Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Parlano gli ebrei italiani sopravvissuti alla Shoah a Cracovia una conferenza con gli studenti romani
Testata: Corriere della Sera Data: 15 novembre 2007 Pagina: 24 Autore: Monica Guerzoni Titolo: ««Il mio numero tatuato nel lager? L'ho cancellato ma mi sono pentita»»
Dal CORRIERE della SERA del 15 novembre 2007:
AUSCHWITZ — Dai campi di sterminio sono tornati con un numero sul braccio. E con quella matricola impressa a fuoco nella carne hanno scelto di riprendere a vivere, convinti che un marchio tanto profondo e doloroso non si cancella: «I nazisti ci hanno tatuato l'anima». Tra i sopravvissuti di Auschwitz e Birkenau la percentuale di quanti hanno deciso di eliminare chirurgicamente il tatuaggio «è inferiore all'uno per cento» ha raccontato il professore Marcello Pezzetti, fra i massimi studiosi della macchina di sterminio nazista, durante il viaggio della memoria organizzato dal sindaco Walter Veltroni. Ed è stato lunedì sera a Cracovia, durante la conferenza con 236 studenti delle scuole romane, che gli ultimi ebrei italiani testimoni dell'Olocausto hanno accettato di alzare il velo su uno dei simboli del loro inferno in Terra. «Avete mai pensato di togliere il tatuaggio? E se avete deciso di tenerlo, perché?» domanda una ragazza dai capelli lunghi con la schiettezza dei suoi 18 anni. Silenzio denso di sofferenza e poi Sami Modiano, unico superstite di una famiglia di cinquanta deportati, incrina il gelo: «Io il tatuaggio l'ho conservato perché mi ricorda il mio papà. A lui hanno impresso il 7455 e a me il 7456. Lui non ce l'ha fatta, io invece sono qui. Ed è per questo che ho deciso di tenerlo». Non commuoversi è difficile e tanti ragazzi si asciugano gli occhi. «Ognuno ha le sue idee e io il tatuaggio non lo faccio vedere» ammette con pudore Shlomo Venezia, unico italiano sopravvissuto dei Sonderkommando, le squadre di internati costretti a smaltire e cremare i corpi dei deportati uccisi con il gas. Ma ecco che si alza Piero Terracina, ha 79 anni e ad Auschwitz ha perso ogni affetto, padre, madre, fratelli, nonni. Solleva la manica del maglione e mostra — è la prima volta — il tatuaggio sull'avambraccio. «Non ne sono orgoglioso e non mi dà fastidio, fa parte di me e lo porterò sempre» dice col sorriso dolce con cui da anni accompagna gli studenti fin sulla soglia dell'orrore, senza mai svelarne i dettagli. Accanto a Terracina è seduta Goti Bauer, classe 1924, Cavaliere della Gran Croce nominata da Ciampi. Nel lager di Birkenau arrivò a 19 anni con la famiglia su un vagone Il ricordo Numeri divenuti ricordo e orgoglio. Un ex deportato: è la memoria di mio papà: lui aveva il 7455, io ho il 7456 bestiame nel maggio del '44 e ne uscì, dopo dodici mesi e altri trasferimenti, che pesava 35 chili. «Io il tatuaggio non ce l'ho più», rivela con sofferenza acuita da un temperamento schivo e riservato. «Mio marito per lenire il mio dolore propose a un cugino medico di farmelo togliere. Voleva farmi un regalo
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