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Senza laicità e diritto = violenza 27/10/2007

VIOLENZA SCONTATA

 

In una settimana di un ottobre ancora tiepido l’Italia si indegna di fronte alla notizia che in Germania un tribunale ha condannato per maltrattamenti e sequestro un cittadino italiano ma gli ha concesso uno sconto di pena in quanto sardo, poiché il giudice ha stabilito che devono essere tenute in considerazione “le particolari impronte culturali ed etniche dell'imputato”. I telegiornali riportano la notizia nella sezione dell’assurdo, seguono servizi e interventi atti a dimostrare quanto sia civile la terra sarda, ricca di millenni di storia, e in cui le donne sono considerate e trattate con rispetto. Nascono anche articoli su giornali e blog in cui si sviscerano le diverse opinioni, da chi grida vendetta, chi si chiede come abbia fatto un avvocato donna a difendere un simile individuo, a chi fa notare che nonostante lo sconto di pena in Germania costui almeno è andato in carcere, mentre in Italia se la sarebbe cavata con molto meno.

 

 

 

In realtà ….

 

 

…la sentenza è del marzo 2006 ed è venuta agli onori della cronaca solo ora, poiché l’avvocato dell’accusato sta tentando di fargli scontare la pena in Italia. Nel leggere la traduzione degli atti processuali, in aggiunta alla descrizione di dettagli raccapriccianti della violenza effettuata sulla compagna, degni di un film dell’orrore, possiamo leggere le frasi incriminane: “È un sardo. Il quadro del ruolo dell'uomo e della donna, esistente nella sua patria, non può certo valere come scusa, ma deve essere tenuto in considerazione come attenuante”, pur non scampando all’aggravante di aver “pianificato e agito in modo straordinariamente spietato” e che la “parte lesa ha subíto un trauma durevole a causa dei maltrattamenti a lei inflitti”.

 

 

 

Se non c’è dubbio che la decisione di concedere l’attenuante per la violenza è molto piú che criticabile, e che, giustamente, il messaggio passato da giornali e tv è che tutto ciò non si può giustificare, penso che anche in questa occasione sia stato molto comodo fermarsi alle frasi di circostanza senza scavare un po’ sotto la comoda crosta della facile indignazione, dell’orgoglio nazionale e dell’enfasi del momento.

 

 

 

La prima cosa che mi è stata richiamata alla mente sono stati i casi del tutto simili che ci sono stati in Italia. Una donna di Verona ha avuto la mascella rotta ma il marito marocchino non ha fatto neanche un giorno di carcere perché il giudice ha riconosciuto che ha agito secondo la sua cultura. È sconvolgente, ma potremmo ancora credere che sia stato un caso, invece no. Quest’estate è arrivata una sentenza della Corte di Cassazione che ha definitivamente assolto dalle accuse di sequestro e maltrattamenti genitori e fratello di una ragazza, non negando che ci siano stati sequestro e maltrattamenti, ma concedendo che tutto ciò sia stato fatto, seppure nell’eccesso, con un fine di bene, ossia per evitare che la ragazza frequentasse cattive compagnie, nell’ambito della cultura islamica di appartenenza. Qualche articolo è apparso, ma poi tutto si è perso con il caldo d’agosto. Magari gli addetti ai lavori potranno anche spiegarci i dettagli tecnici della sentenza, ma il nocciolo della questione, purtroppo, rimane, e non né lo sdegno né il semplice fatto di guardare cosa accade in casa nostra rispetto a ciò che è accaduto in Germania facendo dei paragoni su quale delle situazioni sia stata la peggiore in due paesi in cui dal dopoguerra esistono costituzioni che dicono chiaramente che i cittadini hanno uguali diritti senza distinzioni di sesso. Il problema è un altro, e si tratta di capire che in tutti i casi, tedeschi o italiani che siano, si  tratta del fallimento del multiculturalismo, ossia dell’atteggiamento contemporaneo di ragionare per culture, aggiudicando a tutte lo stesso valore e concedendo lo status di espressioni culturali ad atteggiamenti che non lo sono affatto. E la conseguenza di tutto ciò è stata che la laicità e il diritto, ossia i principi che hanno consentito proprio alle varie culture di coesistere, sono stati distrutti, schiacciati dal peso di chi urla piú forte. Solo sotto l’ombrello della laicità e del diritto non invasivo (ma in grado di sanzionare i comportamenti pericolosi) tutte le culture, le etnie, e soprattutto gli individui possono convivere senza che nessuno prevarichi un altro. I processi che concedono attenuanti per appartenenze a culture non rispettose dei diritti umani, islamica o sarda che siano o che si possano definire (si potrebbe discutere molto su ciò), non sono che un aspetto della sconfitta del principio di inviolabilità della persona, del diritto di ciascuno alla felicità.

