Hamas spara sulla folla a Gaza rassegna di quotidiani
Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - La Stampa - Europa - Avvenire - Il Giorno - Il Sole 24 Ore - Il Manifesto Autore: Davide Frattini - Alberto Stabile - Francesca Paci - la redazione - Ugo Tramballi - Michele Giorgio - Paola Caridi Titolo: «Gaza, spari sulla folla che celebra Arafat - Gaza a fuoco nel nome di Arafat: 7 morti - Se Hamas spara sulla folla è già morto -Palestina in fiamme: 7 morti a Gaza - Gaza il ricordo di Arafat finisce nel sangue A Gaza riesplode la guerra - Fuoco sul corte»
Dal CORRIERE della SERA del 13 novembre 2007 (pagina 14) la cronaca di Davide Frattini
GERUSALEMME — Da una parte della barricata, le bandiere gialle del Fatah. Centinaia di giovani le indossano come un'uniforme. Sono venuti in una delle piazze più grandi di Gaza per celebrare Yasser Arafat, a tre anni dalla morte. Sono duecentocinquantamila, troppi per il movimento fondamentalista. Una sfida al suo potere, la prima in cinque mesi. I sostenitori del Fatah arrivano verso mezzogiorno, sugli autobus, in auto, sui carretti trainati dai muli. La manifestazione parte tranquilla, anche i portavoce di Hamas hanno elogiato Arafat («lo onoriamo perché non ha mai svenduto i nostri diritti ») e hanno proclamato di voler partecipare, se invitati. Alla fine sono venuti lo stesso. Gli uomini della forza esecutiva sono schierati agli incroci delle strade. Quando la folla comincia a disperdersi, si sentono degli spari. Tutti corrono, le guardie del corpo proteggono i pochi leader del partito laico rimasti nella Striscia, che hanno osato parlare in pubblico. I manifestanti fronteggiano i miliziani integralisti, lanciano pietre contro le squadre in nero di Hamas. Un giornalista dell'Associated Press racconta di un poliziotto che si inginocchia per colpire ad altezza d'uomo. Negli scontri, i morti sono sei, i feriti quasi cento. Hamas accusa il Fatah di aver piazzato i cecchini sui tetti, di aver organizzato la provocazione per dimostrare che l'organizzazione non è in grado di controllare la sicurezza a Gaza. La fazione del presidente Abu Mazen risponde di aver impedito ai suoi miliziani armati di partecipare alla commemorazione. Da Ramallah, il raìs condanna i militanti islamici («hanno commesso un crimine vergognoso») e proclama il lutto nazionale. Anche Mohammed Dahlan, uomo forte della Striscia prima della sconfitta militare, ritorna a parlare: «Quello che è successo dimostra che per Hamas è cominciata la fine. Sul piano popolare, morale e religioso. Presto vinceremo contro gli assassini». Abu Mazen ha organizzato tre giorni di eventi per celebrare la memoria del leader scomparso l'11 novembre del 2004. Il suo partito ha bisogno di simboli carimastici, non solo a Gaza. A Ramallah, tra sabato e domenica, è stato inaugurato il mausoleo, un cubo in pietra di Gerusalemme, costato oltre un milione e mezzo di dollari. Il presidente si sta preparando al vertice di Annapolis, a fine novembre negli Stati Uniti, cerca l'appoggio popolare per procedere nei negoziati con gli israeliani. «Spero che un giorno potremo realizzare il suo sogno e che Arafat possa essere seppellito a Gerusalemme», ha detto durante la cerimonia davanti al sepolcro. «Ho sentito che lo spirito di Arafat ci chiamava. Voleva che reagissimo e uscissimo per strada», racconta Wasfi Ramadan, ex poliziotto di 42 anni. «E' la prima volta che ho avuto il coraggio di mostrare il mio sostegno per il Fatah». E' andato alla parata con il figlio Yasser, 9 anni, e la figlia Salwa, 14. Avrebbe dovuto essere una giornata tranquilla. Domenica, Hamas aveva fermato un carico inviato dalla Cisgiordania, con migliaia di poster del Fatah, magliette e cappelli da