martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
15.11.2007 L'Eni resta in Iran
a fare affari cono lo Stato canaglia che vuole distruggere Israele

Testata: Il Foglio
Data: 15 novembre 2007
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «In medio stat Eni. Così tenta di risolvere il dilemma iraniano»
Dal FOGLIO del 15 novembre 2007:

Milano. L’Eni resta in Iran, almeno per ora. Lo ha annunciato ieri il numero uno dell’azienda, Paolo Scaroni, al Financial Times. Non è solo il rischio dello scoppio di un conflitto tra Washington e Teheran a impensierire gli italiani, ma anche la possibilità che le sanzioni occidentali contro il paese islamico crescano di volume. Al momento, quelle delle Nazioni Unite non riguardano direttamente il settore petrolifero, mentre quelle americane si applicano solo alle imprese statunitensi. L’equilibrio, però, è assai fragile: il primo ministro britannico Gordon Brown ha chiesto all’Europa e all’Onu provvedimenti che tocchino anche gli idrocarburi, che sono il principale mezzo di finanziamento del regime, mentre George W. Bush potrebbe, col supporto del Congresso, varare nuove ritorsioni valide anche per quanti firmino contratti con l’Iran e siano operativi anche negli Stati Uniti. Scaroni, naturalmente, non intende giocare d’azzardo: “Rispetteremo i nostri contratti”, ha affermato, in quanto non sarebbe “appropriato” che qualcuno costringesse l’Eni a non farlo. Tuttavia, il gruppo non aumenterà il suo impegno in Iran. L’amministratore delegato si è anche detto convinto che i suoi azionisti americani “reagirebbero se l’Iran facesse il passo più lungo della gamba”, ma “non siamo ancora arrivati a quel punto”. L’atteggiamento, dunque, è di cauta attesa, temperata dalla speranza che la diplomazia riesca a venire a capo della crisi nucleare, e consapevole, però, che tutto è appeso a un filo. Per l’Eni, la situazione è davvero intricata, perché l’Iran – anche complice l’assenza di competitor americani – è un terreno molto interessante. Lo è sempre stato nella storia della compagnia. I suoi 136 miliardi di barili di greggio ne fanno il terzo paese al mondo per estensione delle riserve petrolifere, nonché quarto produttore mondiale (secondo tra i membri dell’Opec); allo stesso modo, il sottosuolo iraniano è il secondo al mondo più ricco di gas. A causa, però, della difficile situazione economica e della chiusura rispetto agli investimenti stranieri, larga parte del territorio iraniano non è adeguatamente sfruttato, talvolta neppure esplorato. Per una compagnia come l’Eni, quindi, conquistare accesso ai suoi giacimenti è, al netto delle complicazioni geopolitiche, quasi come vincere un terno al lotto. Inoltre, il gruppo italiano gode del privilegio del first mover: quando, nel 2001, firmò il contratto da 920 milioni di dollari per lo sviluppo del campo di Darquain, divenne il maggior partner commerciale della National Iranian Oil Company. Oltre a Darquain, l’Eni ha siglato contratti di buyback (il governo affida un giacimento a un’impresa straniera e la compensa con una parte del greggio) per lo sfruttamento dei pozzi offshore di South Pars e Balal e il potenziamento di quello di Dorood. Al Financial Times, Scaroni ha tuttavia riferito di non essere soddisfatto di questa tipologia contrattuale, ritenuta troppo favorevole alla controparte iraniana. In ogni caso, la situazione dell’Eni è destinata a rimanere unica anche perché ai problemi nazionali – l’articolo 44 della Costituzione impone la proprietà pubblica delle compagnie energetiche e per essere aggirato richiede costruzioni legali molto bizantine e in ultima analisi onerose per i gruppi privati – si sono nel frattempo sommate le tensioni internazionali. Così oggi nessuna major occidentale sta considerando un impegno in Iran, seppure a molte probabilmente non dispiacerebbe poter mettere piede nel paese se il contesto globale lo consentisse. Ciò non toglie che tutti, compresi gli iraniani, siano consapevoli dell’“enorme potenziale” del paese, come ha sostenuto Scaroni, e che quindi Teheran stia cercando investitori altrove. “Forse in Cina”.

Per inviare una e-mail alla redazione del Foglio cliccare sul link sottostante

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT