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Informazione Corretta Rassegna Stampa
27.10.2007 La bancarotta palestinese e gli aiuti internazionali
L'analisi di Daniela Santus

Testata: Informazione Corretta
Data: 27 ottobre 2007
Pagina: 1
Autore: Daniela Santus
Titolo: «La bancarotta palestinese e gli aiuti internazionali»
Pubblichiamo una analisi di Daniela Santus, docente all'Università di Torino, che uscirà sulla rivista "Protagonisti", dal titolo " La bancarotta palestinese e gli aiuti internazionali". 

 

Nonostante l’embargo internazionale sugli aiuti all’Autorità Palestinese, imposto quando i terroristi di Hamas sono saliti al potere nei Territori, gli aiuti arrivati ai palestinesi nel corso del 2006 - come emerge dai dati forniti dalle Nazioni Unite, dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale - sono stati persino più abbondanti di quelli del 2005. Nel corso del solo 2006 i palestinesi hanno infatti ottenuto 1 miliardo e 200 milioni dollari di aiuti: nel 2005 avevano ricevuto “soltanto” 1 miliardo di dollari. A questo denaro va poi aggiunto quello non precisamente conteggiabile versato dai paesi musulmani quali Iran (nel 2006 pare abbia versato 120 milioni di euro nelle casse di Hamas), Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Siria e via discorrendo e quello ottenuto tramite le raccolte fondi delle varie organizzazioni umanitarie e delle sinistre di mezzo mondo. Italia compresa, anzi orgogliosamente in prima linea. Ma è di poche settimane fa la notizia della fine dell’embargo stesso: Stati Uniti, Europa e persino Israele verseranno ulteriori centinaia di milioni di dollari nelle casse della nuova Autorità Nazionale Palestinese, al fine di sostenere il Governo di emergenza nominato dal presidente Abu Mazen e guidato dal premier indipendente Salam Fayyad.

Se, di fatto, possiamo ben immaginare a quale uso venga destinato il denaro ottenuto dai paesi islamici, mortalmente nemici di Israele da sempre, vi sono casi in cui non è neppure necessaria l’immaginazione. Un esempio tra i tanti ci viene dall’Università Rutgers (New Jersey, U.S.A.), dove annualmente si svolge indisturbata una “festa dell’odio contro Israele e in solidarietà ai palestinesi”, con annessa colletta. I volantini pubblicitari recitano: “Alla Rutgers non puoi uccidere gli ebrei, ma puoi aiutare le persone che lo fanno. Supporta gli attentatori suicidi”. E siamo negli Stati Uniti, figuriamoci in Iran o in Siria!

Certo nella aristocratica Torino queste cose non avvengono, almeno non alla luce del sole, ma gli appelli degli intellettuali contro Israele non sono mai mancati. Basti pensare a quello firmato lo scorso anno dai proff. Angelo d’Orsi, Michelguglielmo Torri, Diana Carminati, Gianni Vattimo e molti altri illustri colleghi contro quella che definivano “l’aggressione israeliana al Libano”. Non una parola, ovviamente, sui razzi Katiuscia o sui Qassam che gli Hizbullah libanesi sparavano contro i villaggi del nord d’Israele e che i palestinesi di Hamas sparavano contro i villaggi del sud d’Israele; nemmeno un piccolo cenno ai soldati israeliani rapiti dagli stessi terroristi in territorio israeliano e mai rilasciati; men che meno sull’abitudine dei terroristi palestinesi e libanesi all’uso di bambini come scudi umani, alla ricerca del maggior numero di vittime possibili.

Che dire poi della recente campagna “Gaza vivrà”? Il sottotitolo, “appello per la fine di un embargo genocida”, già la dice lunga sul contenuto dell’appello stesso. Gianni Vattimo, Franco Cardini, Margherita Hack, Hamza Roberto Piccardo dell’U.CO.I.I., Dacia Valent e centinaia di altri nomi illustri l’hanno firmato sottoscrivendo affermazioni da brivido, in cui lo Stato d’Israele viene messo sul banco degli imputati senza nemmeno l’avvocato d’ufficio. Eppure sono convinta che i sottoscrittori, per certo inconsapevolmente, stiano danneggiando la stessa popolazione palestinese. Basterebbe dare uno sguardo ai documenti raccolti e costantemente aggiornati dal Centro Palestinese per il Monitoraggio dei Diritti Umani di Ramallah (non certo filoisraeliano!!!) per rendersi conto del fatto che la più grande colpa delle sofferenze palestinesi risiede proprio negli errori, e talvolta nella barbarie, dei palestinesi sugli stessi palestinesi, molto più che nell’atteggiamento israeliano nei loro confronti. Si veda a questo proposito il sito del Centro diretto dal dott. Bassam Eid, www.phrmg.org (The Palestinian Human Rights Monitorino Group). Eppure questi aspetti i media non ce li fanno conoscere e, si sa, le guerre si vincono anche grazie ai media. Ma ogni guerra ha bisogno di denaro.