baseball gialli. Eppure anche i poliziotti di Hamas indossano la keffiah bianca e nera, simbolo del raìs scomparso. Non reagiscono, quando i manifestato urlano «sciiti, sciiti», un riferimento all'influenza iraniana sugli integralisti. «Cinque nostri miliziani sono stati feriti dai cecchini — commenta Sami Abu Zuhri, un portavoce del movimento —. Se avessimo pianificato gli scontri di oggi, perché avremmo permesso che la manifestazione venisse organizzata?». Da quando Hamas ha preso il controllo della Striscia in giugno, è la prima volta che il Fatah riesce a mostrare di non essere ridotto a un fantasma. Proprio mentre il movimento fondamentalista sembra spaccarsi sulle trattative con la fazione di Abu Mazen. Gli oltranzisti come Mahmoud Zahar ripetono di essere pronti a conquistare anche la Cisgiordania. I moderati vengono zittiti. Gazi Hamad, ex portavoce del premier deposto Ismail Haniyeh, è stato criticato e rimosso dall'incarico dopo aver detto che il colpo militare di cinque mesi fa è stato un «grave errore strategico ». Ahmed Youssef, un altro consigliere di Haniyeh, ha perso potere perché ha definito «interessante» l'iniziativa di Ginevra, un accordo simbolico raggiunto tra attivisti israeliani e palestinesi.
Alberto Stabile sulla REPUBBLICA commenta al termine della sua cronaca ( a pagina 18)
difficile dire chi abbia incominciato a sparare. A Gaza non ci sono, nè ci sono mai stati, procuratori o inquirenti in grado di stabilire la verità dei fatti. Di solito, chi è al potere spara. E poi si vede.
Ci volevano i proiettili di Hamassui dimostranti di Al Fatah perché REPUBBLICA si accorgesse che le fonti palestinesi sono inattendibili e asservite al potere di turno...
Breve trafiletto ripreso da Associated Press sulla prima pagina di EUROPA . Leggiamo:
la tensione è iniziata a salire quando i manifestanti hanno intonato lo slogan "assassini, sciiti" Militanti armati di Hamas hanno aperto il fuoco
Da La STAMPA un'intervista di Francesca Paci al ministro degli Esteri dell'Autorità palestinese Riad Al Malki. Opportuna, oltre alle domande sulla fiducia palestinese verso Stati Uniti e Israele, sarebbe stata una domanda sulla reale disponibilità dell'Autorità al compromesso (a incominciare dal riconoscimento di Israele come Stato ebraico, negato dal negoziatore Saeb Erekat)
I morti e i feriti di Gaza dimostrano che Hamas parla di dialogo ma vuole solo consolidare il suo emirato». Il ministro palestinese degli Esteri e dell’Informazione, Riad al Malki, braccio destro del presidente Abu Mazen nella preparazione del vertice americano di Annapolis, conta sulla conferenza americana anche per disinnescare Hamas: «Nessuna provocazione ci fermerà». Sette morti, 150 feriti, 27 attivisti di Fatah arrestati: Hamas ha colpito duro sulla gente che commemorava il terzo anniversario della morte di Arafat. Che cosa sta succedento a Gaza? «Quando un sedicente governo popolare spara su un milione di persone che manifestano pacificamente, è l'inizio della fine. I leader di Hamas sanno che dopo il colpo di Stato di giugno sono più deboli, hanno perso credibilità e supporto popolare, sono isolati dal mondo. Chi parla con loro? Hanno un bel minacciare i film di propaganda, il blocco dell'utilizzo del gas al largo di Gaza, possono dire quel che vogliono: controllano a mala pena il territorio. Non resisteranno a lungo». L'ala politica di Hamas ripete di voler dialogare con il presidente Abu Mazen. Sareste disponibili a un incontro? «Noi siamo pronti, ma ad alcune condizioni: Hamas deve rinunciare all’autorità che ha usurpato, accontentarsi di quel che è, un partito, rendere quanto ha rubato, liberare i prigionieri, smantellare le milizie. Da soli, dove vanno? Prima o poi