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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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La Repubblica Rassegna Stampa
22.10.2007 Complotto contro i popoli del Medio Oriente
la paranoia fondamentalista ha contagiato Guido Rampoldi

Testata: La Repubblica
Data: 22 ottobre 2007
Pagina: 1
Autore: Guido Rampoldi
Titolo: «Uno spettro sul futuro»

Su La REPUBBLICA del 22 ottobre 2007 Guido Rampoldi loda la saggezza della reazione turca agli attacchi del Pkk.
Si può convenire che i tiri di artiglieria turchi siano stati una reazione moderata.
Si può anche convenire che l'opinione pubblica turca sia "esasperata con diritto".
Ed'è condivisibile il linguaggio utilizzato da Rampoldi per descrivere l'ultima azione del Pkk , alla quale il governo turco è stato "costretto a reagire":
"ennesimo eccidio di soldati ".

Resta il fatto che sarebbe vano cercare sulle pagine di REPUBBLICA un giudizio altrettanto equanime sulle risposte israeliane al terrorismo, e sul terrorismo stesso quando è rivolto contro Israele.

Ma  nell'articolo si trova ben altro che l'esemplificazione del doppio standard utilizzato dal giornale verso Israele e verso gli altri paesi.
Rampoldi vi s'impegna infatti in un'analisi della politica americana in Medio Oriente degna di un organo di stampa del fondamentalismo islamico:
il neocon Norman Podhoretz "auspica" la quarta guerra mondiale, Kissinger, come sostiene la stampa araba, ha programmato fin dagli anni 70 la divisione del Medio Oriente lungo linee etniche e confessionali, le grandi potenze tramano per spartirsi le spoglie dell'impero ottomano, come nel 1918...

Una visione della complottista della storia e della cronaca, che dimentica la realtà di minacce come quella iraniana e attribuisce ogni colpa all'Occidente.

Ecco il testo:



COSTRETTo a reagire dall´ennesimo eccidio di soldati per mano del Pkk curdo, il governo turco si è dimostrato assai più saggio di quanto non immaginassero i tanti che gli attribuivano una volontà spasmodica di invadere l´Iraq. Le granate sparate ieri dall´artiglieria contro presunte basi della guerriglia in Iraq, a quanto pare senza fare vittime civili, sono il minimo che Ankara poteva fare per placare la propria opinione pubblica.
Esasperata e con diritto. Ormai da anni il Pkk usa il Kurdistan iracheno come retrovia logistico per organizzare le infiltrazioni in Turchia.
Fino a pochi mesi fa manteneva nella regione perfino uffici di rappresentanza, regolarmente visitati, riferiva la stampa turca, da militari statunitensi.
Ankara ha protestato ma Washington teme di aprire un fronte nell´unica regione irachena dove i marines siano benvoluti, oppure intende usare in futuro il Pkk come moneta di scambio, o forse progetta di impiegarlo nell´Iran occidentale: comunque sia, non ha fatto molto per fermare i 3500 guerrieri di un´organizzazione che ufficialmente considera "terrorista". Quanto alle autorità del Kurdistan iracheno, Stato fallito prima ancora di diventare uno Stato, sono divise in clan, ciascuno dei quali ha le sue convenienze. E nessuno intende puntare il fucile contro i confratelli, nonché sodali in vari traffici.
Per tutto questo due settimane fa il massacro di tredici soldati turchi ha costretto Ankara a mimare la massima determinazione. Il governo ha ottenuto facilmente dal parlamento l´autorizzazione a lanciare offensive contro le basi del Pkk in Iraq. Ma non freme affatto dal desiderio di infilarsi in quella mischia mortale.
Negli anni Novanta già tre volte l´esercito turco ha scorrazzato per mesi nel Kurdistan (1992, 1995, 1997) senza riuscire a snidare la guerriglia. Per giunta oggi troverebbe sulla sua strada i peshmerga, guerriglieri che la "Coalizione dei volenterosi" ha promosso a difensori dell´Iraq. Dunque nelle intenzioni di Ankara la minaccia di invadere l´Iraq è soprattutto un´arma negoziale per ottenere che americani e iracheni si occupino finalmente dei loro terribili ospiti. Ma se le incursioni e le stragi del Pkk in Turchia dovessero continuare, difficilmente Erdogan potrebbe sottrarsi alle pressioni della sua opinione pubblica e dei generali, questi ultimi ansiosi di recuperare un ruolo e uno status che stanno venendo meno.
Tuttavia la vicenda turco-irachena è più interessante di quanto dicano queste notazioni. In qualche modo è una finestra sul futuro. Ci annuncia innanzitutto mesi o anni dominati dall´imponderabile. Ormai la scena mediorientale è affollata da troppi conflitti e da troppi attori, nessuno dei quali sembra più in grado di governare la somma e l´intrecciarsi di tutte le partite cominciate e mai finite. Inoltre questo stato caotico aumenta invece che diminuire, e in questo ricorda quei fenomeni fisici che attraverso una crescita del disordine conducono all´implosione. Dunque non delira George W. Bush quando vede nell´orizzonte delle possibilità una guerra generalizzata («Terza guerra mondiale» nelle parole del presidente). Semmai è inquietante che la stessa previsione, ma in questo caso un auspicio, sia stata prodotta da un ideologo neo-conservatore, Norman Podhoretz, sull´ultimo Commentary. Come conferma anche il contrasto in corso a Washington tra i fautori dell´attacco all´Iran e la diplomazia realista, neppure il disastro iracheno ha messo definitivamente fuori gioco questi esuberanti neocons. Se mai riuscissero a innescare ciò che immaginano come un salvifico bagno di sangue, quella Terza guerra mondiale somiglierebbe ad un proseguimento della Prima. Fu appunto dopo il conflitto concluso nel 1918 che le diplomazie occidentali spartirono l´impero ottomano secondo confini che rispondevano agli interessi delle nazioni vincitrici o alle proprie lacune culturali, più che alla storia e alle volontà di quei popoli.
Ora alcuni tra quei confini tornano in discussione. L´unità territoriale dell´Iraq ormai è solo virtuale.
L´unità territoriale del Libano non è più scontata. L´unità territoriale dell´Iran comincia ad essere messa in dubbio. La Siria, chissà. Ciascuna di queste nazioni è un agglomerato di etnie spesso rivali, dunque il territorio si presta ad essere riconfigurato secondo linee etniche, previi "scambii di popolazione" e stragi per convincere gli indecisi. Scrive la stampa araba che fu Kissinger a ventilare un Medio Oriente così riformulato, negli anni Settanta. Oggi tutto questo appare folle, incredibile. Ma sei anni fa non era altrettanto incredibile la prospettiva di un Iraq liquidato, fatto in pezzi, spartito mediante massacri tra sciti e sunniti, aspettando i curdi? Il problema è che i confini così riconfigurati non sono mai definitivi, insomma i conflitti non si chiudono. Nel 1924 la Turchia si arrese alle imposizione britanniche e rinunciò de facto alla sovranità sulla turcofona Mosul e sui pozzi di petrolio del Kurdistan. Ma come ricordò qualche anno fa un presidente turco, non ha mai ratificato quella rinuncia. Se tutto tornasse in gioco, anche quei giacimenti probabilmente sarebbero nella partita.

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