Anche l'anniversario di uno statista ucciso tragicamente diventa, per lei, l'occasione per scagliarsi con severità contro tutto quello che la politica israeliana produce.
In anni non lontani, ricordo, la posizione del suo giornale fu schierata contro la politica del generale Rabin, anche lui, come tanti altri, uomo trasformatosi, nella sempre cattiva Israele, da militare in politico. E già questa fu sempre considerata una grave colpa della politica israeliana.
Ma oggi egli è morto, ucciso per mano di un fanatico (in quale stato non ci sono fanatici? Ma in Israele, almeno, vengono messi in galera, anche se, come lei scrive falsamente, il sistema giudiziario israeliano lo proteggerebbe. E in galera rimangono). E allora, essendo morto, non è più un militare da vituperare, ma un uomo da santificare.
Le cose non stanno così come lei ce le descrive nel suo articolo.
Il figlio del giovane zelota sarebbe stato programmato per nascere, secondo tanti anticipatori dei fatti, proprio nel giorno dell'assassinio di Rabin. E già questa era la prova di come andavano male le cose in Israele. Non è andata così. Ma se poi, questo bambino, viene circonciso nel giorno nel quale avrebbe dovuto invece nascere, nell'ottavo giorno della sua esistenza, come prescrivono le antiche regole dell'ebraismo, la colpa è ancora del sistema giudiziario di Israele. Ma non è proprio il suo giornale che, anche in Italia, si è sempre fatto paladino per permettere tante libertà ai carcerati, assassini comuni, terroristi o mafiosi che siano? E in Israele succede, all'incirca, la stessa cosa. Ahimè, aggiungo io, un ahimè che vale per Israele come per il nostro Paese. Ma se poi si permettono certe cose, se ne devono anche accettare le conseguenze.
E poi lei non si trattiene dal fare fantapolitica. Quell'altro generale, che di nome fa Barak, preannuncia la pace dei coraggiosi, che lui porterà al suo popolo staccandosi dal governo. Peccato, ma lei non lo ricorda, e qui sta la sua colpa, che Barak già ci ha provato a fare la pace, con Arafat, uomo non dissimile da Abu Mazen per carattere e modi di condurre le trattative, ma certo più forte politicamente. Ma, nonostante il generale Barak avesse promesso tutto quello che uno statista potesse promettere, e forse anche di più, spinto da un Clinton che desiderava passare alla storia portando la pace in MO, la pace non giunse, ed anzi si scatenò una terribile Intifada. Lei non sottolinea come, in quel Paese dove c'è una vera democrazia, sconosciuta nella maggior parte dei paesi, fra i quali annovero pure il nostro, coloro che accompagnarono Rabin in un percorso che, quasi certamente, si sarebbe fermato là dove si è poi fermato con Barak, sono ancora là, sempre rieletti dal loro popolo, a ricordare e a continuare quella che fu la sua politica, con gli ovvii aggiustamenti del caso.
Vede,De Giovannangeli, fa bene Peres a pronunciare le parole che lei riporta in chiusura del suo articolo. Ma vede, De Giovannangeli, lei non ha capito nulla dello spirito degli uomini politici di Israele, che anelano con sincerità a portare la pace in quelle terre sfortunatissime eppure bellissime. Ma anelano a portare LA PACE, la pace vera e duratura, non quel surrogato di pace che chi la pensa come lei sarebbe pronto a firmare anche domani, se potesse, in nome del popolo ebraico. E che poi succeda quel che deve succedere?
Distinti saluti
Emanuel Segre Amar