verranno a bussare qui». Pensa che il taglio dell'elettricità e della benzina, minacciato e in parte attuato da Israele, aiuti a piegare la resistenza di Hamas? «L'Autorità Nazionale Palestinese condanna queste misure punitive: sono inaccettabili, illegali, controproducenti. Danneggiano la collettività, la gente di Gaza. Se Israele vuole colpire Hamas o chi lancia i Qassam, faccia pure, ma identifichi i colpevoli, non tiri a caso. L'esperienza insegna che queste iniziative volte a indebolire Hamas finiscono per rafforzarlo. Noi comunque non le accettiamo». Che cosa vuol dire: porterete ad Annapolis la situazione di Gaza? «Annapolis con Hamas non c'entra. Annapolis non si tocca. Gli israeliani sbagliano ad assediare Gaza, ma ogni 15 minuti di energia tagliata sono una risposta ai Qassam: chi li lancia è responsabile della prigionia di Gaza. Hamas è contro Annapolis, lo sappiamo, ma noi andiamo avanti». Vi fidate degli Stati Uniti? «L'America sembra impegnata nel processo di pace. Annapolis è una conferenza internazionale, eil mese prossimo a Parigi c'è il meeting dei Paesi donatori. Qualcosa si muove. Non si tratta di fiducia, ma di cogliere l'occasione. E' mio dovere lavorarci: se fallisce, non perdiamo niente. Nessuna intesa è possibile senza l'America: per la prima volta il Presidente Bush ha detto di volere la pace e ha parlato di Palestina indipendente, democratica, fattibile. Io mi fido. credo sia serio. Da parte nostra rifiutare sarebbe suicida». E Israele? Vi fidate d'Israele? «L'Amministrazione Bush s'interessa a noi e così pure il premier israeliano Olmert. A lui tocca mettere a posto i mal di pancia nel suo governo, a noi nel nostro. Abbiamo tutti qualcosa da guadagnare, è una “win-win situation”: i palestinesi ottengono uno Stato e gli israeliani il riconoscimento di ventidue Paesi arabi e, domani, dell'intero mondo musulmano».
Il titolo della breve cronaca di AVVENIRE (pubblicata a pagina 15) è fuorviante in quanto non dà nessuna informazione sulla natura interpalestinese degli scontri: "Palestina in fiamme: 7 morti a Gaza" Non molto chiaro anche il titolo del GIORNO "Gaza, il ricordo di Al Fatah finisce nel sangue", ma il sottotitolo precisa "Gaza il ricordo di Arafat finisce nel sangue". Il sottotitolo però precisa "Nuovi scontri tra Fatah e Hamas: almeno sette morti".
Ambiguo anche il titolo del SOLE 24 ORE "A Gaza riesplode la guerra" La cronaca di Ugo Tramballi è sostanzialmente corretta, a parte l'ipotesi che Abu Mazen controlli in Cisgiordania "ciò che gli israeliani gli consentono di controllare. In realtà la presenza militare israeliana impedisce, per ora, che tra Fatahe e Hamas scoppi un conflitto per il potere simile a quello di Gaza. Tramballi esprime anche la certezza della disponibilità al compromesso dei dirigenti palestinesi, proprio mentre il negoziatore Saeb Erekat lancia un forte segnale in senso contrario: il rifiuto di riconoscere Israele come Stato ebraico.
Michele Giorgio sul MANIFESTO, alle prese con discordanti fonti palestinesi non sa quale seguire e si rassegna a scrivere che
la ricostruzione dell'accaduto è incerta.
Di certe per lui, ci sono solo le colpe di Israele. Ne trova anche in questo episodio:
Gli ospedali, già a corto di medicinali e kit di pronto soccorso a causa dell'isolamento praticato da Israele
(che lascia passare gli aiuti umanitari, ndr)
hanno avuto difficoltà a curare i feriti.
Anche Paola Caridi sul RIFORMISTA sposta l'attenzione dagli scontri interpalestinesi alle presunte responsabilità israeliane
Gaza è strangolata, isolata e misera
scrive. Naturalmente per colpa di Israele e non del terrorismo che obbliga quest'ultima a difendersi.
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