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Il Foglio Rassegna Stampa
10.10.2007 Dissidenti dell'islam: Ibn Warraq critica Edward Said, propagandista antioccidentale
Ayaan Hirsi Ali merita protezione, ed ha il diritto di non essere prudente

Testata: Il Foglio
Data: 10 ottobre 2007
Pagina: 2
Autore: Giulio Meoti - Ibn Warraq - David Frum
Titolo: «Edward Said, padrino precoce del radicalismo islamista - Così ha cancellato gli ebrei vittime dell'imperialismo islamico - Proteggere Ayaan»

Dal FOGLIO del 10 ottobre 2007, un'intervista di Giulio Meotti a Ibn Warraq, dissidente dell'islam che nel suo ultimo libro critica l'ideologo e propagandista palestinese Edward Said:

Nacque in una casa di ricchi commercianti, ma fu per tutta la vita un corsaro degli arabi sofferenti. Nacque da un padre palestinese cristiano con passaporto americano e da una madre palestinese fiera della sua egemonica cultura anglicana. Nacque fra le mani sicure di una levatrice ebrea e avrebbe abitato nella casa di Gerusalemme che fu del filosofo sionista Martin Buber. Edward Said è stato l’intellettuale arabo più illustre del secolo scorso e l’icona della sinistra filoaraba e progressista (in Italia è tradotto da Feltrinelli). Di famiglia episcopaliana, sposato a una quacchera devota, vestito spesso con il tweed e laureato a Princeton, Said è stato il padrino degli studi “post-coloniali”. Fu battezzato Edward perché i genitori erano fieri di quel nome vittoriano. Crebbe tra due mondi in conflitto, quel conflitto di cui sarebbe stato fra i principali propulsori. La sua peggiore eredità è il sillogismo che lo rese celebre in tutto il mondo: l’“orientalismo”, il razzismo occidentale nei confronti dell’oriente musulmano, è antisemitismo perché gli arabi sono semiti; il sionismo bianco ha assimilato gli ebrei all’occidente, gli ebrei hanno perso il loro semitismo, sono divenuti “orientalisti”, antisemiti; i palestinesi sono i “nuovi ebrei” e gli ebrei sono i “nuovi nazisti”. Prima d’ora nessuno fra gli studiosi musulmani, comunità che ha beneficiato della politica culturale e dell’influenza accademica di Said, aveva dedicato anni di ricerche e passione intellettuale per smontarne l’ eredità. Lo ha fatto il dissidente islamico Ibn Warraq, padre di una generazione di apostati dalla fede coranica e acclamato autore di “Why I am not a muslim”, scritto dopo l’affare Rushdie e che tanta eco ebbe negli Stati Uniti, facendo diventare l’auore capofila di una generazione di dissidenti. Questo “Spinoza islamico” è nato nel 1946 a Rajkot (India), prima di emigrare in Pakistan. Il suo nome, Ibn Warraq, pseudonimo che usa per proteggere la famiglia dalle minacce di morte e che nel mondo arabo indica i perseguitati e gli eretici, è comparso in cima alla blacklist di dodici intellettuali minacciati nella libertà d’espressione accanto a Rushdie e Ayaan Hirsi Ali. Warraq ha curato la pubblicazione di “The Origins of the Koran”, “The Quest for the Historical Muhammad”, “Leaving islam” e “What the Koran Really Says”. All’università di Edimburgo si è formato accanto al grande studioso Montgomery Watt, autore di una delle più celebri biografie di Maometto. Contro Said e il saidismo Warraq ha appena scritto “Defending the west” (Perseus), la prima critica dell’opera dell’intellettuale palestinese. In questa conversazione con il Foglio, Warraq anticipa i temi del suo lavoro. Il filosofo inglese Roger Scruton ha definito il libro un “messaggio di speranza per il futuro”. Ampio il plauso al libro da parte della stampa americana, dallo storico sciita Fouad Ajami a quell’Ephraim Karsh che ha raccontato l’“imperialismo islamico”, fino a Paul Berman e Daniel Pipes, per finire con Diana West e lo storico Walter