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L'Opinione Rassegna Stampa
23.10.2007 Alla vigilia del vertice di Annapolis crescono i dubbi su Al Fatah
dopo la liberazione dei terroristi che volevano uccidere Ehud Olmert

Testata: L'Opinione
Data: 23 ottobre 2007
Pagina: 1
Autore: Dimitri Buffa
Titolo: «La doppiezza di Abu Mazen»
Da L'OPINIONE del 23 ottobre 2007:

Olmert doveva morire a Gerico lo scorso 6 agosto. Più precisamente doveva saltare in aria la sua macchina blindata proprio mentre doveva recarsi ai colloqui di pace con Abu Mazen. Ma la mano assassina stavolta non era quella di Hamas bensì quella di alcuni terroristi di Fatah , cinque per l'esattezza, tutti scoperti dallo Shin Beth uno o due giorni prima del progettato agguato. Una morte molto simile a quella del giudice Falcone a Capaci, con tanto di autostrada sollevata dalla esplosione che avrebbe dovuto ridurre le 11 macchine di scorta della delegazione israeliana a una specie di cimitero di lamiere contorte. Il complotto sembra che sia stato pianificato fin da giugno, quando si doveva tenere il primo incontro tra Olmert e Abu Mazen, che poi fu rinviato per altri motivi, ed è stato rivelato alla stampa dal capo dello Shin Beth Yuval Diskin pochi giorni fa.

Adesso le reazioni degli osservatori sono come al solito opposte: da parte palestinese un po' ipocritamente si insiste sul fatto che raccontare queste cose oggi può fare fallire il piano di pace ad Annapolis, come se il complotto in sé non significasse nulla ma anzi il danno venisse dall'averlo denunciato ai giornali; da parte israeliana si mette invece in rilievo che le cinque persone arrestate per questo progettato attentato siano tutte legate a Fatah, cioè ad Abu Mazen, e che mentre i due catturati in Israele sono ancora in prigione, gli altri tre consegnati all'Anp dallo Shin Beth, nonostante abbiano confessato, sono invece stati rilasciati dopo pochi giorni. Circostanza questa che può effettivamente mettere a rischio lo stesso svolgimento delle trattative di Annapolis , ma per tutte altre e ben evidenti ragioni.

Soprattutto Olmert teme un ritorno all'ambiguità e al doppio standard che caratterizzò tutta la vita politica e terroristica di Arafat. Ieri anche l'International Herald Tribune metteva in rilievo questa circostanza, sebbene il tono dell'articolo fosse tutto improntato a una sorta di complottismo in cui la vera domanda da porsi era "a chi giova oggi rivelare questa notizia". Addirittura l'IHT cita un "anonimo ufficiale di Abbas" che dice che "Olmert non ha mai corso rischi reali" e che "i sospetti non è detto che avessero serie intenzioni di portare a termine l'attentato". Olmert per ora si è dimostrato sensibile agli interessi del dialogo e non ha detto se e quanto la cosa peserà su Annapolis. Di certo i sondaggi sono contro di lui visto che il 56% degli israeliani dice di non credere a questo ennesimo incontro di facciata.

Del resto segni che Fatah sia ritornata alla politica del doppio standard e della menzogna mediatica come metodo di lotta vengono anche da un altro episodio accaduto agli inizi di ottobre: un infortunio giornalistico in cui è incorso il corrispondente del Jerusalem Post dai Territori, Khaled Abu Toameh. Toameh ha avuto una di quelle che in gergo si chiamano "polpette avvelenate" proprio dagli uomini di Abu Mazen che dopo averlo convocato a Ramallah gli hanno consegnato un finto scoop in dvd: un video, in realtà girato in Iraq, in cui si vedeva una presunta ragazza palestinese di sedici anni che veniva uccisa per un delitto d'onore. Al corrispondente del JP venivano anche dati i nomi di due falsi testimoni che potessero confermare la storia in cui gli uomini di Fatah dovevano passare come coloro che arrestano chi opprime le donne o quanto meno tentano di impedirlo.

Toameh scrisse tutto sul sito del Post ma successivamente venne fuori che i testimoni erano miliziani di Fatah e che il video era stato girato ad aprile in Iraq. E, sopratutto, che la ragazza ovviamente non era affatto palestinese. Così l'articolo fu levato dal sito del JP che ovviamente chiese scusa ai lettori riuscendo almeno ad evitare che comparisse l'indomani sulla versione cartacea del quotidiano. L'episodio però rappresenta un 'ulteriore riprova che la politica della propaganda e dell'ambiguità di Fatah nei confronti del terrorismo, islamico e non, è purtroppo ricominciata.

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