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Libero Rassegna Stampa
01.11.2007 La sentenza contro i terroristi della strage di Madrid
e gli effetti della resa delle istituzioni europee ai nemici della civiltà occidentale

Testata: Libero
Data: 01 novembre 2007
Pagina: 20
Autore: Carlo Nicolato - Andrea Morigi
Titolo: «Fu terrorismo religioso Madrid condanna l'islam - Per colpa dell'Europa il mandante non è punito»
Da LIBERO del 1 novembre 2007, la cronaca della sentenza spagnola che ha condannato gli esecutori della strage di Atocha dell'11 marzo 2004:

MADRID Rabei Osman Alfonso Guevera, uno dei tre magistrati al quale è spettata la storica sentenza sulla strage di Madrid dell'11 marzo 2004 l'aveva anticipato: «Ci saranno delle sorprese». Ma nessuno si immaginava fossero tante, e così importanti. Andiamo per ordine. Condanne certo ce ne sono state, 21, per un totale di più di 120 mila anni di carcere. Ma ci sono state anche delle assoluzioni, ben 7. E tra queste quella di Rabei Osman detto "El Egipcio", l'egiziano, l'uomo fin dall'inizio indicato come la mente della strage, l'autore intellettuale. In forza di questa assoluzione la strage di Atocha, ha degli autori materiali, dei confezionatori di bombe e dei collaboratori, ma manca di una "mente", di un mandante. Non solo, a proposito dell'esplosivo utilizzato la sentenza dice in sostanza che non importa quale fosse, ma che «tutto o in gran parte proviene da Mina Conchita». Alcune prove poi non sono neppure state prese in considerazione. Non c'erano dubbi invece che la sentenza sposasse completamente la tesi della strage terroristica islamica, per la prima volta in Europa, e bocciasse definitivamente la pista Eta o quantomeno la possibilità di una collaborazione tra estremismi. E questo nonostante qualche indizio ci fosse. E pure pesante. Il tribunale dell'Audien cia Nacional di Madrid ha sottolineato invece come non vi fosse alcuna prova che suffragasse la "tesi alternativa". Tesi che è costata la vittoria alle elezioni all'ex premier Aznar, portata poi avanti dal suo partito, il partito Popolare, e da alcuni quotidiani anche importanti come El Mundo. Dunque la sentenza. Alle 10 e 31 di ieri mattina è iniziata la lettura del giudice Javier Gómez Bermúdez. Il tribunale era sorvegliato da decine di agenti armati con giubbotti antiproiettile, alcuni con cani al guinzaglio. Gli elicotteri sorvolavano costantemente la zona. Jamal Zougam e Otmal el Gnaoui sono stati riconosciuti come autori materiali della strage e condannati rispettivamente a 42.922 e 42.924 anni di carcere. Il loro principale e diretto collaboratore se ne è presi 34.715. I tre sono i diretti responsabili della morte di 191 persone, di due aborti e del tentato omicidio di altre 1.856 persone. In più sono stati condannati per terrorismo e banda armata. L'appar tenenza a banda armata è il reato per il quale sono stati condannati altri 11 imputati, con pene tra i 12 e i 23 anni (per il solo caso di Hamid Ahmidan). Altri quattro sono stati condannati per collabora zionismo, mentre altri tre per aver preparato o procurato gli esplosivi. Le vittime degli attentati saranno risarciti con somme che vanno da 30.000 euro a 1,5 milioni di euro. Alla lettura della sentenza Rabei Osman, prosciolto, si è commosso. Mentre gli altri, i condannati, ridevano. In particolare Jamal Zougam uno di quelli che ha depositato gli esplosivi. E le vittime? I parenti? In aula ce n'erano. Ce n'erano anche fuori dal tribunale, in strada. Dentro non ci stavano tutti. Alla lettura della sentenza hanno reagito qualcuno desolazione altri con rabbia. Ci sono stati momenti di tensione, «Che merda di giustizia è questa» urlava qualcuno. Era la madre di Carlos Alberto, una delle vittime: «Hanno riso di mio figlio, del figlio che mi hanno ammazzato». A una giovane musulmana col velo non hanno permesso di entrare. Lì non era certo posto per lei. Non va giù ai parenti delle vittime l'assoluzione dell'egiziano: «Hanno lasciato per strada un genocida, è una vergogna» diceva un giovane, «mio padre credeva di vivere in uno stato di diritto, fino a che non l'hanno ammazzato». Infine la politica. pochi minuti dopo la lettura della sentenza il capo dell'esecutivo José Luis Zapatero è apparso su tutte le televisioni spagnole per un intervento ufficiale: «giustizia è fatta» ha detto. Poi ha definito il lavoro dei giudici «esemplare», ha sottolineato come la sentenza dimostri la forza di uno «stato di diritto» e ha invitato gli spagnoli ha combattere uniti contro la minaccia terrorista. Il capo dell'opposizione Mariano Rajoy ha invece sottolineato come nonostante la sentenza dura e condivisibile continui a mancare l'autore intellettuale della strage, il mandante.