Laqueur. “Il libro ‘Orientalismo’ ha insegnato a una generazione di arabi l’arte dell’autocommiserazione” ci spiega Warraq. “Ripete sempre un messaggio: ‘Se non fosse per gli imperialisti, i razzisti e i sionisti saremmo grandi come una volta’. Said ha incoraggiato il fondamentalismo islamico della generazione degli anni Ottanta. Il tono aggressivo del libro è una sorta di terrorismo intellettuale. Edward Said dipinge l’Oriente come vittima perpetua dell’imperialismo occidentale. L’Oriente non è mai protagonista, agente di volontà. C’è una sorta di piacere e di autoassoluzione nel sentirsi dire che non siamo responsabili dei nostri guai, che è tutta colpa dell’occidente, gli ‘infedeli’. Così l’arabo non ha bisogno di assumersi la responsabilità della propria autodeterminazione, è più facile accettare soldi dai donatori occidentali, trattarli come se te lo dovessero, come una forma di jiza, la tassa del califfato sui non islamici. Said fornisce un ruolo passivo agli ‘orientali’, non sono mai individui autonomi, soggetti morali, ma sempre vittime delle cospirazioni occidentali. Il libro di Said ha poi reso gli studiosi paurosi di porre domande, ha inibito la ricerca. Molto prima della trasformazione dell’Europa in Eurabia, molti intellettuali hanno trattato l’islam come un tabù per diversi motivi: correttezza politica, motivi commerciali, senso di colpa postcoloniale, paura fisica e il terrorismo intellettuali dei vari Said, che ha anche allontanato l’obiettivo della democratizzazione del medio oriente. Said attacca non soltanto l’intera disciplina dell’Orientalismo, secondo lui colpevole di perpetuare stereotipi razziali negativi, ma accusa gli orientalisti di essere un gruppo complice del potere imperiale. Said ha chiamato il coraggioso scrittore iracheno Kanan Makiya un ‘informatore’ e lo storico libanese Fouad Ajami uno ‘scagnozzo dell’occidente’”. Warraq spiega come l’occidente abbia sempre coltivato una profonda empatia nei confronti delle altre culture. “Anche l’islam all’inizio era aperto, soprattutto a influenze grecoindiane. A un certo momento si è chiuso e ancora ne subiamo le conseguenze, la sua stagnazione e decadenza. Rifiutando il marcionismo, che voleva recidere le radici ebraiche del cristianesimo, quest’ultimo ha aperto le porte dell’Europa al passato, ad Atene e a Gerusalemme. L’islam ha invece rigettato il passato e le antiche glorie preislamiche, dall’Indù ai monumenti mesopotamici ed egiziani, che apparterrebbero a un periodo di buio, barbarie, ignoranza, la ‘jahiliyya’. Nessuna università islamica, a eccezione della Turchia, offre oggi un corso di studi sulle civiltà non-islamiche. Nessuno studioso proveniente dal mondo islamico ha raggiunto la capacità di un Carl Brockelmann e Theodor Nöldeke nel descrivere la propria storia e cultura. Fino alla fine del XVIII secolo, pochi libri europei erano stati tradotti nel linguaggio dei musulmani. Oggi nessuna università islamica ha centri di studio di altre civiltà, con l’eccezione di Ankara per il sanscrito. Ascoltare musica occidentale è considerato indesiderabile, ‘il tradimento di un arabo comincia quando ascolta Beethoven’ scrive al Wasiti. Fino al XX secolo, gli stessi archeologi erano solo europei e americani, con le eccezioni dei due cristiani assiri Christian e Hormuzd Rassam. All’inizio del XIII secolo Leonardo Fibonacci di Pisa era in Nord Africa ad acquisire la conoscenza della matematica araba. E’ grazie a Fibonacci se il sistema arabo-indù è arrivato in occidente. L’occidente è sempre stato recettivo delle nuove idee”. Warraq cita la Mesopotamia. “La popolazione era del tutto indifferente agli scavi di pionieri come Layard, oppure ostile alle loro attività dal punto di vista