Il muro invisibile Harry Bernstein
Traduzione di Caterina Lenzi
Piemme Euro 16.50
Viviamo in un tempo in cui la felicità, non meno della bellezza, sembra essere privilegio esclusivo della gioventù. Un’equazione questa che ha del paradossale, data la crescita quasi esponenziale dell’età media capace di sfidare l’ ineludibile meta che è la morte. Viviamo più a lungo ogni anno che passa, eppure la vecchiaia è sempre più un tabù: non se ne parla, la si evita, soprattutto la si misconosce. Non esiste più come dotazione di conoscenza (una volta i vecchi erano saggi, ormai per l’opinione comune sono soltanto un peso rincitrullito), è ignorata come “target” commerciale, quasi che i nostri milioni di anziani non comprassero né usassero nulla, paghi soltanto di flottare in un limbo d’inerzia.
Se la si guarda nella vita vera, invece che sulle statistiche o dalla immensa lontananza delle ricerche di mercato, si scopre che la vecchiaia può diventare – non sempre ma nemmeno di rado – un’età feconda. Ricca di esperienze magari non nuove, perché il bello delle cose è anche che non fai quasi niente per la prima volta, ma tutto ha ormai un collaudato precedente.
Più o meno così, ad esempio, deve essere capitato ad Harry Bernstein, classe 1910, alle prese con il suo primo libro, Il muro invisibile, pubblicato in questi giorni in italiano dalle edizioni Piemme. Esordiente attempato, certo, ma anche e soprattutto autore di un libro che sorprende per la sua freschezza così come per l’esperienza che lascia trasparire dalla scrittura.
Il muro invisibile è il racconto di un’infanzia che le generalità dell’autore svelano essere remota nel tempo. E’ un mondo davvero lontano, quello che vi si racconta: la periferia industriale di Manchester dove ebrei e cristiani vivono lungo la stessa strada, ma su versanti opposti. Un mondo dove regna più che altro la povertà e il piccolo ‘ari (resta discutibile la ragione di questa trascrizione italiana, con un apostrofo al posto di qualsivoglia iniziale maiuscola; altre volte la traduzione un po’ s’inceppa) dovrà andare a scuola con un paio di zoccoli, invece che di scarpe vere e proprie. Ma lui è contento così, eccome.
Non c’è soltanto lo scrittore bambino, in questo libro. Anzi. E’ un mondo pieno di voci dissonanti, che spaziano dalla sua numerosa famiglia a quelle dei vicini, ai rumori degli operai di ritorno dalle fabbriche la sera, al ronzio delle macchine da cucire nei lunghi capannoni.
Bernstein è bravissimo nel raccontarci questo mondo con gli occhi di un bambino diventato vecchio. Conosce la complessità della vita e sa che i sentimenti non vanno mai d’accordo fra loro, anche dentro la stessa persona: regala al suo lettore i dilemmi del bambino nei guai che, volente o nolente, questi combina. Disegna con commozione mai sdilinquita il rapporto speciale che lui, il più piccolo, ha con la mamma. I rari momenti d’intimità fra i due sono descritti come fosse tutto appena successo, o meglio, ancora da succedere. Presenta a tutto tondo la figura di un padre padrone, spietato e irragionevole, che tuttavia risulta molto credibile come personaggio del romanzo e della vita vera. Incastona il tutto nell’ambiente ebraico operaio dei primi del Novecento, che non è né lo shtetl dell’Europa orientale con la sua fascinazione e nemmeno l’ovattato mondo delle grandi dinastie.
In parole povere, Il muro invisibile è un gran bel romanzo, che si legge come una storia vera perché lo è, senza nulla togliere all’inventiva del suo autore con i suoi quasi cent’anni e, speriamo chissà, ancora cento di questi libri.
Elena Loewenthal
Tuttolibri –
La Stampa