Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Non sono gli Usa a produrre il fondamentalismo islamico un editoriale di Christopher Hitchens
Testata: Corriere della Sera Data: 08 novembre 2007 Pagina: 1 Autore: Christopher Hitchens Titolo: «Non sono gli Usa ad alimentare l'integralismo»
Dal CORRIERE della SERA dell'8 novembre 2007:
V orrei richiamare l'attenzione sul reportage di prima pagina del New York Times del 30 ottobre in cui David Rohde, che scrive dalla cittadina afghana di Gardez, parla di un nuovo afflusso di combattenti stranieri particolarmente agguerriti e feroci. Definendola l'ultima infiltrazione di questo genere dal 2001, Rohde aggiunge che «i miliziani stranieri non si limitano a rafforzare i ranghi degli insorti, ma si dimostrano più violenti, incontrollabili ed estremisti addirittura dei loro alleati sul posto». Se si trattasse di una denuncia proveniente dall'Iraq, subito si direbbe che è colpa degli americani e che i jihadisti non avrebbero nulla a che fare con quel Paese se non fosse per la presenza della coalizione. È diventato quasi un articolo di fede tra i liberal sostenere che è bastata la follia dell'intervento americano a trasformare l'Iraq in una calamita dei nostri nemici. Peccato che un'analisi tanto superficiale quanto semplicistica non riesca a spiegare la situazione afghana, sotto due punti di vista. Oggi abbiamo raccolto prove convincenti che gli afghani, per la maggior parte, non si oppongono alla presenza delle forze Nato sul loro territorio. I segni di progresso sono deboli ma visibili, e hanno a che fare principalmente con il ritorno di milioni di profughi e con il miglioramento delle condizioni di vita delle donne. Di conseguenza, un gran numero di afghani si oppone alla presenza dei talebani, se non altro per un motivo prettamente nazionalistico, e cioè che questi incarnano l'ennesimo tentativo di trasformare l'Afghanistan in una colonia pachistana, come lo era prima del 2001. Ho ripercorso brevemente queste vicende perché non c'è motivo di sostenere che la presenza dei talebani, siano essi locali o di importazione, sia la conseguenza di qualche grave risentimento o ingiustizia a livello popolare. I loro manipoli, anzi, sono rozzi fanatici che fanno la guerra a una società già in larga parte musulmana. E non si trovano in Afghanistan perché ci sono gli americani. Lo sappiamo perché, molto tempo prima dell'arrivo degli americani, essi tenevano in pugno il controllo effettivo di vaste zone del Paese e avevano trasformato una nazione terrorizzata e oppressa in un trampolino di lancio e in un'incubatrice del loro nichilismo transnazionale. Per quanto la situazione appaia complicata oggi, le condizioni di vita in Afghanistan erano ben peggiori quando gli americani avevano scelto l'isolazionismo. Dopo tutto, se volessimo seguire la logica pacifista, e ammesso che sia la «nostra» presenza ad attirare la «loro », allora se ne deduce che alla nostra partenza anch'essi rinuncerebbero alla lotta per disperdersi altrove. Ma chi è disposto a credere una fandonia del genere? Ebbene, se questa logica è evidentemente falsa nel caso dell'Afghanistan, perché dovrebbe sembrare più persuasiva nel caso dell'Iraq? «Non se ne vede la fine», ecco un altro mantra della mentalità pacifista. E quanto è vera questa malinconica osservazione! Le ultime notizie parlano di una feroce ribellione islamica nel sud della Thailandia, che ha messo a ferro e fuoco i villaggi buddhisti (ricordate l'assalto talebano alle statue del Buddha a Bamiyan?) e pretende di imporre la legge islamica della sharia. Forse qualcuno mi farà il favore di indicarmi quali sono stati i crimini thailandesi o buddhisti — o dell'imperialismo occidentale — che hanno portato a questi sviluppi inattesi. O forse il fanatismo islamista ha caratteristiche sui generis, come quella di cercare lo scontro con tutte le società non musulmane del mondo, ricorrendo alla violenza e alla crudeltà più efferate. Di questi tempi sembra voler confrontarsi anche con nazioni e società islamiche. Ed è questo il punto su cui desidero richiamare l'attenzione. L'Afghanistan ha una Costituzione che riserva privilegi speciali all'Islam. Le donne afghane devono coprirsi almeno il capo. Persino coloro che hanno combattuto a lungo e duramente contro i talebani e Al-Qaeda — le forze dell'Alleanza del nord, per esempio, oppure gli Hazara di appartenenza sciita — sono tutti di fede profondamente islamica. Ma questo non basta a proteggerli dalle attenzioni degli attentatori suicidi e dei tagliagola, reclutati in Paesi anche molto distanti, come la Cecenia e alcune zone musulmane della Cina. Occorre pertanto sfatare l'idea che i jihadisti reagiscono solo contro coloro che attaccano i musulmani o si dichiarano islamofobi. Il popolo pachistano oggi scopre il prezzo di questo «ritorno di fiamma». L'intero Stato è consacrato all' Islam: è uno dei primi Paesi al mondo che ha fondato la propria identità nazionale sulla fede religiosa. Eppure vi sono tanti che non si accontentano e vogliono uno Stato esclusivamente islamico. Il generale Pervez Musharraf corteggiava queste forze, come avevano fatto il generale Zia e successivamente Benazir Bhutto (anche se oggi preferisce dimenticare questo particolare). I gruppi che agivano in Afghanistan per conto del Pakistan oggi hanno portato la guerra nelle strade delle città pachistane. Questi individui puntano all'imposizione di leggi e costumi del settimo secolo e alla restaurazione del califfato. Se è sciocco pensare che siano stati gli americani a innescare questo tragico fenomeno, è ancor più rischioso immaginare che su tali scelte si possa scendere a compromessi. Traduzione di Rita Baldassarre
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