religioso, visto che niente di ciò che è preislamico è considerato di valore e spesso le sculture preislamiche sono distrutte come segni di idolatria. Gli archeologi, come gli orientalisti, hanno dato all’umanità una preistoria e poi una storia. Durante il dodicesimo e tredicesimo secolo, l’occidente ha tratto in salvo le opere di studiosi arabi, ha istituzionalizzato lo studio di Avicenna, Averroè, al Khawrizmi e al Farabi, incorporandoli nei curriculum universitari. Salvarono manoscritti, traduzioni e insegnamenti dall’arabo. Quasi tutti i più grandi studiosi del passato, Nöldeke, Hurgronje, Goldziher, Caetani, Lammens e Schacht, esprimono opinioni inaccettabili per i musulmani. Ma la cosa più curiosa è che queste pubblicazioni si possono acquistare nella Libreria Islamica di Londra, magari venendo serviti da una ragazza musulmana che indossa il tradizionale velo tanto caro ai fondamentalisti. L’occidente dovrebbe scusarsi per Dante, Shakespeare e Goethe? E Mozart, Beethoven e Bach? E Rembrandt, Vermeer, Van Gogh, Galileo, Copernico e Newton? E la penicillina e i computer? E i diritti umani e la democrazia parlamentare? L’occidente non ha bisogno di lezioni da parte di società che tagliano il clitoride delle donne, lapidano le adultere e gettano acido sulle loro facce”. Warraq ritiene che in occidente troppo a lungo la tragedia dell’islam sia passata inosservata. “L’Europa è colpevole di crimini terribili, ma quale civiltà non lo è stata? Pensiamo a Mao, Pol Pot, al massacro di un milione di musulmani nel Pakistan orientale, al Ruanda, al Darfur, ai crimini di Saddam Hussein e dell’Iran. Tuttavia, persiste una profonda differenza fra l’occidente e il resto del mondo. Gli intellettuali occidentali, scrittori, storici e politici hanno narrato le follie dell’occidente, costringendolo a ripensarsi. Gli Stati Uniti durante la Guerra fredda hanno aiutato i musulmani contro i comunisti, le azioni americane in medio oriente sono state a vantaggio dei musulmani, gli Stati Uniti hanno protetto l’Arabia saudita dall’Iraq, l’Afghanistan dall’Unione sovietica, la Bosnia e il Kosovo dalla Yugoslavia e la Somalia da Mohammed Aidid. Gli Stati Uniti non hanno nulla a che fare con la morte di 150mila algerini”. La schiavitù ha segnato ogni civiltà, ma solo l’occidente aveva gli anticopri per debellarla. “La dottrina cristiana della ‘apocatastasi’ dice che tutte le creature morali, cristiane o no, sono uguali nella grazia della salvezza. E’ così in Origene, in Clemente di Alessandria, San Gregorio di Nissa e in Ambrogio. Le origini della rivoluzione scientifica in Europa, che generalmente datiamo al XVI e al XVII secolo, si trovano nel Rinascimento che fu prima di tutto il risultato dei cambiamenti della teologia cristiana, della filosofia e del diritto occidentali. Solo l’occidente sembra aver sviluppato la nozione secondo cui il mondo naturale è un universo razionale e ordinato, che l’uomo è una creatura razionale capace di comprensione anche senza l’aiuto della rivelazione, capace di afferrare le leggi che governano la natura. Le fonti di questa fiducia europea nella ragione e nella razionalità sono da ricercare nella religione, nella filosofia e nel diritto. Il concetto di leggi di natura ha un fondamento giudeo-cristiano, anche se i teologi cristiani hanno riletto il principio del Timeo platonico, che ha avuto profonda influenza su Pietro Abelardo, Adelardo di Bath e altri. La nozione paolina di coscienza ha avuto inoltre conseguenze nella liberazione della ragione umana. Invece la storia della filosofia islamica, che è una contraddizione in termini in quanto l’ortodossia sunnita non ha mai accolto un pensiero filosofico, è la storia di una opposizione fra ragione e