Se gli esecutori delle stragi sono stati condannati, i mandanti restano impuniti. I parenti delle vittime protestano pubblicamente.

Andrea Morigi, sempre su LIBERO spiega perché la strategia antiterroristica europea non è estranea a questo drammatico fallimento della giustizia:


I parenti delle vittime dell'11-M si domandano pubblicamente «quale giustizia di merda è questa?», che manda assolte le menti delle stragi islamiche di Madrid del 2003. Non basta che gli esecutori materiali abbiano ottenuto una pena detentiva di migliaia di anni. La manovalanza è soltanto l'ultimo anello della catena. Nel modus operandi classico di Al Qaeda, in realtà, si possono riconoscere almeno due momenti precedenti e preparatori: prima l'individuazio ne dell'obiettivo e poi la decisione strategica di colpire. Solo quando i vertici della rete hanno stabilito il momento e il luogo politicamente significativi si passa all'incarico di preparare e portare a termine l'azione militare. Se sono esclusivamente gli esperti di terrorismo, e non i giudici dell'Audiencia Nacional, a tener conto di quel modello decisionale, che non appartiene soltanto a Osama bin Laden ma anche alle cellule disperse in Europa, accade che «il pesce grosso, i leader spirituali, la gente come Belhadj, Haski e Rabei, che non hanno materialmente compiuto nulla, sfuggano all'amo», spiega Lorenzo Vidino, autore negli Stati Uniti di "Al Qaeda in Europe. The New Battleground of International Jihad". Così la sentenza emessa ieri dal tribunale spagnolo, a suo parere sembra limitarsi a giudicare colpevoli soltanto «quelli che hanno lasciato le impronte digitali sulla bomba inesplosa, il personaggio che ha fornito l'esplosivo, che fra l'altro è un drogato spagnolo, non un musulmano». Sembrerebbe un classico difetto di analisi, la lacuna più comune di chi si limita alle indagini di polizia giudiziaria senza sfruttare a fondo il lavoro d'intelligence. Ma non è certo il caso che riguarda Osman Rabei, di cui si conoscevano movimenti, frequentazioni e conversazioni, dalle quali emergono le prove che non abitava per pura coincidenza a Madrid insieme ai terroristi autori della serie di attentati. Eppure, nonostante la richiesta dell'accusa di una condanna a suo carico di 47 mila anni di reclusione, i giudici del maxi processo non sono riusciti a stabilire che fu lui a ideare la strage. Alla corte è bastato che l'egiziano sia stato condannato a 8 anni in Italia per affermare che non lo si poteva condannare due volte per lo stesso reato. Ma quella inflitta a Rabei tre giorni fa dalla Corte d'Assise d'Appello di Milano, che lo ha ritenuto colpevole di associazione a delinquere finalizzata al terrorismo internazionale, non è stata una condanna definitiva. E ora il pericolo che torni libero di uccidere è divenuto reale. Tranne questa e altre forzature giuridiche che si riflettono nella sentenza di assoluzione madrilena, l'indulgenza verso i mandanti sembra in realtà la figlia naturale di decisioni politiche. Come non ripensare alla strategia sul terrorismo partorita dall'Unione Europea e svelata ieri da Libero? Nel testo si distingue chi materialmente compie l'atto terroristico da coloro che lo istigano con la predicazione, il reclutamento, l'addestramento, la fornitura di armi, esplosivo, documenti e basi logistiche. Questi ultimi passano in secondo piano per una decisione pubblica, adottata dai governi comunitari dopo che era trascorso meno di un anno dagli attacchi dell'11 settembre agli Stati Uniti. Era il 13 giugno 2002 e da questa parte dell'Oceano Atlantico le istituzioni si erano già arrese al nemico della civiltà occidentale. Non che in America, patria del diritto costituzionale che garantisce la libertà di parola, sia stata un'impresa facile riuscire a stringere il cerchio attorno agli ispiratori della guerra santa. Ma alla fine, nell'aprile del 2005, un tribunale federale è riuscito a condannare lo statunitense Ali al-Timimi perché i suoi sermoni nella moschea Dar Al Arqam, a Falls Church, in Virginia avevano spinto un gruppo di giovani musulmani ad addestrarsi per compiere atti di terrorismo tra il 200 e il 2001. L'imam non aveva mai partecipato alle attività militari, ma aveva consigliato ai propri fedeli di andare dai Talebani in Afghanistan. Ed è stato sufficiente per condannarlo all'ergastolo.

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