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La Stampa Rassegna Stampa
12.10.2007 Una rivista di moda francese dedica un numero al "nuovo israeliano"
un articolo di costume di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 12 ottobre 2007
Pagina: 16
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Il macho israeliano mostra il lato chic»
Dalla STAMPA del 12 ottobre 2007:

C’era una volta lo stereotipo del maschio israeliano, rude, grezzo, Rambo mediorientale accessoriato di bicipiti scolpiti e occhiali a specchio. L’archetipo del militare. A seppellirlo ci pensa la prestigiosa rivista di moda francese «Stiletto» che dedica un numero speciale all’uomo nuovo di Tel Aviv, figlio del post-sionismo, pratico alla maniera degli antichi pionieri ma amante della bella vita, «spinoso fuori e tenero dentro come un fico d’India». Fico d’india in ebraico si dice sabra, la stessa parola usata per indicare gli indigeni, quelli nati e non immigrati nella Terra Promessa, cento per cento «made in Israel». Dopo le sexy-soldatesse scoperte dal magazine americano «Maxim», la palla passa all’altra metà dell’esercito israeliano. Si tratta di ridisegnare l’immagine di un Paese percepito come guerriero, Marte incapace di assaporare la leggerezza di Venere. Da mesi il ministero degli Esteri e del Turismo lavorano al «rebrand» della bandiera con la stella di David, un logo da rinverdire con un’offensiva di pubbliche relazioni. Anita Mazor, responsabile culturale dell’ambasciata israeliana a Parigi, è stata contattata alcune settimane fa dal direttore della rivista «Stiletto», Laurence Benaïm: «Vogliono demolire il cliché dell’uniforme e descrivere la generazione metrosexual, uomini che s’interessano di design, vino, vestono bene». Unteam di fotografi e reporter, guidati dal giornalista Clemence Bullock, è atterrato all’aeroporto Ben Gurion per raccogliere materiale. La leggenda dell’israeliano bello e aitante ma allergico alle buone maniere è un topos dell’umorismo yiddish. Una delle strisce del cartoonist Michel Kichka, «New israeli macho», lo rappresenta come la versione semitica di Terminator, tutto sensori, raggi infrarossi, cellulare. La realtà è assai più sfumata. Ma una donna europea, legata al ricordo seppur datato di Humphrey Bogart, può beatamente scordarsi d’essere passata a prendere a casa dal corteggiatore israeliano al primo appuntamento. Neppure al secondo, al terzo... Figurarsi l’invito a cena. Nei locali di Tel Aviv e Gerusalemme è normale vedere un ragazzo e una ragazza che dividono il conto a metà, fosse pure per un paio di caffè. «È il prezzo dell’uguaglianza tra sessi imposta dal militare in comune», sospira Olri, 32 anni e un grande amore italiano nel cuore. Il rovescio della medaglia è tra le pareti domestiche: padri che si alzano la notte se il bimbo piange, mariti ai fornelli, compagni pari. «All’esterno siamo cambiati molto», ammette il calciatore Haim Revivo, classe 1972, ex numero uno dell’Ashdod. Insieme al collega Itzik Zohar, star della nazionale israeliana, è considerato l’icona metrosexual per eccellenza. Come se tra il passato macho dei generali e il futuro timido dei nuovi divi del cinema alla Eran Kolirins, il regista del film «The band’s visit» intimista e sognatore, gli israeliani contemporanei preferissero scegliere i loro campioni maschili tra le fila della normalità, il football, agonismo virile ma disarmato. Secondo Haim Revivo il merito di questa rivoluzione culturale è soprattutto del movimento omosessuale: «I gay hanno diffuso la cosmesi maschile, la cura del corpo, il look. Poi c’è stata l’influenza straniera. Negli anni all’estero ho imparato a vestirmi e usare il colore. Oggi, per dire, indosso senza imbarazzo camicie e maglie rosa». Dentro però, suggerisce Revivo, l’uomo israeliano è rimasto uguale, rudemente maschio, «gever gever » come si dice in ebraico. «La situazione politica non aiuta l’evoluzione dell’estetica post-sionista», spiega Nir Kitnish, editorialista di Blazer, la principale rivista maschile israeliana. «Gli anni ’90 e l’high tech hanno modificato la figura tradizionale dell’uomo di casa. Il mondo è un villaggio in cui si conoscono tutti e se c’è qualcuno che assorbe le nuove tendenze come una spugna è l’israeliano. Ci siamo ripuliti, cerchiamo di evitare il militare, amiamo la bella vita, ma sotto sotto siamo ancora rozzi. E gli ultimi anni, la seconda Intifada, la guerra del Libano, hanno ridato lustro all’uniforme riposta in soffitta». Vincerà l’uomo nuovo, bello oltre la divisa? I protagonisti aspettano a brindare. Le loro compagne sorridono scettiche. L’autrice del blog Israelity commenta ironica: «I francesi cercano israeliani che amino il vino e conoscano la letteratura? Ooh la la! Devo presentargli mio marito che parla di alcol per ore dopo un paio di bicchieri di rosso e una volta ha letto un libro di Dan Brown». Ma i trend-setter di «Stiletto» scommettono sul cambiamento. In fondo l’arte, avanguardia intellettuale vanto della cultura ebraica, va nella stessa direzione. I quadri di Raffi Dayagi con i militari dagli occhi dolci. Le foto di Adi Nes, soldati muscolosi sullo sfondo di dune soffici e vincenti. Ashraf Barhom, l’attore bello e intenso protagonista di Syriana, Munich, United 93. Sabra maturi e senza spine. Un brand.

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