Si ferma il negoziato per l'adesione della Turchia all'Europa e intanto Washington e Baghdad promettono aiuto contro il Pkk
Testata: La Stampa Data: 02 novembre 2007 Pagina: 11 Autore: Marco Zatterin - Maurizio Molinari Titolo: «L'Europa boccia la Turchia - Il Pkk ad Ankara: se ci offrite un piano di pace, ci fermeremo»
Da La STAMPA del2 novembre 2007 un articolo di Marco Zatterin sul rapporto Ue sulla Turchia:
Il giudizio finale si riassume in una sola lapidaria frase: «Dal 2005 il processo riformista in Turchia ha rallentato il passo ed è stato poco omogeneo». Da qui si dipana un articolato insieme di dubbi e preoccupazioni e, dunque, di sollecitazioni, perché il premier Recep Tayyip Erdogan promuova una nuova cornice istituzionale e politica in cui sia garantito il pieno rispetto dei diritti umani e delle minoranze, i militari vengano estromessi dalla gestione dello Stato, e ci si astenga «da ogni azione che possa ostacolare il processo pacifico di soluzione delle dispute di frontiera». Nell’elenco delle cose che Ankara deve e non deve fare, la piena libertà dei movimenti di capitale appare pochi paragrafi dopo la tortura. Una lista nera, più che un rapporto di tappa. Il segnale che fra il Bosforo e l’Europa le distanze si allungano invece che accorciarsi. Ventuno pagine senza fronzoli che denunciano la povertà di progressi nel processo di adesione della Turchia all’Unione europea. Dalla proposta di decisione del Consiglio che la Commissione Ue dovrebbe varare martedì emergono tutte le contraddizioni e le peculiarità delle relazioni fra Bruxelles e la Mezzaluna, primo Paese a larghissima maggioranza islamica ad aver intrapreso un (lungo) cammino che porta verso il club delle dodici stelle. I negoziati sono cominciati due anni fa, ma già nel dicembre dell’anno passato i Ventisette hanno sospeso otto dei 35 capitoli della trattativa, tutta colpa della violazione dell’accordo doganale perpetrata con l’embargo commerciale nei confronti di Cipro. Una buona parte delle capitali dell’Unione Europea, fra cui Parigi, non vorrebbe nemmeno continuare coi dossier aperti. Si avanza perché c’è tempo, molto tempo, e non si sa mai cosa potrebbe accadere. «La Turchia deve rinnovare l’impegno per le riforme politiche - si legge nella bozza del documento preparato dall’eurogoverno -. Servono sforzi significativi in particolare per la libertà di espressione, sul controllo dei militari, e sui diritti delle comunità non musulmane». Sebbene registri un maggior grado di autonomia dei media sul Bosforo, Bruxelles è convinta che «il sistema legislativo turco non garantisca ai giornali un livello di libertà in linea con gli standard europei». Il che, ovviamente, non va bene. La Commissione, poi, non vede «alcun progresso» sul terreno della diversità culturale, etnica e religiosa. «I bambini la cui madre lingua non è il turco non possono usare la loro lingua nelle scuole pubbliche», recita il rapporto. Oltretutto, viene fatto notare, un livello di ulteriore restrizione viene applicato alle popolazioni curde. «Le comunità non musulmane continuano a dover affrontare problemi quali la limitazione del diritto di proprietà». E un provvedimento legislativo che garantisce la parità dei sessi, sebbene approvato, «non è stato ancora recepito dalla realtà sociale». Simbolo della difficoltà di parlare una lingua che convinca l’Unione, secondo il documento dell’esecutivo di Bruxelles, è il famigerato articolo 301 del giovane codice penale, quello che criminalizza gli insulti contro «lo spirito della Turchia». La conseguenza è che il frequente riferimento a questa disposizione ha creato «un clima di autocensura nel Paese», che influenza il mondo degli intellettuali e degli accademici. La categoria è divenuta ultimamente più silenziosa. L’esatto contrario dei generali, che invece «non dovrebbero intervenire nelle questioni politiche». Il dito della Commissione si punta sulla crisi istituzionale che ha accompagnato la nomina del presidente della Repubblica. «E’ necessario riaffermare il primato del processo democratico, poiché le forze armate continuano ad esercitare una significativa influenza politica in Turchia», soprattutto su questioni sensibili come le relazioni con Cipro, il senso del laicismo e la disputa curda. Il rapporto con Nicosia è uno dei crucci ricorrenti. L’appello europeo è che «si contribuisca a creare un clima favorevole ad una composizione della disputa» e si «rimuovano tutte le restrizioni sulle navi battenti bandiera cipriota». Martedì Bruxelles chiederà ad Ankara di fare più in fretta. E anche se le dichiarazioni saranno come di consueto più morbide del documento che le ispira, resterà un messaggio preciso. Quello secondo cui il 2006 è stato un anno perso fra tante parole e pochi fatti.
