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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Claude Lanzmann Shoah 16/10/2007
Shoah Claude Lanzmann
Einaudi

Shoah di Claude Lanz­mann è un film che vie­ne comunemente defi­nito un monumento. All’au­tore questa parola non piace molto, per quel tanto di pol­veroso che contiene, ma in realtà si attanaglia perfetta­mente a questa opera di ol­tre nove ore, costruita incro­ciando le testimonianze dei sopravvissuti dei campi di sterminio e anche dei loro a­guzzini. Ci sono voluti 12 an­ni per realizzarlo, cinque dei quali dedicati al solo mon­taggio. Il film è uscito nell’85, ma oggi Einaudi lo ripropo­ne in cofanetto che contiene 4 dvd e un libro che racco­glie i dialoghi del film, le te­stimonianze dei protagoni­sti. Del resto, quando Lanz­mann ha cominciato a lavo­rare a questo progetto, l’ha fatto con il preciso in­tento di pro­durre un’o­pera dura­tura nel tempo. «Ho girato Shoah con l’idea di far­ne una fonte inarrestabi­le, che non possa esau­rirsi », spie­ga. «Il film si apre con u­na didasca­lia che av­verte: que­sta storia i­nizia nei no­stri giorni.
  Era una fra­se valida nell’85, e lo è ancora oggi».
  La scelta del regista è stata quella di raccogliere testi­monianze che raccontasse­ro il passaggio dalla vita alla morte dei milioni di persone uccisi nei campi. Per questo nel film non ci sono le im­magini classiche, a cui ci hanno abituato i documen­­tari, che in genere illustrano quello che fu trovato quan­do i campi vennero chiusi. Non c’erano telecamere ne­gli spazi che precedevano la camera a gas; non c’erano dentro le camere; non c’era­no dopo, quando i cadaveri venivano rapidamente fatti sparire nei forni. Ed era que­sto che Lanzmann voleva che fosse raccontato.
  «Tutto è stato molto difficile, ma forse le difficoltà più gros­se le ho incontrate quando ho cercato di coinvolgere i te­deschi, gli aguzzini dei cam­pi di concentramento», spie-
ga. «È stato difficilissimo ri­trovarli. Naturalmente avevo cercato di documentarmi, e mi ero fatto una lista di 200 nomi. Ma la prima volta che mi sono recato in Germania ero molto emozionato, e non sapevo bene come muover­mi. D’altra parte ritenevo fondamentale mostrare i vol­ti degli assassini. Allora mi so­no rivolto ad un’organizza­zione nata proprio per rin­tracciare gli ex nazisti. Mi hanno dato degli indirizzi, ma erano molto vecchi: risa­livano ai cosiddetti 'proces­si ulteriori', quelli celebrati dopo Norimberga, nel ’48­’49. La gente si era trasferita, magari da vent’anni. Era quindi complicato organiz­zare il lavoro, dovevo spo­starmi continuamente da una città all’altra - anche perché, se provavo a scrive­re, non ricevevo risposta - e questo era tra l’altro costo­so. Per il pri­mo contat­to telefona­vo, ma riat­taccavano sempre, lo­ro perso­nalmente o le mogli. Molti, co­munque, hanno rifiu­tato di par­lare: ogni nazista che parla nel film è quasi un miraco­lo, spesso frutto di sotterfugi e trucchi che mi hanno fatto corre­re anche qualche pericolo».
  Man mano che gli anni pas­sano, i sopravvissuti dei campi di sterminio sono sempre meno. Tanto più, dunque, acquista valore que­sta opera, che ha avuto tra l’altro il merito di dimostra­re quanto la testimonianza orale fosse importante per raccontare quello che i do­cumenti non dicono. E che è un efficace mezzo di comu­nicazione con le giovani ge­nerazioni. Per questo, spiega Lanzmann, «in Francia il Mi­nistero per l’educazione ha selezionato sei brani del film e li ha distribuiti nei licei. Gli insegnanti mi invitano a par­lare, e io vado spesso nei licei delle
banlieues, dove la po­polazione è in maggioranza magrebina. Ci sono allievi che vengono pugnalati da questo film, così diverso da quello che si legge nei libri di storia».
 «Gli studenti magrebini sono scossi dal mio film che raccoglie le testimonianze dettagliate sullo sterminio degli ebrei»


Paola Springhetti
da Avvenire del 16 ottobre 2007

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