Così Olmert e Abu Mazen preparano la conferenza di Annapolis che dovrebbe rilanciare il negoziato di pace
Testata: Il Foglio Data: 07 novembre 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Il dialogo rodato tra Olmert e Abu Mazen porta ad Annapolis»
Dal FOGLIO del 7 novembre 2007 un articolo sulla preparazione della conferenza di Annapolis
Gerusalemme. Ehud Olmert e Abu Mazen si sono incontrati molte volte negli ultimi mesi, per preparare la conferenza di Annapolis, in programma a fine novembre. Hanno discusso a Gerico e nella residenza del primo ministro israeliano a Gerusalemme; il rais palestinese è stato fotografato sorridente nella sukkah del premier, la tradizionale capanna che gli ebrei costruiscono nei loro giardini o sui balconi durante la festività religiosa di Sukkot. Il rapporto creatosi tra i due politici impegnati da mesi in lenti colloqui dall’esito incerto è ben diverso da quello degli ultimi due leader ad aver tentato la via del negoziato tra israeliani e palestinesi: l’ex premier Ehud Barak e l’ex rais Yasser Arafat. “I due si parlavano a malapena durante Camp David, nel 2000 – spiega al Foglio Dore Gold, ex ambasciatore d’Israele alle Nazioni Unite – c’era ben poca chimica tra i due”. Non è lo stesso tra Abu Mazen e Olmert. Ma attenzione, mette in guardia Gold, “le relazioni interpersonali tra due leader possono rivelarsi ingannevoli, a prevalere sarà sempre l’interesse nazionale”. I due hanno costruito una buona relazione, concorda Shlomo Avineri, professore di Scienze politiche all’Università ebraica di Gerusalemme: “S’incontravano anche prima dei colloqui su Annapolis, ma rimangono due politici deboli e soltanto leader forti possono prendere forti decisioni”. Il premier e il rais, infatti, sono ai minimi storici nei sondaggi sulla popolarità, rispettivamente in Israele e nei Territori. Abu Mazen ha sempre mancato di carisma e si è rivelato incapace di coinvolgere la piazza; Olmert risente ancora della maldestra gestione del conflitto con Hezbollah, nell’estate del 2006, e affronta un’ostile opinione pubblica a causa dei suoi problemi giudiziari. Per molti, però, i due hanno bisogno l’uno dell’altro proprio a causa della loro debolezza interna: “Olmert vuole dimostrare al pubblico che può sviluppare un’agenda palestinese anche senza ritiri unilaterali”, ha scritto sul Resito Bitterlemons Yossi Alpher, ex consigliere di Ehud Barak per i negoziati di Camp David. Dopo il disimpegno da Gaza e la presa di potere di Hamas, la visione dell’ex premier Ariel Sharon ereditata da Olmert ha cominciato a traballare. Abu Mazen s’inventa invece, con i colloqui, una strategia che gli manca. I due leader s’incontrano per tentare di tornare al tavolo dei negoziati, spinti da Washington, dal segretario di stato Condoleezza Rice, che ha visitato la regione più volte negli ultimi mesi. Eppure, israeliani e palestinesi, nonostante le buone relazioni tra i due leader impegnati nei colloqui, non trovano un accordo neppure sull’argomento di discussione. Il governo del premier palestinese Salam Fayyad vorrebbe che ad Annapolis si negoziasse sulla base di un documento contenente i punti centrali del conflitto: confini, Gerusalemme, rifugiati. Gli israeliani abbassano le aspettative, puntano a una dichiarazione d’intenti e vedono nel summit l’inizio di possibili trattative, ma senza una scadenza prestabilita. Una fonte interna all’Autorità nazionale, giorni fa, ha rivelato a un quotidiano israeliano che i palestinesi accetterebbero le concessioni israeliane proposte alla conferenza di Taba nel 2001, dopo il fallimento degli accordi di Camp David. Il giornale israeliano Arutz Sheva ha scritto che Olmert si sarebbe dimostrato favorevole a riprendere Taba come base di discussione. Pochi mesi fa, all’inizio dei colloqui tra i due leader, al Quds, quotidiano palestinese, ha pubblicato la presunta bozza di un’intesa di principi tra le parti, con alcuni punti assai simili ai parametri di Bill Clinton. “Ci sono diversi documenti consultati in questi colloqui, in maniera non ufficiale – dice al Foglio Ghassan Khatib, ex deputato ed ex ministro palestinese, professore all’Università di Bir Zeit, in Cisgiordania – la conferenza di Taba, i parametri Clinton, la road map, l’iniziativa non ufficiale di Ginevra”. Khatib, nonostante riconosca la buona relazione tra i due leader, è pessimista: la situazione politica non è, spiega, quella del 2000-2001, “le possibilità di raggiungere un accordo sono poche, la sfida non è Annapolis, ma il dopo”. Anche Avineri teme Dall’altra parte, Abu Mazen tenta di mostrarsi capace di mantenere la sicurezza in Cisgiordania. Dopo i fatti di Gaza, centinaia di attivisti di Hamas sono stati arrestati; in seguito a un accordo con Israele, Fatah ha chiesto ai membri del suo stesso braccio armato, le Brigate dei Martiri di al Aqsa, di deporre le armi in cambio di un’amnistia; 300 poliziotti sono stati pochi giorni fa dispiegati nell’agitata cittadina di Nablus e nelle scorse ore gli uomini delle forze di sicurezza hanno dato battaglia ai militanti delle Brigate asserragliati in un campo profughi; l’esecutivo ha chiuso oltre cento organizzazioni caritatevoli legate a Hamas e sospettate di riciclare denaro in favore del movimento. Olmert e Abu Mazen “nonostante la loro debolezza – ha detto Tony Blair, inviato del Quartetto per il medio oriente – possono farcela”. Ma non si può tornare indietro al 2000, dice Avineri: “Nella migliore delle ipotesi, ad Annapolis sarà raggiunta una dichiarazione d’intenti, che menziona gli argomenti di discussione. Saranno creati gruppi di lavoro, annunciato un vago programma”.
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