Un articolo di Maurizio Molinari sulle proposte di "pace" del Pkk:
«Un piano di pace e la liberazione di Abdullah Ocalan». I guerriglieri del Pkk recapitano ad Ankara le condizioni per il cessate il fuoco con una dichiarazione di Abdel Rahman Cadirci, il portavoce dei gruppi militari che operano dalle montagne di Qandil, nel Kurdistan iracheno. Cadirci sceglie questo momento per sfidare il governo turco ad un dialogo politico perché i prossimi quattro giorni vedranno la crisi turco-curda al centro di un vortice diplomatico in chiave anti-Pkk. Da oggi a Istanbul si apre la conferenza ministeriale sulla sicurezza dell’Iraq che vedrà i premier di Ankara e Baghdad, Recep Tayyp Erdogan e Nuri al Maliki, incontrarsi per tentare di disinnescare la crisi accesa dagli attacchi del Pkk contro la Turchia. E lunedì lo stesso Erdogan arriva alla Casa Bianca per un atteso faccia a faccia con il presidente americano, George W. Bush, che promette di avere «una buona discussione di sostanza, come avviene fra solidi alleati», al fine di adottare «concreti ed urgenti passi contro il Pkk». In realtà la collaborazione trilaterale contro i guerriglieri del Partito dei lavoratori curdi (Pkk) è già in stato avanzato: Ankara ha schierato centomila uomini lungo i confini iracheni e ogni giorno i suoi aerei ed elicotteri bombardano le basi del Pkk in territorio iracheno grazie alle informazioni di intelligence raccolte dai droni del Pentagono. Washington ha inviato nell’area anche gli aerei-spia U-2 al fine di garantire alla Turchia il massimo di accuratezza sui dettagli delle posizioni del Pkk, che continuano ad operare nelle montagne di Qandil grazie ai ripari naturali offerti dal territorio. Baghdad è a conoscenza della cooperazione militare Usa-Turchia e, secondo fonti diplomatiche a Washington, anch’essa avrebbe fornito ad Ankara informazioni sulle basi create dal Pkk. Tanto più stretta è la cooperazione trilaterale tanto più si restringono i margini di attività del Pkk, che con le dichiarazioni del portavoce all’agenzia France Press lancia adesso un segnale di apparente apertura politica, sperando di farsi ascoltare anche da Baghdad e Washington. «Chiedo alla Turchia di avere coraggio e di presentare un piano di pace al fine di risolvere il problema» ha detto Cadirci, augurandosi che tale strada possa «mettere fine» ai combattimenti in corso. Le posizioni di partenza del Pkk sono molto lontane da quelle di Ankara: «Chiediamo alla Turchia di riconoscere i nostri diritti nazionali, culturali, linguistici, politici e di darci la possibilità di esprimerci liberamente». Ma non è tutto: il Pkk reclama anche la scarcerazione del proprio leader storico, quell’Abdullah Ocalan che venne catturato dai commando turchi in Kenya nel 1999 dopo una rocambolesca fuga che lo aveva portato a risiedere per lunghe settimane anche in una villa nei pressi di Roma. Ocalan negli ultimi otto anni è stato detenuto in un’isola ed ha firmato una dichiarazione di rinuncia alla lotta armata. «Procedendo passo dopo passo - è la tesi del portavoce del Pkk - possiamo ottenere progressi e trovare una soluzone ai nostri problemi evitando di ricorrere alla forza».
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