L'Iran e l'America ? Si demonizzano a vicenda ma i veri cattivi sono i neocon
Testata: Europa Data: 01 novembre 2007 Pagina: 0 Autore: Stefano Pitrelli Titolo: ««Attaccare significa dire addio alle speranze di democrazia»»
Secondo William O. Beeman, intervistato da Stefano Pitrellisu EUROPA del 1 novembre 2007, il paragone tra Ahmadinejad e Hitler è "stupido" e "senza basi storiche", non esiste nessun motivo per attaccare l'Iran, il regime degli ayatollah e gli Stati Uniti si "demonizzano a vicenda" (è il titolo di un suo libro).
Pitrelli è sollecito nel permettere a Beeman di esporre le sue idee, che sembra approvare incondizionatamente.
Entrambi, evidentemente, hanno dimenticato che Ahamdinejad vuole cancellare Israele dalla faccia della terra e che Khamenei e gli altri "centri di potere" della Repubblica islamica condividono questo progetto.
Hanno dimenticato anche (o non hanno mai conosciuto) la differenza morale tra una teocrazia totalitaria e una società libera. Per loro l'una non è peggiore dell'altrra, dovrebbero solo imparare a convivere.
Ecco l'articolo:
Quando dall’estero si guarda a come vanno le cose nella politica interna iraniana, quando si legge degli aspri confronti fra Ahmadinejad e altri grandi nomi della politica a Teheran, è facile farsi un’idea sbagliata: che il regime sia diviso, e che magari, per questo, sia fragile e pronto a collassare, magari applicando la giusta pressione lì dove sembra che scricchioli – come gli Stati Uniti stanno facendo con le ultime sanzioni imposte al regime degli Ayatollah. «Ma il regime è sempre stato diviso», spiega William O. Beeman, capo del dipartimento di antropologia all’università del Minnesota, esperto della socio-cultura iraniana, e autore di The “Great Satan” vs. the “Mad Mullahs” – How the United States and Iran Demonize Each Other. «È uno degli aspetti dell’Iran che in Occidente si fa fatica a capire: di centri di potere ce ne sono tanti, dentro il regime». Ma questo non rende certo fragile la sua struttura politica. Professor Beeman, come spiega la presenza di tante lotte di potere a Teheran?Dipende tutto dalla Costituzione, testo al quale gli iraniani danno molta importanza: è proprio la loro Carta a garantire la presenza di numerosi centri di potere. Fa parte della loro cultura: la gente anela a porsi a capo della propria fazione di potere. E questa complessa struttura gerarchica, integrata nella loro Costituzione, porta con sé una conseguenza: se rimuovi la singola persona dalla sua poltrona di leader, molti altri si faranno avanti per prenderne il posto. Va da sé che questo aspetto genera grande competizione all’interno del regime. Basti considerare la storia di Mahmoud Ahmadinejad. Non era certo la prima scelta dei leader spirituali, che avrebbero voluto al suo posto Larijani. Ma Larijani in campagna elettorale non era stato un granché, e non godeva del sostegno popolare. Ahmadinejad, invece, agli inizi sembrava una scelta neutrale, e si pensava che non avrebbe cambiato di molto le cose. Perché la presidenza in fondo è solo uno dei nuclei di potere? Sì, e da un punto di vista strutturale è anche piuttosto debole: non ha controllo sull’apparato militare né sul programma nucleare o la politica estera. Ecco perché sono stati tutti molto sorpresi quando Ahmadinejad ha iniziato ad assumere un ruolo di alto profilo, e si è messo a parlare di questi argomenti. Il risultato ha finito col creare imbarazzo al governo, che nelle questioni militari e di politica estera ha sempre avuto un approccio pragmatico, a volte addirittura sostenendo gli Stati Uniti, altre opponendosi a loro, ma solo nell’ottica del proprio interesse nazionale. L’approccio di Ahmadinejad, invece, è ideologico, e lo pone in netto contrasto