Di fatto dal 1993 ad oggi i palestinesi hanno ricevuto – dai soli europei – più di dieci miliardi di dollari certificati. Questi fondi, pagati dai contribuenti europei, avrebbero dovuto poter cambiare le sorti di un popolo che vive in un territorio  la cui estensione di 6.360 kmq corrisponde all’incirca a quella della provincia di Torino (non dimentichiamo che l’intero Stato di Israele ha un’estensione territoriale inferiore a quella del Piemonte). Ma così non è stato: il nostro denaro è semplicemente servito ad alimentare e a ingigantire la struttura corrotta fondata da Arafat il quale, nei suoi ultimi cinque anni di vita, non ha esitato – pare - a stornare circa 900 milioni di dollari di aiuti su un conto bancario a favore della moglie Suha che da anni viveva a Parigi. Oltre che a finanziare i terroristi palestinesi delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa.

A questo punto è lecito chiedersi se l’Unione Europea non si sia mai accorta del mostro che stava generando con i soldi dei suoi contribuenti o se piuttosto non abbia volontariamente permesso ad Arafat di accumulare ricchezze per miliardi di dollari e di accusare, allo stesso tempo, il governo di Gerusalemme di affamare la popolazione palestinese e di ghettizzarla. La stessa sinistra italiana, che non ha mai perso occasione di puntare il dito accusatore contro Israele, avrebbe fatto meglio a prestare attenzione alle parole degli stessi palestinesi. Ata Abu Ramaileh, una sorta di tesoriere del campo-villaggio palestinese di Jenin, ha ad esempio dichiarato che milioni di dollari destinati a famiglie palestinesi non sono mai arrivati a destinazione. “Solo i corrotti dell’Autorità Palestinese hanno tratto vantaggi dall’intifadah” ha inoltre dichiarato Husam Khader, originario del campo-villaggio di Balata (presso Nablus) e membro, ai tempi di Arafat, del Consiglio Legislativo Palestinese, denunciando i furti di fondi pubblici palestinesi da parte di “dirigenti palestinesi che sono simboli di corruzione e prostituzione politica".

Al momento, tuttavia, è Hamas il vero pericolo. I terroristi – eletti proprio allo scopo di contrastare la corruzione dell’ANP – si sono dimostrati, per il loro stesso popolo, persino peggiori dei loro predecessori. Tuttavia Arabia Saudita, Qatar e Iran stanno facendo a gara per riempire loro le casse offrendo ad Hamas un sostegno monetario che, molto probabilmente, equivale anche al sostegno della stessa volontà di annientare lo Stato d’Israele.

Una diversa gara di solidarietà e di raccolta fondi - per la pace, of course - è partita anche in Italia grazie all’impegno delle varie ONG, delle associazioni pacifiste, dei quotidiani e dei movimenti legati alla  sinistra. E Torino non è da meno, vista la mobilitazione dei Cantieri Pace, del Comitato Palestina e dei Cantieri Fluviali Arci, impegnati ad "avviare l'eliminazione della guerra dalla storia". Non dimentichiamoci poi che Torino è città gemellata con Gaza (ufficialmente anche con Haifa, città portuale israeliana, ma forse sarebbe bene avvertire il sindaco di Haifa dell’avvenuto gemellaggio: dal momento che le iniziative torinesi pare coinvolgano presso che unicamente i palestinesi, non credo se ne sia mai accorto!) ed è giusto che si adoperi per cercare di risollevare le sorti della città gemella. Tuttavia, mi chiedo, qualcuno controlla l’uso e la destinazione di quei fondi?


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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