rivelazione. Laddove i teologi islamici hanno negato l’ordine dell’universo attraverso la dottrina dell’occasionalismo e la negazione del libero arbitrio, la teologia cristiana ha liberato l’uomo, insegnandogli che la facoltà razionale è un dono di Dio e che tutta l’attività razionale aiuta a celebrare la gloria di Dio. Il razionalismo ci ha dato il meraviglioso edificio della scienza moderna, una profonda comprensione delle nostre origini, una grande visione. Il diritto e la teologia islamiche rifiutano la nozione stessa di un agente razionale. L’uomo deve seguire la tradizione, obbedire all’autorità. Il buon musulmano deve desistere dal ricercare nella natura e dal mettere in discussione il Koran e gli Hadith”. Per Warraq non è casuale il ritardo islamico nell’abolizione della schiavitù. “Continua ad esistere ancora oggi in Sudan, in Mauritania e in Arabia Saudita. Olivier Pétré-Grenouilleau ha concluso che i grandi schiavisti erano orientali, non occidentali. Undici milioni di schiavi furono deportati verso il mercato atlantico, ma dal Settimo secolo agli anni Venti del XX secolo, i mercanti arabi hanno catturato circa 17 milioni di schiavi neri. Il numero di coloro che hanno scritto dell’11 settembre senza nominare l’islam è altissimo. I quattro padri del moderno islam militante, Hassan al Banna, Sayd Qutb, l’indopakistano Maududi e l’ayatollah Khomeini hanno ripetuto lo stesso messaggio, derivato dal Corano: è ordine divino dei musulmani combattere i non musulmani per sostituire la legge dell’uomo con la sharia e fino a che l’islam non abbia conquistato il mondo”. Rovesciando il celebre paradigma di Edward Said, Ibn Warraq conclude sulla necessità per l’occidente di difendere i non-musulmani e i dissidenti all’interno dei regimi islamici. “Uno scrittore proveniente da un paese governato da principi islamici supplicava: ‘Dovete difendere Rushdie, difendendo lui, difendete anche noi’. Penso che una riforma dell’islam sia possibile, ma non sarà indolore e senza difficoltà. Il relativismo è come il colesterolo, ce ne è uno buono e uno cattivo. Ho insegnato a Londra negli anni Settanta e lì ho capito l’importanza di guardare in modo positivo a culture non occidentali. Ma siamo andati troppo oltre. Questi intellettuali credono che l’islam si riformerà senza disturbare la sensibilità dei musulmani e senza dire nulla sul Corano. E’ un wishful thinking”.

Di seguito, uno stralcio del libro di ibn Warraq, "Defending the West"


Una delle cose più gravi di “Orientalismo” riguarda il totale disprezzo per il contesto in cui lavoravano gli scrittori orientalisti, accusati da Edward Said di razzismo, imperialismo e altri crimini. Gli europei sono da lui condannati in termini assoluti e astratti. Said e i suoi accoliti possono promuovere lo scontro occidente malefico contro gli “altri”, presentati come moralmente superiori e buoni, solo con una visione manichea del mondo. Combinato alla fallace superiorità morale della vittima colonizzata, questo vizio metodologico lo ha portato a una distorta interpretazione della storia. Ciò che viene prima e dopo il dominio britannico in India non viene mai preso in considerazione da Said e dai suoi epigoni. Anche una casuale comparazione con l’imperialismo dell’islam, le distruzioni dei templi indù e buddisti, delle sculture e delle opere d’arte, le conversioni forzate, le tasse sui “dhimmi” imposte dalla legge islamica, la riduzione della popolazione indù a schiavi e cittadini di seconda classe, dovrebbe modificare l’immagine dell’Impero britannico come forza storica completamente negativa (...) La conquista dell’Egitto da parte di Napoleone gioca un ruolo importante nello schema di Said, in cui tutto il male deriva