Il Monte del Tempio all'islam il quotidiano comunista si arruola nella jihad per Gerusalemme
Testata: Il Manifesto Data: 09 ottobre 2007 Pagina: 10 Autore: Michele Giorgio Titolo: «Gerusalemme, i cocci ai palestinesi»
Haim Ramon e Avigdor Lieberman hanno ipotizzato la cessione di alcuni quartieri a maggioranza araba di Gerusalemme alla futura sovranità palestinese. Per Michele Giorgio del MANIFESTO non si tratta in alcun modo di un passo positivo. Anzitutto perché si tratterebbe di proposte "razziste", motivate dalla paura della "minaccia demografica" araba: è così che il quotidiano comunista bolla la volontà di Israele di rimanere uno stato indipendente a maggioranza ebraica. In secondo luogo perché la sovranità palestinese dovrebbe essere estesa alla "Spianata delle moschee": il Monte del Tempio, per Giorgio, nemmeno esiste e i diritti religiosi degli ebrei non contano nulla. Non si tratta però di un rigurgito di ateismo materialista marxista: le rivendicazioni religiose islamiche, infatti, per il giornalista comunista sembrano contare molto. Più della prospettiva di un compromesso che potrebbe porre fine a un sanguinoso conflitto e dare uno Stato ai palestinesi.
Ecco il testo:
La frase ad effetto, quella che abbiamo sentito ripetere tante volte dai premier israeliani di qualsiasi colore politico, riecheggiava ieri alla Knesset: un accordo di pace con l'Anp comporterà per Israele concessioni «costose». Lo hanno detto i laburisti Yitzhak Rabin, Shimon Peres e Ehud Barak, i «falchi» Ariel Sharon e Benyamin Netanyahu, e ora lo dice anche il «centrista» Ehud Olmert. Concessioni che in 14 anni, dai tempi degli accordi di Oslo del '93, non si sono mai materializzate mentre nei Territori occupati palestinesi sono cresciuti gli insediamenti ebraici (144) vietati delle leggi internazionali, gli avamposti colonici (almeno 120) proibiti pure dalla legge israeliana, le città palestinesi sono diventate prigioni a cielo aperto e il «muro di separazione» eretto dentro la Cisgiordania è quasi completo. Ma l'incontro sul Medio Oriente incalza (quasi certamente il 26 novembre) e la partita comincia ad entrare nel vivo anche se tutti sanno che ad Annapolis israeliani e palestinesi non andranno oltre una «dichiarazione di principi», anzi una «dichiarazione di interessi» come vuole Olmert per non impegnare Israele su un calendario di impegni precisi. Alla Knesset Olmert ieri ha recitato l'atto di dolore al quale i leader israeliani non fanno mai seguire la penitenza. Ha spiegato che Israele dovrà rinunciare ad alcuni dei suoi desideri più «antichi» - il mantenimento della Cisgiordania - e ha aggiunto che i palestinesi «dovranno accantonare parte dei loro sogni allo scopo di costruire con noi (Israele) un realistico se non ideale, se non perfetto futuro di pace e sicurezza». E non ha mancato di tessere le lodi di Abu Mazen di cui, in realtà, non si fida perché «troppo debole» e non in grado di controllare la Cisgiordania per conto di Israele. «Il presidente Abu Mazen e il primo ministro Salam Fayyad - ha affermato - sono impegnati nel rispetto di tutti gli accordi sottoscritti con Israele». La posta in gioco è, come sempre, alta. «Non può esserci una Palestina indipendente senza Gerusalemme capitale», ha dichiarato qualche giorno fa Abu Mazen. Olmert, e buona parte dei suoi ministri incluso l'oltranzista di destra Avigdor Lieberman, sanno che il presidente dell'Anp è l'unico leader palestinese che può accettare per Gerusalemme quello che Yasser Arafat respinse nel 2000 a Camp David: la rinuncia al controllo della Spianata delle Moschee. La proposta di Israele per la Città Santa l'ha espressa il vice primo ministro Haim Ramon. «Se raggiungessimo un accordo con i palestinesi in base a cui tutti i quartieri ebraici di Gerusalemme fossero riconosciuti come parte capitale di Israele e quelli arabi parte della capitale araba, sarebbe un cattivo affare?», ha chiesto. Parole che in realtà sono una cortina fumogena. Il governo israeliano, statistiche alla mano, sa che soltanto restituendo ai palestinesi le porzioni più densamente popolate della zona Est di Gerusalemme occupata nel 1967, potrà scongiurare il «rischio» di una maggioranza araba in meno di 15 anni. «Beit Hanina, Anata, Issawiye, il campo profughi di Shuffat dovrebbero tornare ai palestinesi ma la parte rimanente di Gerusalemme Est, la città vecchia, i luoghi santi inclusa la Spianata delle Moschee e i quartieri arabi circostanti, rimarranno sotto il controllo di Israele», ha spiegato l'esperto palestinese Khalil Tufakji. Non sarebbe perciò la fine dell'occupazione ma più semplicemente un abbandono di zone densamente popolate da palestinesi che ora godono dello status di «residenti permanenti». La soluzione peraltro è in linea con la cessione di territori israeliani abitati da arabi da tempo sostenuta da Lieberman, ecco perché il ministro per gli affari strategici, due giorni fa, destando stupore a destra, si è schierato per un ritiro israeliano da alcuni quartieri palestinesi di Gerusalemme. Olmert e Abu Mazen, secondo al Quds al Arabi, pensano inoltre che la Giordania potrebbe assumere il controllo sulla Spianata delle Moschee e su una parte della Città Vecchia che, in questo modo, non andrà mai ai palestinesi.
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