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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
06.11.2007 Israele scompare dalle cartine della Polizia italiana
un editoriale di Magdi Allam

Testata: Corriere della Sera
Data: 06 novembre 2007
Pagina: 1
Autore: Magdi Allam
Titolo: «Se nelle cartine della Polizia non compare Israele»
Dal CORRIERE della SERA del 6 novembre 2007:

È a pagina 100, l'ultima del neonato «Prontuario di Polizia in lingua araba», che sono rimasto scioccato. La cartina geografica del Medio Oriente indica in inglese e in arabo i nomi di tutti gli Stati, dei territori palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, ma non di Israele.
Che compare solo nella citazione «Gerusalemme occupata da Israele». Mi sono detto: «Possibile che una pubblicazione ufficiale dello Stato italiano ignori la realtà di Israele, così come fanno i Paesi arabi e musulmani nei loro testi scolastici e nei loro atlanti dal momento che ne negano il diritto all'esistenza?». Ed è nel suo insieme che questo opuscolo, ispirato a un relativismo valoriale e all' ideologia del multiculturalismo, che lascia perplessi.
Va bene, come scrive nella comunicazione inviatami Roberto Sgalla — direttore delle Relazioni esterne e Cerimoniale del ministero dell'Interno — che «il prontuario permette all'operatore di polizia di affrontare un dialogo di primo livello e allo straniero di acquisire le informazioni di cui ha bisogno ». Ma non va bene, come si legge a pagina 7 del prontuario, incentivare una strategia che affida al poliziotto non solo le competenze e le attribuzioni di «stretta polizia», ma anche quelle di promotore di un «lavoro sociale» e di «crescita interculturale ». Il ministero dell'Interno dovrebbe limitarsi a far rispettare la legge e l'ordine così come previsto dal diritto e dalle norme operative dello Stato italiano, non trasformarsi invece in mediatore linguistico, culturale e addirittura giuridico, ingegnandosi a conciliare valori, tradizioni, religioni e principi legali diversi a seconda del Paese di provenienza dell'immigrato.
Perché il rischio è che, per non urtare la suscettibilità del clandestino immigrato a cui si sottopone una carta geografica del Medio Oriente per chiedergli da quale Paese provenga, si finisca per sceglierne una che non menzioni Israele. Oppure, come si evince dall'affermazione «Ripresa in matrimonio della moglie ripudiata» (Capitolo 7, Informazioni allo sportello, pagina 75), che si tollera di fatto il diritto islamico poligamico a dispetto della norma del codice penale italiano che vieta e sanziona la bigamia. Come è possibile che lo Stato italiano, da un lato, non riconosca il matrimonio islamico perché si tratta di un contratto privatistico tra due soggetti basato sulla legittimazione della poligamia e in cui il marito ha la facoltà di ripudiare la moglie in qualsiasi momento senza dover renderne conto a nessuno e, dall'altro, possa anche semplicemente prendere in considerazione il fatto che uno si presenta in questura dicendo di aver ripreso in matrimonio la moglie ripudiata, magari chiedendo il suo reinserimento nel permesso di soggiorno dopo essersi risposato con il solo rito islamico?
Ugualmente mi chiedo perplesso e indignato come si possa affidare la formazione linguistica e culturale della polizia di Stato alla Libia di Gheddafi, tramite due sue associazioni («Unione Islamica in Occidente» e «World Islamic Call Society») e «docenti dell'Università di Tripoli e di scuole coraniche italiane», trattandosi di un regime che ha ammesso di essere stato uno sponsor del terrorismo internazionale, che continua a ricattare l'Italia tramite la manipolazione del flusso dei clandestini e la richiesta di miliardi di euro di risarcimento per i danni coloniali, mentre ha deciso di investire 40 milioni di dollari per realizzare un film in cui sostiene la tesi che gli italiani avrebbero commesso un «genocidio» in Libia. O come si possa affidare la gestione dei poliziotti che aspirano a fare dei corsi di lingua e cultura araba all'Università di Rabat a una docente, Claudia Tresso, che nel 2006 ha sottoscritto un appello in cui si afferma che «la politica di Israele si fonda da decenni sulla pulizia etnica e sull'apartheid» e che «il riconoscimento dell'esistenza di Israele da parte di chi finora nella regione non l'ha concesso, è subordinato alla creazione dello Stato palestinese». Possibile che il ministero dell'Interno abbia come partner privilegiato uno sponsor del terrorismo internazionale e come interlocutore chi nutre un pregiudizio nei confronti di Israele fino a mettere in discussione il suo diritto alla vita?
Per tutto ciò credo che sia arrivato il momento di riflettere sulla dilatazione del ruolo e delle mansioni del ministero dell'Interno. Personalmente sono convinto dell'opportunità di scorporare la politica dell'immigrazione e dell'integrazione, creando un apposito dicastero così come è in Francia e Olanda.
Che i poliziotti facciano i poliziotti e si occupino nel miglior modo possibile della sicurezza e dell'ordine pubblico, lasciando ad altri il compito — ed è essenzialmente di natura valoriale, ideale e politica — di definire un modello di convivenza sociale che si fondi sul rispetto e sulla difesa dell' identità nazionale e in cui l'integrazione deve essere un percorso obbligatorio per tutti coloro che vengono in Italia per migliorare le proprie condizioni di vita.
www.corriere.it/allam

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