operare quelle drammatiche scelte cui tutti gli intellettuali ebrei del Novecento sono stati costretti dalla persecuzione, e più tardi dalla Shoah. E “fuggire, emigrare è stato il destino, lo spettro ma anche la salvezza dell’ebreo, come di altre minoranze” (pag. 78).

 

Dall’Italia alla Svizzera agli USA, e poi nell’Italia del dopoguerra e in giro per il mondo per lavoro, moglie di un uomo irruento come Bruno, madre di due figli di “Lotta Continua”, Tullia Zevi ha scelto di avere una propria vita professionale come giornalista e una vita pubblica come, per esempio, alla presidenza della Ucei, la comunità ebraica italiana, sempre in piena autonomia e assumendo tutte le responsabilità che, epoca per epoca, ha ritenuto giusto di dover assumere, a volte non capita e approvata anche all’interno della Comunità, sempre aperta al dialogo e al rispetto delle altrui differenze.

 

Si vedano, nel libro, non solo le sue considerazioni sul mondo arabo, improntate a una straordinaria serenità e saggezza, ma anche quelle sulla minoranza valdese italiana, cui è stata sempre molto vicina. “ La Shoah è un documento storico dotato di una propria unicità, ma in tutte le società – ella dice -, esistono minoranze identificabili che possono essere oggetto di persecuzione: (….) vi sono analogie profonde e inquietanti tra la “soluzione finale” del problema ebraico e le pulizie etniche tuttora in atto nel mondo. Che cosa è stata la tragedia armena o quella del Rwanda se non genocidi? Uguali sono le lacrime di ogni madre che piange il figlio ucciso” (pagg. 122-123).

 

Le più belle pagine del libro, quelle che a mio parere la rappresentano meglio, riguardano il processo ai criminali nazisti a Norimberga e quello a Eichmann a Gerusalemme, cui assistette da giornalista. Ci sono nel libro considerazioni che riguardano pienamente il passato, con tutte le sue colpe, altre sul nostro ambiguo e terribile presente. Con chiarezza, con modestia, ma anche con la ferma coscienza di convinzioni derivate dall’esperienza, Tullia Zevi, amorevolmente spinta dalla nipote Nathania, ci ha consegnato un libro sulla storia del Novecento pieno di ammaestramenti, che dice molto più di quel che non sembri a chi voglia ancora ascoltare una voce come la sua, dentro un secolo che non si è annunciato migliore del precedente.

 

Goffredo Fofi

 

Il Sole 24 Ore

 


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