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Il Manifesto Rassegna Stampa
17.10.2007 Nessuna normalizzazione con Israele, dicono comunisti ed ex comunisti palestinesi
Michele Giorgio applaude

Testata: Il Manifesto
Data: 17 ottobre 2007
Pagina: 12
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Palestina, le sinistre unite ad Abu Mazen: nessuna normalizzazione con Israele»

I "partiti della sinistra palestinese" chiedono ad Abu Mazen di rifiutare la normalizzazione dei rapporti con Israele e di non andare ad Annapolis, dove l'amministrazione Bush mira a far dimenticare con un successo diplomatico le sue difficoltà in Iraq.
Michele Giorgio, bellicoso, se ne compiace sul MANIFESTO del 17 ottobre 2007.
Una conferma della linea politica del quotidiano comunista, che non è per la apce, ma per la prosecuzione della guerra a Israele e per la sua distruzione (attraverso la formula dello "Stato binazionale")

Ecco il testo:


In un raro momento di unità i partiti della sinistra palestinese escono fuori dal guscio ed elaborano un documento congiunto sull'incontro internazionale sul Medio Oriente previsto a fine novembre negli Stati Uniti, che affronta anche il problema della spaccatura interna, con Gaza sotto il controllo totale di Hamas ma isolata e al collasso economico, e la Cisgiordania sotto l'autorità dell'Anp di Abu Mazen finanziata dai paesi donatori ma senza credibilità. Le «forze riunite» della sinistra, capeggiate dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp, unica formazione che si proclama ancora marxista), scrivono che solo una vera conferenza internazionale «con pieni poteri e con la partecipazione di tutti i protagonisti», può dare al conflitto israelo-palestinese una soluzione fondata sulla giustizia. Gli Usa, prosegue il documento, attraverso l'incontro di fine novembre, tentano solo di ottenere il sostegno arabo e palestinese «per recuperare credibilità» dopo i fallimenti in Iraq e Afghanistan. Rivolgendo un ammonimento ad Abu Mazen, pronto ad abbracciare la linea americana, il Fplp e gli altri partiti di sinistra spiegano che l'invito all'incontro negli Stati Uniti «ignora le risoluzioni dell'Onu» e la legalità internazionale. Mettono in guardia «dai tentativi di imporre la priorità della normalizzazione tra Israele e mondo arabo» senza prevedere la fine dell'occupazione delle terre arabe da parte dello Stato ebraico, e chiedono con forza che venga imposta a Tel Aviv la fine dell'occupazione, della costruzione del muro e il blocco delle incursioni, delle uccisioni, degli arresti nonché il rilascio dei prigionieri politici. Non è stato facile mettere insieme le forze della sinistra palestinese o che si definiscono tali. La distanza tra i partiti in qualche caso è enorme. Se il Fplp e Mubadara, il partito di Mustafa Barghouti, mantengono un dialogo costante, le altre formazioni - Fronte democratico, Partito del popolo (ex comunisti) e Fida - appaiono dei satelliti di Fatah e di rado hanno espresso politiche autonome dal partito di Abu Mazen. I fatti di Gaza e lo scontro violento tra Hamas e Fatah ha persino acuito la distanza tra questi due gruppi. Mentre il Fplp e Mubadara hanno immediatamente elaborato una posizione autonoma ed annunciato un piano per la ricomposizione della frattura, gli altri partiti per tre mesi non hanno fatto altro che ribadire la loro alleanza con Fatah e Abu Mazen. Anche nel Fplp - che ha recuperato la capacità di iniziativa politica che aveva smarrito - non mancano le diversità su come affrontare la crisi interna. Uno dei suoi massimi dirigenti in esilio (Libano), Mahmud Abdullah, punta l'indice contro Hamas e alcune scelte fatte dal movimento islamico, nei Territori occupati così come nella recente crisi di Nahr al Bared (Tripoli del Libano), che a suo dire danneggiano la causa palestinese. Allo stesso tempo Abdullah critica senza esitazioni la «politica disastrosa» che svolgono certe correnti di Fatah. Da parte sua il vice segretario Abdul Rahim Malluh, scarcerato da poco, attacca Hamas e si mostra più flessibile verso Abu Mazen. La stimata parlamentare Khalida Jarrar invece insiste affinché il Fplp mantenga una sua iniziativa politica autonoma da Fatah e Hamas. Infine dal carcere il segretario generale Ahmad Saadat appare preoccupato soprattutto di rimanere un ponte perenne tra le anime del partito. Nel documento comune, la sinistra palestinese avverte che uno degli obiettivi della politica americana «è quello di aggravare la divisione interna e trasformare il conflitto con Israele in una lotta tra palestinesi che cancelli la priorità di affrontare l'occupazione e la necessità di finirla». Ribadiscono perciò l'invito ad Hamas a tornare sui suoi passi e allo stesso tempo chiedono che Fatah e Abu Mazen non si oppongano alla ripresa di un dialogo nazionale che conduca ad una soluzione pacifica e democratica della crisi interna sulla base del documento d'accordo nazionale e della dichiarazione del Cairo.

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