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BRUCIANTE SEGRETO Stefan Zweig
Adelphi, Euro 9
Segreto bruciante e a tutti gli effetti conflagrante. Aveva 33 anni il viennese Stefan
Zweig nel la breve storia – una novella, uscita con l’altrettanto conturbante “Mondscheingasse”
– di Edgar: ragazzino sensibile e cagionevole, malatino dodicenne che, ricoverato
alla stazione climatica di Semmering per smorzare i bollori della febbre, vede
accendersi tra le fronde del parco della clinica i cocenti ardori di mamma. La tresca
adulterina cui – via via ignaro, ingenuo, incredulo, offeso, geloso, furioso: in un crescendo
di passioni divampate come fiamme di un incendio – il piccolo assiste, è venuta
alla luce del sole da un pezzo. Naturale, tuttavia, rileggendo il rendiconto dei
misfatti a quasi un secolo di distanza, rispettare la reticenza dell’autore che, con
la maestria di chi sa giocare col fuoco, tiene a bada le vampe, cova le braci sotto la
cenere, e non fa brillare più che un raggio di luna sull’ombra delle due figure misteriosamente abbracciate (ma al buio, tra gli alberi, sembrerebbe la silhouette di una
persona sola: possibile che con lei, a quest’ora ci sia anche il barone?) sorprese dal
protagonista nel boschetto. Salvo poi, al rientro a Vienna, al cospetto del padre furibondo
per la fuga del bambino dalla residenza delle vacanze, far calare su tutta la
scena madre un sipario inviolabile: esile come l’indice della signora portato alle
labbra per serrarle. Il ritorno di fiamma piuttosto si sarebbe scatenato da un’altra parte. Nel 1933 il film tratto da “Brennendes Geheimnis” e girato dal regista tedesco Robert Siodmak, uscì guarda caso nelle sale proprio all’indomani dell’incendio del Reichstag. I focolai ne dilagarono così, all’insaputa di colposi o colpevoli piromani, al di fuori del controllo di autori, produttori e distributori della pellicola, sulle locandine che in quei giorni
tappezzavano tutta Berlino. Fu spento di lì a poco dalla censura della Gestapo, che
invano aveva cercato di imputare ai comunisti il rogo del parlamento. I berlinesi non
la bevvero. E accennando ai manifesti del cinematografo, portavano il dito alle labbra
col gesto muto, eloquente della mamma fedifraga di Edgar al cospetto del cornuto
papà. Zitti e mosca ma non finì lì. Era solo l’inizio della storia iniziata nel ’33 che,
non è un segreto, non ha un lieto fine. Appunto nell’anno della presa del potere, i
nazionalsocialisti risolsero immediatamente di soffocare lo Zweig (alla lettera “il
ramo”) incendiario. Ne misero all’indice tutti i titoli pubblicati fino ad allora e ne
mandarono in fumo l’intera opera arsa sulla pubblica piazza. Ma neanche l’indice nazista
poteva mettere a tacere bisbiglii, rumours e clamori che ormai avvolgevano lo
scrittore. La fama che celebrava il successo sfiorato alla fine degli anni Venti con la
serie delle miniature storiche (“Sternstunden der Menschheit. Zwölf historische Miniaturen”) o delle grandi biografie (di Casanova, Stendhal, Tolstoj, Maria Stuarda,
Maria Antonietta, Erasmo da Rotterdam) era inossidabile. L’accesa ammirazione attizzata
dai capolavori narrativi “Amok” (Adelphi 2004), “Lettera di una sconosciuta”,
soprattutto dai racconti di “Sovvertimento dei Sensi” (tradotto per Dall’Oglio
nel 1946 e ristampato dal Corbaccio due anni fa), appassionata trilogia ispirata al
più scottante, non più segreto e finalmente adulto turbamento dell’eros, era inestinguibile.
Scintille ne sarebbero zampillate molto lontano. Nelle terre dell’esilio presto
raggiunte dall’artista perseguitato che, fiero di condividere le sorti e di seguire le
tracce degli altri grandi in fuga – Thomas e Heinrich Mann, Franz Werfel, Sigmund
Freud e Albert Einstein – lasciò l’Austria nel ’34 e si trasferì prima a Londra (nel ’38),
poi a New York (nel ’39) infine nel ’41 a Petrópolis in Brasile.
Cittadino inglese dopo l’Anschluß, emigrato statunitense dopo lo scoppio della
guerra, profugo sudamericano al rincrudirsi di scontri mondiali e furori europei,
scelse la via del progressivo distacco – dal Continente, dal Vecchio Mondo e perfino
dal Nuovo – pur di non assistere al disastro che avrebbe fatto per lui terra bruciata
d’ogni possibile approdo di salvezza. Prima ancora di suicidarsi con la seconda moglie
Lotte Altmann in America Latina aveva visto lucidamente che non c’era più nessuno
spazio per un mondo cui invece il tempo aveva messo fine. E, l’anno prima di
togliersi la vita, aveva completato la celeberrima autobiografia “Il Mondo di Ieri.
Ricordi di un europeo” che emblematicamente si conclude il 1° settembre 1939, la
data dell’attacco del Reich alla Polonia.Scottato dagli eventi Stefan Zweig sarebbe
sì stato scottato. Con la soddisfazione, almeno, di aver lasciato una lunga, caustica
testimonianza della propria esperienza: insanabile come il segno di un’ustione e
inappellabile come quel titolo-sentenza divenuto proverbiale. Ma al di là della Finis
Austriae e all’indomani del Mondo di ieri, un piccolo corteo di fatui fuocherelli hollywoodiani – ai quali si sa i brutti finali non piacciono – avrebbe tenuto dietro alla
linea tracciata dall’autore e tenuto vivo il riverbero fin-de-siècle che avvolge come
un’aura la sua opera. Proprio di “Bruciante segreto” il capo della Metro Goldwin
Mayer, Dore Shore, diede incarico alla fine degli anni Cinquanta al regista Stanley
Kubrick e al produttore James B. Harris di realizzare una trasposizione filmica. Il progetto,
nel rispetto scrupoloso (e letterale) del titolo, andò in fumo a sceneggiatura già
ultimata: per lo scorno di Kubrick che amava Zweig e della sua attrazione per gli
scrittori viennesi non fece mistero quando aprì gli occhi di tutti su “Eyes wide Shut”,
tratto da “Traumnovelle” di Schnitzler. Fu una riprova che certe passioni ardenti, come
i segreti brucianti son dure a morire. Controfirmata, non bastasse, da Andrew
Birkin, regista nel 1988 di un “Burning Secret” con Faye Dunaway e Klaus Maria
Brandauer, remake della famigerata versione del ’33.
Alessandra Iadicicco
Il Foglio
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