Nicolas Sarkozy riavvicina Parigi e Washington e le loro politiche mediorentali
Testata: Il Foglio Data: 08 novembre 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Una vittoria strategica dell’occidente»
Dal FOGLIO dell'8 novembre 2007, un editoriale sulla visita di Nicolas Sarkozy negli Stati Uniti. Il riavvicinamento tra Parigi e Washington è particolarmente importante nello scenario mediorentale: riguarda l'Afghanistam , il nucleare iraniano, il Libano.
Ecco il testo:
Ogni volta che un soldato americano cade in qualche luogo del mondo, io penso a ciò che l’esercito americano ha fatto per la Francia… E sono triste, come uno è triste di perdere un membro della famiglia”. Questo Nicolas Sarkozy non è arrivato in America per insegnare, ma anzi – citando Lafayette – per imparare. Così la prosopopea di Chirac e Villepin è relegata per sempre al passato, con una perfida e colta allusione indiretta. Sarkozy non ha abbandonato la lingua francese, parlando al Congresso, ma ha usato le parole di un’amicizia solida, di un’alleanza strategica. Non ha nascosto nessun problema, però non ha mai fatto sembrare che le due sponde dell’Atlantico remino su barche differenti. Anzi, con la grande sutura tra Parigi e Washington si rivitalizza l’intesa atlantica. Perché Sarkozy ha chiesto all’America di mettersi alla testa della battaglia ambientale. Ha parlato di fedeltà alle alleanze e di principi comuni di libertà, del sogno americano, quello che premia gli imprenditori, non gli speculatori. Dunque ha anche dato avvertimenti, da amico, anche per evitare guerre valutarie che farebbero soltanto vittime. Ha promesso che la Francia resterà impegnata in Afghanistan fin quando sarà necessario. Ha semplicemente definito “inaccettabile” un Iran allo sprint verso la bomba nucleare. Ha chiesto una mano per dare al Libano una stabilità e un presidente forti. Ha preparato il prossimo vertice di Annapolis chiedendo ai leader di palestinesi e israeliani di fare qualcosa per la pace e di farlo ora, perché lo status quo è la garanzia dell’aggravarsi del male. Ha citato Duke Ellington, perché lui porta i Ray-Ban a specchio, senza dimenticare Charlton Heston, perché il sogno americano è anche mitologia pop del diritto alla ricerca della felicità. Poi l’immancabile Kennedy: per lui, gollista, sempre presente come ispirazione. Ha detto agli americani: credetemi – togliendosi ciò che di paludato inevitabilmente ha un discorso ufficiale – lo dico non per ideologia, ma per vocazione pragmatica: avete bisogno di un’Europa forte, perché la Nato non può fare tutto. Aveva il volto e il linguaggio del corpo sinceri. Forse a lui, che ha sempre saputo che sarebbe arrivato all’Eliseo, non pareva nemmeno vero di essere lì, e sicuramente a molti americani non pareva vero che quello lì fosse un presidente francese. In questa spontaneità che sa anche di sorpresa c’è la vittoria strategica dell’occidente.
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