 

 

 

Potremmo fare dell’umorismo macabro, pronosticando che ora i sardi potranno fare ciò che vogliono in Germania senza doversi preoccupare troppo di finire in prigione. Eppure l’Italia ha già in casa tutto ciò che serve perché ciò accada: una politica sull’immigrazione basata sull’assoluta indifferenza, lo stato laico sempre piú inesistente, una giustizia su cui è meglio stendere un velo pietoso, e da poco persino una sentenza della Corte di Cassazione.

 

Ma soprattutto mancano il rispetto e la cultura delle differenze, e poi c’è l’assenza cronica di chi dovrebbe far sentire la propria voce, come le donne. Negli anni settanta ci sarebbe stato la sede della Cassazione assediata da una manifestazione di protesta, ora no. Non solo il femminismo italiano è morto (i referendum del 2005 sono stati una triste dimostrazione) ma se sono sopravvissute almeno le leggi sul divorzio e sull’aborto (che qualcuno in Italia mette continuamente in discussione), manca una legge sulle unioni civili, e abbiamo la legge 40 sulla fecondazione assistita che oggi a due anni dall’entrata in vigore è risultata, come prevedibile, un fallimento. Insomma, non sono sopravvissuti i valori della dignità della donna, delle conquiste, delle differenze, come dire che insieme con l’acqua sporca abbiamo buttato via anche il bambino. Infatti, se un cittadino della Germania, una nazione oggi guidata da una donna e dotata di una legge sulle unioni civili, venisse a chiedere non solo ai sardi, ma agli italiani in generale a che punto siamo, nessuno potrebbe negare che abbiamo perso tante occasioni e che il potere è ancora un’esclusività maschile.

 

 

 

Potremmo concedere anche noi le attenuanti ai criminali (alias bulli) che hanno contribuito a suicidio di un ragazzino a Torino perché lo emarginavano e lo insultavano con epiteti come “brutto frocio”? Ebbene sí, se continuiamo a ragionare per culture anziché in termini di diritto della persona, perché sarebbe giustificabile tutto; in questo caso si direbbe che hanno agito in modo eccessivo, ma con l’attenuante di averlo fatto all’interno della loro cultura di appartenenza, ossia di una “cultura” che ogni giorno declama l’omosessualità come condizione sbagliata, di inferiorità, di peccato. Sembra una parodia macabra, una provocazione, ma non lo è.

 

 

 

Non si tratta solo di indignarsi di fronte al tribunale tedesco, che pure ha sbagliato, o alla Corte di Cassazione italiana (che ha fatto peggio), ma di pensare piú a fondo come e quanto simili atteggiamenti siano nocivi per la società civile, che ragionando per culture tutte ugualmente buone e pronte a dialogare fra loro per combattere il razzismo, finisce proprio per farlo rinascere in altre forme piú subdole e striscianti, permettendo quelle forme di sopraffazione che inevitabilmente si abbattono sulla donna, sul suo corpo, sulla dignità delle persone omosessuali e di tutti coloro che per un motivo o per l’altro esulano dalla figura della normalità e sono quindi i bersagli privilegiati di modi di pensare violenti (mi è difficile chiamarli culture).

 

Insomma, senza laicità e diritto, violenza scontata per tutti.

Mario Moisio


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