Europa e America non fermano l'atomica iraniana e la proliferazione nucleare dilaga nell'intero Medio Oriente
Testata: Il Foglio Data: 03 novembre 2007 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Una sola mano per bastone e carotaNell’inerzia di ElBaradei riparte la gara nucleare in medio oriente. Pericoli -»
Dal FOGLIO del 3 novembre 2007, un articolo sull'estensione all'intero Medio Oriente del problema della proliferazione nucleare:
Il Cairo. Il problema dell’atomica iraniana tra poco dovrà essere declinato al plurale: i problemi atomici del medio oriente. Le esitazioni a fermare Teheran stanno legittimando una corsa generalizzata al nucleare nei paesi di tutta l’area: nucleare civile, beninteso, per oggi. Poi si vedrà. Ieri, rappresentanti dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza – Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia – più la Germania si sono incontrati a Londra per discutere l’imposizione di sanzioni ulteriori contro l’Iran. Russia e Cina si oppongono. L’Unione europea si limita a valutare l’ipotesi, sostenuta soprattutto da Francia e Gran Bretagna, ma Germania e Italia, a causa di lucrosi legami commerciali con Teheran, restano scettiche. Il Consiglio di sicurezza attende la pubblicazione a metà novembre di un rapporto dell’Agenzia per l’Energia atomica internazionale (Aiea). Se il documento non sarà positivo, procederà con il voto su nuove sanzioni. A frenare i tentativi di Washington, Londra e Parigi di fare pressioni determinanti su Teheran c’è sempre il segretario generale dell’Aiea, Mohammed ElBaradei: chiede agli Stati Uniti di ammorbidire i toni e sostiene la mancanza di prove sull’utilizzo del materiale atomico a fini militari. Le discussioni, i rallentamenti della comunità internazionale, i tentennamenti di ElBaradei tuttavia coincidono con la rapida emersione di un medio oriente atomico. All’inseguimento del programma nucleare di Teheran, spinti dai timori di un’egemonia politica, militare, religiosa ed energetica della Repubblica sciita, negli ultimi mesi molti paesi sunniti della regione hanno annunciato la preparazione di programmi atomici civili. Per primi, hanno cominciato a discuterne Tunisia ed Egitto. Poi anche l’Arabia Saudita e i ricchi regni del Golfo, i maggiori produttori di petrolio al mondo, hanno annunciato a loro volta intenzioni nucleari. E’ la prova che la nuova gara tra arabi e persiani non è dettata da carenze energetiche, ma dall’ombra minacciosa dell’Iran su tutta la regione, dove ormai è in missione permanente il segretario di stato americano, Condi Rice.
I costi destabilizzanti dell’inflazione Per esercitare, se non altro, una forma debole di sorveglianza, la comunità internazionale si è inventata supervisore atomico dei paesi arabi. E’ la strada indicata da Nicolas Sarkozy. A luglio il presidente francese ha raggiunto un accordo con la Libia sulla difesa e ha firmato un memorandum d’intesa per un accordo sul nucleare. Il leader dell’Eliseo ha garantito anche al Marocco, dove si è recato in visita a metà ottobre, sostegno tecnologico per la realizzazione di un altro programma atomico. Davanti al Parlamento marocchino, Sarkozy ha detto che i progressi del regno di Mohammed VI dimostrano all’Iran che i paesi sviluppati sono pronti a dividere le proprie conoscenze con altri, a patto che le regole internazionali siano rispettate. Il messaggio è chiaro: la comunità internazionale non è contro lo sviluppo del nucleare civile se la trasparenza è garantita e si seguono le regole. E’ qui che s’inserisce anche la nuova proposta di Riad e dei paesi del Golfo per provare a disinnescare il confronto con il vicino iraniano: la costruzione di impianti per l’arricchimento d’uranio in un paese terzo fuori dal medio oriente (è stata indicata la Svizzera, modello di neutralità). L’accesso all’uranio sarebbe regolato e controllato da un “consorzio” che darebbe secondo le necessità civili di ciascuno e taglierebbe in partenza le ambizioni militari. Benita Ferrero-Waldner, commissario per le Relazioni esterne dell’Unione europea, ha offerto al Cairo – che questa settimana ha confermato la sua decisione di costruire centrali nucleari – sostegno logistico soprattutto “nello sviluppo di una cultura della sicurezza”. Anche lo Yemen ha imboccato la stessa strada: ma il contratto per la costruzione di cinque centrali nucleari è stato appena sciolto per questioni di corruzione. Anche la gara nucleare peserà sulle casse già dissestate del regime di Teheran, alle prese con un’inflazione destabilizzante. Il governo dichiara un tasso d’inflazione del 16 per cento, ma per molti molti analisti è almeno al 22. “La crescita dei prezzi e il tentativo di controllarli artificialmente destabilizzano e danneggiano le nazioni. Se questo porta alla caduta di regimi corrotti o dittatoriali – dice Daniel Mitchell, ricercatore del Cato, think tank libertario americano – può essere una cosa buona per l’occidente”.
Un editoriale sulla necessità di una politica europea e americana comune versol'Iran:
Timothy Garton Ash descrive l’azione della diplomazia europea nei confronti dell’Iran, e in particolare quella del terzetto Germania, Gran Bretagna e Francia che si è assunto l’onere di guidarla, come quella di “una lumaca ubriaca”. Non ha tutti i torti, a giudicare dai risultati nulli ottenuti finora, però forse sottovaluta l’effetto che è destinato ad avere il passaggio del governo di Parigi dal campo dei frenatori a quello di chi si impegna attivamente per la soluzione di un problema che peraltro è e resta assai ardua. L’osservatore britannico spiega che per dare qualche chance alla trattativa sul nucleare iraniano bisogna che l’Europa disponga di “una grossa carota e un grosso bastone”. Poi, però, quando spiega in che cosa possono consistere questi strumenti di minaccia e di incentivo, fa cadere le braccia. L’Europa, scrive, potrebbe offrire a Teheran una trattativa a tutto campo e senza pregiudiziali con il governo americano. Davvero? C’è un presidente americano attuale o futuro che rinuncerà alla richiesta di abbandono del programma nucleare della teocrazia iraniana per sedersi a un tavolo solo per fare un favore agli alleati europei? Se l’incentivo è inconsistente, la minaccia non è da meno. Ridurre i crediti statali europei che finanziano il commercio con l’Iran può dare qualche fastidio, per il tempo necessario a far sì che la Russia e la Cina sostituiscano la Germania e l’Italia come principali partner commerciali. In realtà l’idea che l’Europa possa fare una politica verso l’Iran separata da quella americana è infondata. Senza la potenza militare ed economica americana, l’Europa può fare solo delle chiacchiere ed è esattamente quello che fa. In realtà il grosso bastone ce l’ha l’aviazione americana e l’Europa potrebbe dare una mano dicendo preventivamente che non condannerebbe un’incursione contro le centrali iraniane, se Teheran continua a rifiutarsi di trattare sulle risoluzioni dell’Onu. Naturalmente l’adozione di sanzioni più dure anche da parte europea sarebbe utile come segnale di una forte unità di intenti dell’occidente, cioè per il suo effetto politico, ma c’è chi sostiene che, per lo specifico stato dell’Iran, anche sul piano economico ci sarebbero effetti significativi. Se è giusto avere a disposizione minacce e incentivi, è indispensabile che essi siano in una mano sola, in quella di una ristabilita unità dell’occidente, affinché si possa fare uso dei due strumenti in modo oculato.
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