L'ottimismo ingiustificato di D'Alema sul Libano, i fallimenti del sistema giudiziario nella lotta al terrorismo due editoriali
Testata: Il Foglio Data: 07 novembre 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «L’ottimismo ingiustificato - Terrore e giustizia»
Dal FOGLIO del 7 novembre 2007 un editoriale sullacrescente forza di Hezbollah in Libano:
In Libano Hezbollah è tornato a essere così forte militarmente da permettersi il lusso di manovre militari nel sud del paese. Politicamente il movimento sciita e gli altri partiti pro siriani minacciano il boicottaggio della seduta del Parlamento di lunedì che deve eleggere il nuovo presidente e porre fine allo stallo politico. Eppure secondo il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, nonostante “una fase abbastanza delicata, non voglio dire che siamo ottimisti, ma le cose si stanno muovendo in una direzione positiva”. Non è così naïf il suo “amico” francese, Bernard Kouchner, che tre giorni fa ha lanciato un “ammonimento molto chiaro alla Siria contro un eventuale vuoto politico in Libano”, determinato dai giochetti di Damasco attorno all’elezione presidenziale libanese. E nemmeno il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, che il 24 ottobre ha ricevuto un rapporto “allarmante”, secondo cui Hezbollah sarebbe “altrettanto se non più forte” di quanto non lo fosse prima della guerra dell’estate 2006 contro Israele, grazie alla Siria che “facilita il flusso di armi e di combattenti attraverso la frontiera siro-libanese”. Per Israele, la milizia sciita ha triplicato l’arsenale missilistico e ora sarebbe in grado di colpire Tel Aviv. Lunedì, il Partito di Dio ha rivendicato la tenuta di tre giorni di esercitazioni militari clandestine a sud del fiume Litani, nella zona sotto il teorico controllo della missione Unifil dove – dicono le risoluzioni Onu – non può circolare un’arma che non sia del legittimo esercito libanese. La “distrazione” dei 13 mila soldati onusiani non è casuale. Dall’attentato di giugno contro il contingente spagnolo, Italia, Spagna e Francia hanno adottato un profilo ancora più basso per la missione: i pattugliamenti sono ridotti e i soldati restano in caserme bunker. Così facendo Unifil ha perso credibilità di fronte a Hezbollah e rischia di ripetere gli errori del passato, con l’aggravante che i potenziali scudi umani di una nuova guerra per procura sono diventati 13 mila. A meno di non ripensare il ruolo di Unifil, l’Iran davanti all’escalation delle sanzioni occidentali e la Siria che teme un presidente libanese troppo poco pro siriano sono pronti a schiacciare un devastante grilletto. Con buona pace del quasi ottimista D’Alema.
E uno sul ruolo del sistema giudiziario nella lotta al terrorismo:
La lotta contro il terrorismo islamico, già di per sé complessa, trova un obiettivo ostacolo nelle incertezze e nei pasticci della magistratura. Ieri, su ordine della procura milanese, è stata compiuta una retata di terroristi salafiti, con diramazioni in vari paesi europei. Bisognerà poi vedere se, nella fase del giudizio, non riemergeranno le stravaganti tesi sostenute dal gip Clementina Forleo, secondo le quali reclutare assassini per l’Afghanistan o l’Iraq sarebbe un atto di resistenza e non di terrorismo. A combinare pasticci, per la verità, non è solo la giustizia italiana. Il tribunale spagnolo che giudicava dei fatti dell’11 marzo 2004, quando furono attaccati i convogli dei pendolari nella stazione madrilena di Atocha, ha assolto Osman el Sayed, “l’egiziano”, autore del piano terrorista, perché ha ritenuto che non potesse essere condannato due volte per lo stesso reato di associazione terroristica. Il tribunale spagnolo ha infatti considerato definitiva la condanna a dieci anni inflitta all’egiziano dal tribunale di primo grado milanese, mentre essa può essere riformata in appello, e probabilmente lo sarà se, come risulta, il pubblico ministero è intenzionato a chiederne l’assoluzione in secondo grado. La procura generale spagnola, a sua volta, ricorrerà contro la sentenza di assoluzione, che considera giustamente basata su un errore evidente, ma intanto è possibile che, nelle more dei due procedimenti, il terrorista egiziano si trovi libero e si renda poi irreperibile. Il tassello giudiziario, nell’azione antiterroristica, è decisivo, ma assai fragile. Non solo perché il tribunale di uno stato di diritto deve assicurare, com’è sacrosanto, tutte le garanzie alla difesa, ma anche perché certe ansie di protagonismo dei magistrati, non solo italiani, rendono l’iter processuale una specie di percorso di guerra. Alla fine, quasi sempre, la sentenza definitiva corrisponde a criteri elementari di giustizia, ma nel frattempo, negli anni che intercorrono tra la cattura e il giudizio finale, si creano infinite scappatoie che i terroristi sanno sempre sfruttare.
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