con la leadership centrale. Ma il suo sostegno si è fatto debole, e lui potrebbe essere rimosso dall’incarico prima della fine del suo mandato. Ecco perché reagisce con dichiarazioni sempre più estreme nella sfera pubblica, cosa che lo rende sempre più popolare nel mondo arabo. Ma sarebbe un grave errore pensare che Ahmadinejad rappresenti il comune sentire del governo iraniano. Lui non ha tutto questo potere. E tuttavia le sue dichiarazioni stanno scatenando reazioni pericolose. Il fatto è che in Occidente le sue asserzioni vengono interpretate come dichiarazione d’intenti da parte del governo iraniano, e questo in particolare da coloro che hanno tutte le intenzioni di attaccare l’Iran. Sono loro a rendergli la vita facile: più Ahmadinejad viene aggredito, più popolare diventa, più cresce la sua influenza sul paese. In che modo? E quali sono i rischi? Fra cinque anni i giovani al di sotto dei 35 anni rappresenteranno la maggioranza, nel paese: gente che non ha mai conosciuto Khomeini e la rivoluzione. Il che significa che in Iran si verificherà un grande cambiamento sociale. Posto che il mondo lasci in pace l’Iran. Se lo attaccheranno, tutti i giovani che oggi sono bendisposti nei confronti dei paesi occidentali e del cambiamento sociale verranno immediatamente galvanizzati contro l’Occidente. Vorranno difendere il proprio paese, diventando nazionalisti. E tutte queste potenzialità e tutta questa buona volontà verranno estirpate alla radice. Ce ne sono tanti che dicono: «Io sono contro il governo, ma se ci attaccheranno difenderò la mia patria». Bush ha parlato del rischio di una “Terza guerra mondiale”. Esiste una ragione concreta per attaccare l’Iran? Assolutamente no. Tranne per i neoconservatori, che questa idea ce l’hanno da almeno quindici anni. È dal 1991-1992 che cercano una scusa adatta. Nessuno sembra ricordare come siano stati gli stessi americani a convincere l’Iran dello scià a sviluppare l’impianto di Bushehr. Quindi il nucleare iraniano esisteva da prima della rivoluzione, ed è evidentemente impossibile che gli Stati Uniti non lo sapessero. Ma ne hanno fatto una cause célèbre, anche se l’Aiea di El Baradei spiega che non c’è prova di un programma di armamenti atomici. Insomma, anche stavolta la pistola fumante non c’è. Gary Sick ha spiegato a “Europa” che al momento non sembra esistere un candidato sponsorizzato da Washington per presiedere un “nuovo” Iran. Di candidati ne hanno cercati. C’era Rob Sobhani della Georgetown University. Poi il figlio dell’ex scià, e tanti altri. Ma ciascuno di questi individui aveva delle pecche che lo rendevano inadatto. E anche se ci fosse un nome giusto, basta dare ancora una volta un’occhiata alla loro costituzione per rendersi conto che sarebbe complicato. Non puoi eliminarne uno e abbattere il regime, non è “facile” come era stato con Saddam, perché ci sono almeno altre venti persone altrettanto importanti nella struttura di potere. Non puoi usare la bacchetta magica e cambiare il regime: ci vorrebbe una completa revisione della Costituzione. E se la gente a Washington avesse fatto i compiti, se ne renderebbe conto. Neanche bombardare l’Iran servirebbe a cambiare regime. Le conseguenze, invece, sarebbero cataclismiche. Eppure c’è chi ha paragonato Ahmadinejad a Adolf Hitler. È il caso di Norman Podhoretz (decano neocon, ndr). Ed è un paragone stupido, senza basi storiche. Serve solo ad alimentare la campagna stampa in favore dell’attacco, e l’isteria intorno alla questione iraniana. C’è un gruppo di gente che è ossessionata dall’idea di bombardare l’Iran. Forse anche perché non piace il fatto che Teheran ci stia affrontando con un certo livello di successo.
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