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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Batya Gur Un delitto letterario 13/11/2007

Un delitto letterario                                 Batya Gur

 

 

Traduzione di Elisa Carandina

 

 

Nottetempo                                              Euro 16

 

 

 

 

Chi dice letteratura israeliana dice, solitamente, i nomi di Oz, Yehoshua, Grossman, Shalev. Riconosce anche una originale vena postmoderna nella quale si trovano scrittori come Keret, Castel Bloom. Pensa a quel grande classico che fu il compianto Shabtai o all’unico premio Nobel (peraltro in condivisione) che Israele abbia mai avuto, cioè Y. Agnon. Ma la normalizzazione di una storia anomala come quella ebraica durata più di duemila anni passa anche, perché no, per altri generi letterari. Più o meno di consumo e più o meno godibili. Ad esempio il romanzo giallo che comincia ad avere la sua piccola storia entro la letteratura nazionale in ebraico moderno. Curiosamente, pare un genere affidato quasi per elezione all’altra metà del cielo. Basti pensare alla garbata Shulamit Lapid e alla sua serie di romanzi a moderata se non alta tensione, con per protagonista Lisi Badichi, “Lisi la svitata” detective improvvisata ma piena di intuito.

 

 

Un’altra scrittrice vocata a questo genere era Batya Gur, nata nel 1947 e morta nel 2005. Critica letteraria nonché impietosa columnist di politica, anche Gur ha creato un suo personaggio chiave che con il suo passo felpato attraversa più romanzi, partendo da “Un delitto letterario” che Nottetempo manda in questi giorni in libreria nella traduzione di Elisa Carandina. E che peraltro il lettore già conosce alle prese con un “Omicidio al kibbutz”, uscito qualche anno fa in italiano da Piemme.

 

 

Si tratta di Michael Ohayon, un uomo non particolarmente loquace con due occhi neri e malinconici, una statura di tutto rispetto e una spiccata tendenza all’introspezione. Piccolo emblema delle contraddizioni di tutto un paese, Ohayon è sefardita di origini, anzi viene dal lontano Yemen insieme a tutta la sua folta comunità immigrata in Israele all’alba dello stato. E’ un poliziotto con una mancata carriera di studi letterari alle spalle: in parole povere, ha sempre quell’aria un po’ spaesata da ebreo errante. Confida nella propria intelligenza più che nel supporto della tecnica e ha quasi sempre ragione.

 

 

In questo romanzo ora tradotto in italiano Ohayon e il lettore entrano in quell’ambiente accademico dove in fondo tutto il mondo è un paese, tanto è vero che spesso si chiama in causa David Lodge con le sue atmosfere anglosassoni per un parallelo alla penna di Batya Gur. Il professore carismatico e maniaco della perfezione estetica, con i garofani da occhiello premurosamente conservati in frigorifero, l’amante più dimessa delle altre nonché moglie del fido assistente, dottorandi e studentesse.

 

 

Due delitti in rapida sequenza che, malgrado il contesto e il metodo affatto diversi, non possono non essere strettamente collegati. E su tutto la poesia, la grande poesia ebraica che aleggia nelle lezioni del professor Tirosh, nelle ricerche dei suoi studenti, nel cuore del Montalbano sionista dalla vita complicata anche senza delitti da risolvere.

 

 

Elena Loewenthal

 

 

Tuttolibri – La Stampa

 

 


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