Ho partecipato ieri sera a Torino ad una conferenza fra Elena Loewenthal e Suad Sbai, presidente dell'associazione delle donne marocchine in Italia. Al pubblico presente sono state, poco per volta, e quasi con pudore, dischiuse alcune delle porte che separano noi italiani, anche quelli che cercano di informarsi con maggior attenzione, dalla realtà di situazioni tragiche vissute da tantissime persone che crediamo di "ospitare" nel nostro democratico paese. E non era un caso se, come è stato fatto notare dalla Sbai, non c'erano donne del Maghreb fra il pubblico presente in sala. Abbiamo così appreso del tentativo della "famosa" Consulta di far approvare leggi diverse per gli uomini e per le donne di origine islamica (presentati al nostro ministro Amato su protocolli azzurro e rosa!), abbiamo avuto notizia delle 37 donne islamiche uccise sul nostro territorio nell'ultimo anno, ci sono state descritte alcune sentenze dei nostri tribunali che devono essere considerate razziste esattamente negli stessi termini coi quali i nostri media giudicano razzista la sentenza di un tribunale tedesco che ha assolto un emigrato sardo. La Sbai ci ha raccontato quella che è la realtà di queste donne che, portate via dai loro paesi dove il velo non è imposto, dove il matrimonio religioso non esiste, dove gli Imam non hanno possibilità di fare un proselitismo criminale, si ritrovano in una realtà che non sarebbe ammessa dalle leggi di nessun paese che voglia chiamarsi civile. E così si è parlato di matrimoni a tempo, di donne che, pur nate in Italia, dipendono dalle decisioni di ambasciate di paesi che loro neppur conoscono, di donne bambine andate spose a uomini senza scrupoli, che poi non hanno difficoltà ad imporre il velo, e ora anche il burqa, con la complicità di alcune nostre giornaliste che non esitano a scriverne sedute in comode suites di alberghi a 5 stelle. il riferimento era diretto a Lilli Gruber che ha appena sfornato un altro libro su come le donne nell'islam sono libere e contente. L'invito che ci è stato rivolto, e che noi dobbiamo raccogliere, è stato di parlare con queste donne dal destino tragico, aiutarle, e denunciare tutti i crimini che, loro da sole, non possono fermare. In Italia sono poche le voci che trovano spazio nei media per portare avanti questa campagna. Bisogna moltiplicarle per impedire ai nostri politici, ai nostri giudici e ai nostri anchor-men di avvicinare quel giorno in cui quelle raccontate non saranno più solo le situazioni vissute dalle tante donne islamiche schiave nel nostro paese, che hanno solo la possibilità di cercare rifugio nella più civile Francia, ma quelle nelle quali anche le donne italiane, che si stavano liberando da vincoli antichi, saranno ripiombate.