Milioni di dollari per esaltare i terroristi suicidi li vuole spendere Hamas a Gaza
Testata:La Stampa - 24 minuti Autore: la redazione - Francesca Paci Titolo: «Striscia di Gaza, Hamas sogna Hollywood - Gaza, fate i film non la guerra»
A pag. 6 di 24 MINUTI ”quotidiano pomeridiano del gruppo Il sole 24 ore” (gratuito) di 8 novembre 2007 si può leggere un trafiletto nell’intestazione della pagina dal titolo:”Striscia di Gaza, Hamas sogna Hollywood”.
Una nuova Hollywood nella striscia di Gaza, fatta di studi televisivi, impianti cinematografici, case di produzione, hotel e parchi per bambini. Il progetto di Hamas (nella foto miliziani del movimento palestinese)
Che fanno il saluto nazista, col braccio teso
Per realizzarlo servono 200 milioni di dollari: ne è stato raccolto appena uno.
Quante volte abbiamo sentito che Gaza è alla fame? Ci sono anche appelli in cui si insinua perfino che Gaza sarebbe come un campo di sterminio nazista. Ebbene, in un posto così a chi verrebbe in mente di creare una Hollywood, hotel, impianti cinematografici, case di produzione e parchi per bambini?
Non è che forse a Gaza proprio di fame non si muore (considerato anche i miliardi di donazioni che letteralmente piovono da tutto il mondo)?
Va anche sottolineato che la "hollywood" palestinese servirà, come prevedibile, ad esaltare le "gesta" dei teroristi suicidi.
Su la STAMPA, Francesca Paci scrive: "L’iconografia dei kamikaze è la grammatica della propaganda culturale. Madinat Asdaa non esiste ancora ma ha già il suo film numero uno: la biografia di Imad Aquel, il leader delle Brigate al Qassam morto nel 1993 a 23 anni, scritta da Mahmoud Zahar, l’uomo forte di Hamas, la linea dura contro quella «politica» di Haniyeh.".
Ecco il testo completo dell'articolo (il cui titolo "Gaza, fate i film non la guerra" è completamente ingannevole: i film di Hamas servono alla "guerra" terroristica, non sono un alternativa ad essa)
Quattro pescatori con il berretto della Columbia University riempiono le vasche d’acqua dolce per l’allevamento dei pesci. Il geometra Khaled si aggira tra gli scheletri delle serre abbandonate dai coloni ebrei nel 2005 e misura il futuro iperpollaio. Gru, trattori, jeep cariche di tubi, attraversano le dune di sabbia tracciando la mappa invisibile di Madinat Asdaa, la piccola Hollywood di Gaza, mare e palmeti sullo sfondo come in quella californiana. Sono le avanguardie dell’ambizioso progetto di Hamas che per raccontare l’epopea palestinese mescola cultura e lavoro agricolo, set televisivi e piantagioni di mango, eroi di celluloide, registi diplomati in Qatar e contadini analfabeti, alla maniera dei regimi del secolo scorso. Un grande sogno nazionalpopolare: cinema, appunto. L’idea di un parco multifunzionale sui 500 mila metri quadrati dell’ex insediamento ebraico di Ghosh Katif, evacuato due anni fa, risale in realtà alla fine del 2006, parecchi mesi prima che la guerra civile di giugno consegnasse Gaza al partito islamico di Ismail Haniyeh. «Abbiamo cominciato a lavorare a maggio con l’approvazione dell’Autorità Nazionale Palestinese e un primo finanziamento di un milione di dollari», spiega l’ingegnere Abdelsalam Nasser, 30 anni, responsabile tecnico di Madinat Asdaa. La pianta del progetto è in un ufficio spoglio, dominato da una vecchia tv: un palazzo di 7 piani e 3 mila metri quadrati sede degli studios, un cinema, un teatro, un ristorante, un museo dell’arte palestinese più simile al Museo Etnografico Pigorini di Roma che al Moma di New York. E intorno i teatri di posa che dovranno «ospitare» la vita quotidiana dei palestinesi: uliveti, ovili, campi di alberi da frutta di cui 5 mila già piantati. Una grande produzione di film ma non solo. Abdelsalam Nasser fa i conti con il cantiere, giorno per giorno: «Ci vorranno tre anni di lavoro ammesso che, insciallah, si trovino i 200 milioni di dollari necessari». E ammesso che Hamas resti in sella, che il vertice di Annapolis fallisca, che non scoppi una nuova guerra. Ma basta allungarsi una trentina di chilometri a Nord fino a Gaza City, cuore politico del progetto, per ascoltare stime più audaci. «Cominceremo a produrre in primavera» annuncia il responsabile media di Hamas Fathi Hammad. «La causa palestinese parlerà attraverso film, documentari, serie tv». I fondi arriveranno: «Per il momento utilizziamo soldi di al-Aqsa tv ma contiamo sui donatori stranieri, Paesi arabi e anche l’America, perché no? Adoro i film americani, parlano sempre dello scontro tra bene e male e finiscono con la vittoria del bene». E non cambia chi siano i buoni: la sua pellicola preferita è «Omar al Muktar», la storia dell’eroe libico interpretato da Anthony Queen che si batte contro il colonialismo italiano, «un cult». «Il personale a Gaza c’è, migliaia di lavoratori dello spettacolo che si sono formati nei Paesi del Golfo», nota Samir Abu Muhseh, 35 anni, direttore dei documentari di al Aqsa tv. Lui stesso ha studiato in Qatar: «Sono laureato in giornalismo ma per molti anni ho fatto il muratore in Israele. Poi, dopo un tirocinio ad al Jazeera, sono venuto a lavorare qui». La piccola Hollywood di Gaza promette duemila posti ai migliori candidati, metà nei campi e metà sul set. Ragazzi come Tarik, 19 anni, archivista di al Aqsa tv che ha catalogato «i 5 mila martiri palestinesi morti dal duemila a oggi». L’iconografia dei kamikaze è la grammatica della propaganda culturale. Madinat Asdaa non esiste ancora ma ha già il suo film numero uno: la biografia di Imad Aquel, il leader delle Brigate al Qassam morto nel 1993 a 23 anni, scritta da Mahmoud Zahar, l’uomo forte di Hamas, la linea dura contro quella «politica» di Haniyeh. Dietro la macchina da presa c’è il regista quarantenne Majid Jendiea, davanti un cast di attori selezionati tra 200 aspiranti convocati dagli altoparlanti delle moschee. «Cercavo gente che somigliasse ai protagonisti - racconta Majid -. Gli interpreti di Rabin e Barak sono identici e parlano ebraico». Attori non professionisti e budget minimo, 50 mila dollari: «Purtroppo non ho milioni come Mel Gibson, il mio modello professionale. "Braveheart" è un capolavoro assoluto». Peccato non poterlo vedere su grande schermo. Perché la Striscia di Gaza che aspira alla sua piccola Hollywood musulmana, non ha sale cinematografiche. Le uniche 7 esistenti sono chiuse da anni. La crisi economica ma soprattutto, spiega Fathi Hammad, lo Zeitgeist, lo spirito dei tempi: «Le sale appartengono a privati e il governo non può intervenire nella scelta delle pellicole islamicamente corrette». Molto meglio prodursi i propri sogni di celluloide e distibuirli casa per casa insieme alla frutta e alla verdura
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