dall’orientalismo. Per Said, Napoleone conquistò, dominò, sfruttò e oppresse l’Egitto, descritto come vittima passiva della rapacità occidentale. In realtà Naguib Mahfouz, il premio Nobel egiziano per la letteratura, una volta ha detto che grazie alla campagna di Napoleone in Egitto il suo paese era emerso da secoli di oscurantismo. Un risultato dell’incontro con l’occidente fu la scoperta del suo passato preislamico, grazie all’opera geniale di studiosi come Mariette e Champollion. L’archeologia fu una creazione dei vittoriani. E’ un gruppo di europei che con un’insaziabile sete di conoscenza, curiosità ed energia, lentamente e pazientemente ha messo insieme la storia del buddismo in India, riscoprendo i testi in tibetano, sancrito e pali, trovati nelle monete, nelle iscrizioni e nelle sculture. Hanno riportato alla luce monumenti che sono l’orgoglio di tutti gli indiani e una fonte di consolazione per i buddisti di tutto il mondo. Erano studiosi britannici, soldati e amministratori. L’uso che Said fa del linguaggio emotivo, per quanto riguarda l’imperialismo occidentale con tutti i suoi supposti mali, in verità gli serve a coprire il reale retroterra storico dell’intera regione. Laddove la presenza francese è durata meno di quarant’anni, gli ottomani sono stati i padroni dell’Egitto dal 1517, per un totale di 280 anni. Anche se consideriamo gli ultimi protettorati britannici e francesi, l’Egitto è rimasto sotto controllo occidentale per 67 anni, la Siria per 21 e l’Iraq solo per 15. E ovviamente l’Arabia Saudita non è mai stata controllata dall’occidente. Al contrario il sud della Spagna è stato sotto il dominio musulmano per 781 anni, la Grecia per 381 e la splendida capitale cristiana che ha eclissato Roma, Bisanzio, è ancora in mani islamiche. Il colonialismo islamico ha distrutto per sempre molte culture. Tuttavia, nessuna politica vittimistica è mai stata promossa da parte degli spagnoli e dei greci. Secondo un recente rapporto, il Gran Mufti d’Egitto, Ali Gomaa, ha dichiarato proibite dall’islam le antiche sculture dell’Egitto (...) Edward Said non fa mai riferimento al fatto che gli ebrei erano una parte significativa del mondo arabo. Negli ultimi quindici anni, alcuni studiosi occidentali hanno cercato di dimostrare che l’antisemitismo islamico è solo un fenomeno recente, una acquisizione dai nazisti negli anni Quaranta e che gli ebrei vivevano al sicuro sotto la legge islamica, specialmente durante l’“età dell’oro” della Spagna musulmana. Sono entrambe affermazioni non suffragate dall’evidenza. Amartya Sen scrive ad esempio che il filosofo ebreo Maimonide “fu costretto a lasciare una Europa intollerante e trovare rifugio nel mondo arabo tollerante”. In verità Maimonide, rabbino e scienziato, fuggì dai musulmani che avevano conquistato Cordoba nel 1148. Perseguitarono gli ebrei offrendo loro la scelta se convertirsi all’islam, morire o l’esilio. Come altre, la famiglia di Maimonide scelse l’esilio. Per citare alcuni esempi di persecuzione di ebrei nelle terre dell’islam: il massacro di 6.000 ebrei a Fez nel 1033; di centinaia di ebrei uccisi fra il 1010 e il 1013 a Cordoba e in altre zone della Spagna musulmana; il massacro dell’intera comunità ebraica di 4.000 a Granada durante i moti islamici del 1066. Ci sono numerosi studiosi che scrivono e vivono in occidente, le cui opere sono lette, rispettate e influenti ma che, per diversi motivi, hanno messo a tacere la storia dei dhimmi, i non musulmani, fra cui il genocidio armeno, i massacri non solo di ebrei ma anche di cristiani, indù, zoroastriani e buddisti. Said ha dimenticato questi “orientali”. Con questo termine designa soltanto i musulmani e li pone in modo passivo, eterne vittime dell’occidente.

