Da PANORAMA del 9 novembre 2007, un articolo di Fiamma Nirenstein:
Condoleezza Rice deve affrettarsi, ormai è tardi e arrivano gli ospiti. Qualsiasi cosa abbia messo in forno per il banchetto di Annapolis è tempo di servirla, anche se è mezza cruda; se aspetta, la sua fatica si brucerà lasciando tutti affamati, furiosi e avvolti in un fumo nero e maleodorante. Nonostante i sorrisi e gli abbracci con i leader mediorientali, che «Condi» ha imparato a conoscere nel corso di otto viaggi nella regione, la conferenza di pace prevista per fine novembre si presenta come una bizzarra creatura politica. Fino all’ultimo sono rimasti virtuali la data e i partecipanti, ancor più incerti i risultati. È un meeting surreale, il cui esito più prevedibile è il fallimento: rischia di essere una conferenza di pace che finisce per rafforzare Hamas e l’Iran.
Gli stessi protagonisti israeliani e palestinesi sono esitanti, delusi dalle riunioni preparatorie, ma tutti obbligati da Rice a vigorose strette di mano e a dichiarare la propria speranza di scorgere all’orizzonte un’irripetibile opportunità. Opportunità legata all’idea che il leader palestinese Abu Mazen sia un partner irripetibile per Israele perché alieno dall’estremismo e che il premier di Gerusalemme, Ehud Olmert, sia un abile politico determinato alla pace anche a causa dei suoi problemi interni. Di fatto i due leader ripongono in Annapolis la più realistica possibilità di sopravvivenza politica. Ma mentre Olmert è pronto ad affrontare l’opinione pubblica, Abu Mazen non si è mai dichiarato nemico morale del terrorismo, né è sembrato molto scandalizzato quando un gruppo di poliziotti di Al Fatah, addetti a proteggere una visita di Olmert, si sono invece rivelati terroristi che attentavano alla sua vita.
Gli israeliani sembrano molto più determinati dei palestinesi, come ai tempi di Oslo, a seguire la formula «due popoli per due stati». Mentre Olmert invita a un accordo da sviluppare in un anno, Abu Mazen vorrebbe che Annapolis gli consegnasse già per intero le concessioni israeliane, ma in cambio non è disposto a menzionare il terrore come problema principale, tant’è vero che in questi giorni sta dialogando con Hamas. Battuto a Gaza da Hamas e sospettato dai suoi di essere troppo amico degli israeliani, Abu Mazen si difende restando ancorato alle vecchie idee massimaliste come il ritorno dei profughi (che per Israele è impossibile), la divisione di Gerusalemme (che è molto difficile) e il ripristino dei confini del 1967, anche quello soggetto a varianti. La trattativa parte dal testo base che recita: prima la sicurezza, poi il resto. E Israele ci tiene. Quanto ai profughi, impossibile immaginare che Abu Mazen dica «Vogliamo uno stato che sia la patria di tutti i palestinesi» e che Israele accetti il suicidio demografico.
Perché Condi si è avviata su un terreno rischioso? Prima di tutto per la necessità di recuperare credibilità dopo gli insuccessi in Iraq e la minaccia integralista. Rice, dimostrando di accogliere la tesi per cui la crisi israelo-palestinese è all’origine di tutti i guai, pensa che staccando quei fili può togliere la corrente all’estremismo del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e agli islamisti, a Hezbollah e Hamas.
È contro il pericolo iraniano che Rice si è data da fare per coinvolgere, insieme a molti ospiti sunniti moderati, la Siria. L’idea è che avere questo paese al tavolo di Annapolis assesterà un colpo all’Iran, inducendolo a rinunciare all’atomica e alla cooperazione con Hezbollah nella conquista del Libano. Strano che Condi non pensi invece che l’invito faccia comodo al presidente Bashar al-Assad: la Siria potrebbe semplicemente garantire la sua presenza in cambio della sospensione del processo per l’omicidio di Rafik Hariri e anche dell’apertura di una trattativa sul Golan (disastrosa per la sicurezza di Israele). Il fronte estremista potrebbe uscire rafforzato dal flop di Annapolis. E se l’Iran apparirà più forte in Medio Oriente degli Usa, allora il pericolo atomico verrà esteso.
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