Un articolo di David Frum sulla mancata protezione ad Ayaan Hirsi Ali:

La scorsa settimana il governo olandese ha annunciato che toglierà ad Ayaan Hirsi Ali il servizio di protezione che le ha finora assicurato. La somala Ayaan Hirsi Ali è probabilmente la persona più conosciuta al mondo che si batte contro il maltrattamento delle donne nella cultura islamica. Il suo più stretto collaboratore, Theo van Gogh, è stato ucciso e mutilato in una strada di Amsterdam nel 2004. Ayaan stessa vive nel costante terrore della morte – tanto che lo scorso anno, nella speranza di poter vivere una vita normale, ha accettato un incarico all’American enterprise institute a Washington. Ma anche negli Stati Uniti continua a essere oggetto di minacce. Ora, dopo un breve viaggio in Olanda, è tornata a New York, dove le è stata assicurata una scorta privata. Gli olandesi non hanno certo una buona fama quanto a capacità di proteggere le persone da tali minacce. Nel 2002, un ex accademico olandese, Pim Fortuyn, aveva fondato un partito politico per difendere le molto vantate libertà olandesi (compresa la libertà sessuale, Fortuyn era un omosessuale dichiarato) dalle pressioni provenienti dall’islam radicale. Il governo di sinistra si rifiutò di fornire a Fortuyn un servizio di protezione. Anzi, il primo ministro di allora, Wim Kok, lo accusò di essere un razzista e un fascista, contribuendo così a creare quell’atmosfera di incitamento alla violenza che è culminato con il suo assassinio. Dopo l’uccisione di Van Gogh, il governo olandese ha concesso un servizio di protezione a Hirsi Ali, ma in un nodo particolarmente sgradito. L’ha infatti costretta a vivere in una sorta di isolamento sotto il controllo della polizia, riducendola al silenzio. Nel 2006, un ministro ha cercato di privare Ayaan della cittadinanza olandese. Oggi, dopo averla costretta all’esilio, il governo olandese si rifiuta di mantenere il proprio obbligo alla sua protezione. In Olanda e nel mondo occidentale, ci sono sfortunatamente persone che non si vogliono assumere le responsabilità della libertà. Di fronte a una crisi fatta scoppiare da una vignetta danese (o dal programma nucleare iraniano o ancora da omicidi a sfondo religioso nelle proprie strade), non incolpano i nemici della libertà. Accusano invece i paladini della libertà di eccitare la situazione e di alzare troppi polveroni. Come ha detto il ministro degli Esteri belga Louis Michel dopo l’assassinio di Fortuyn: “I partiti democratici devono fare le proprie campagne con molta prudenza”. La prudenza può essere una virtù. Ma la democrazia talvolta ha bisogno di essere difesa da persone niente affatto prudenti, e Hirsi Ali è una di queste. Se questa battaglia globale contro l’estremismo significa davvero qualcosa, allora significa certamente difendere il suo diritto a non essere prudente. Come ha detto lo scrittore olandese Leon de Winter: “Il costo della protezione è assolutamente irrisorio rispetto al risultato che si può raggiungere: l’esistenza e la sopravvivenza dei nostri valori e delle nostre norme”. Ciò che accadrà ad Hirsi Ali riguarda tutti noi. Nel suo glorioso passato, ci sono stati momenti in cui l’Olanda ha saputo combattere in difesa della libertà e contro la tirrania religiosa. Questi momenti sono tornati. La gente di tutta Europa deve fare sentire la propria voce in difesa di Hirsi Ali. E deve fare anche qualcosa di più: deve sfidare apertamente gli istigatori alla violenza che vivono nel suo stesso seno. Non basta che i musulmani desiderosi di appartenere alla società europea si astengano personalmente da qualsiasi forma di violenza. I musulmani europei devono riconoscere che molti di coloro che pretendono di rappresentarli istigano alla violenza in loro nome e devono quindi agire con decisione per rinnegare pubblicamente questa violenza. Il principio fondatore della società civile europea è l’epigramma di Voltaire: “Non sono d’accordo con nulla di quanto dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di affermarlo”. Per essere considerati europei, i musulmani d’Europa devono vivere nel rispetto di questo principio. Devono parlare in difesa del diritto di Ayaan Hirsi Ali a vivere libera da qualsiasi minaccia e ad abbandonare, se lo desidera, la propria religione. Se non lo fanno, saranno complici di chi la vuole uccidere. Ayaan Hirsi Ali è un banco di prova: per tutti noi.

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